Potere più debole o quello più influente? La magistratura diventa maggiorenne

ROMA – In un articolo apparso recentemente sul ‘New Yorker’, Jill Lepore ( docente di storia all’università di Harvard ) ha illustrato il passaggio della Corte Suprema da istituzione del tutto secondaria e marginale ( come l’aveva voluta la Costituzione) a organo che, attraverso la lotta per l’indipendenza del potere giudiziario, è divenuto il più autorevole attore politico sullo scenario costituzionale americano.

Se nel 1787 Alexander Hamilton poteva affermare, citando Montesquieu, che dei tre poteri ( legislativo, esecutivo, giudiziario) quello giudiziario era “ senza tema di confronto il più debole, ( …) praticamente vicino al nulla”, tutta l’America aspetta oggi con ansia, per la fine di Giugno, la decisione della Corte Suprema sulla costituzionalità dell’ Affordable Care Act , il provvedimento legislativo che estende a trenta milioni di cittadini americani, che non ne godevano, l’accesso al sistema sanitario del loro Paese. Alla sopravvivenza di questo provvedimento Obama lega addirittura la propria sopravvivenza come leader indiscusso della maggiore potenza mondiale.

Cosa è accaduto nel frattempo? E’ accaduto che quella Corte, espressione in origine ‘minimalista’ del potere giudiziario, attraverso la lotta per la propria indipendenza,è riuscita a conquistare una indiscussa e precisa fisionomia politica, seguendo un percorso difficile e non lineare che è andato sempre oscillando – a seconda della sua composizione e delle personalità che la dominavano – tra i due estremi della conservazione e del progresso sociale.

Quel’potere giudiziario’ è andato affermandosi come ‘potere’ grazie all’opera di continuo rafforzamento della propria indipendenza, anche a costo di porsi in contrasto con gli altri due ‘poteri’, che pretendevano di mantenerlo in uno stato di perenne minorità.

Qualcosa del genere, forse, sta accadendo nel nostro Paese. Anche da noi il potere giudiziario è stato immaginato ,all’alba della Costituzione, come ‘il più ininfluente’ – dal punto di vista politico – dei tre poteri tradizionali. Ma, da allora, i giudici hanno seguito un processo di trasformazione e ‘crescita’ fondato, da un lato , sulla loro effettiva indipendenza, e dall’altro sulla richiesta sempre più impetuosa di giustizia proveniente dalla società civile.

Quel processo – ancora incompiuto – non è stato facile né privo di involuzioni e contraddizioni. A una prima fase – caratterizzata dall’ostinato prevalere della concezione ‘funzionariale’ e burocratica dei giudici – ne è seguita , a partire dagli anni ’60, una seconda in cui il farsi sempre più stretto e inevitabile del nesso giustizia-politica venne interpretato da buona parte della magistratura attraverso il filtro e la lente deformante della struttura partitica che in quegli anni dominava la scena istituzionale.Molti magistrati pensarono che la strada dell’indipendenza fossa da cercarsi in quella direzione, attraverso l’appoggio non disinteressato delle forze politiche e una lettura del proprio ruolo ‘modellata’ su quel sistema dominante ( Le famigerate ‘correnti’).

E’ stata, quella, la stagione in cui la magistratura ha cominciato a svegliarsi dalla minore età divenendo – in modo ancora timido e confuso – più consapevole della funzione politica in senso lato ( e ‘alto’) che la Costituzione affidava alla giurisdizione.

La terza fase, nella quale stiamo vivendo, sembra coincidere con una maggiore consapevolezza da parte dei magistrati dei connotati genuinamente ‘politici’ che caratterizzano la loro funzione, e con una più accentuata aspettativa da parte dei cittadini di un esercizio di quella funzione che sia consapevole, rigoroso, libero da influenze o pregiudizi.

E’ per questa ragione, oggi, che le scelte, le responsabilità e le pronunzie dei magistrati sono al centro di alcune questioni tra le più vitali per il futuro della nostra Repubblica. L’inchiesta sui ‘negoziati’ tra Governo e Mafia porta alla ribalta la stessa figura del Presidente della Repubblica, presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, e la questione irrisolta dei poteri di intervento sui suoi organi.

L’arresto del senatore Lusi impone al Parlamento di riflettere sulla propria vulnerabilità nei confronti delle iniziative giudiziarie che colpiscano dei suoi membri, in un momento in cui la credibilità della politica ha toccato i livelli più bassi, mai raggiunti nel passato della Repubblica.

Infine, la condanna della FIAT a riassumere 145 lavoratori FIOM, e le reazioni indispettite o scandalizzate cui quella decisione ha dato luogo, segnala infine come solo la magistratura sia in grado, attraverso decisioni su casi specifici,suscettibili di altri due gradi di giudizio, di porre quei paletti legali senza i quali le relazioni e le stesse politiche industriali si traducono in una conflittualità estenuata e senza fine.

In tutti e tre questi casi non si può parlare ormai in termini di ‘supplenza’, che implicherebbero un superamento da parte del potere giudiziario dei limiti posti dalla classica tripartizione.Si deve parlare piuttosto della crescente consapevolezza da parte dei giudici – e da parte della società civile nel suo complesso – del significato propriamente e originalmente ‘politico’ dell’indipendenza del giudiziario.

Solo in questo modo si potrà dire finalmente che la Costituzione è stata attuata, quanto al potere giudiziario, nella sue genuina e originaria dimensione di documento volto al futuro e non in quella nostalgica di mera ‘fotografia di famiglia’.

 

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