Sciopero Genova: trasporto pubblico da ripensare (e anche qualcosa d’altro)

di Michele Marchesiello
Pubblicato il 24 Novembre 2013 - 07:52 OLTRE 6 MESI FA
Sciopero Genova: trasporto pubblico da ripensare (e anche qualcosa d'altro)

L’assemblea dei lavoratori decide la fine dello sciopero di Genova

Il risvolto negativo di ogni sciopero nel settore dei servizi pubblici (forse di ogni sciopero) è rappresentato dal rischio di rivelare la sostanziale inutilità del servizio stesso o – meglio – il suo essere prestato in condizioni e secondo modalità che non rispondono all’interesse collettivo.

Qualcuno ha scritto paradossalmente ­ che se lo sciopero degli autobus si protraesse per tre mesi, si potrebbe avviare finalmente il risanamento dell’AMT.

Sembra (più che banale) del tutto inutile ripetere che la questione non investe l’alternativa pubblico ­privato; che l’efficienza del servizio è ciò che conta davvero; che occorre introdurre nell’azienda principi tanto elementari quanto sistematicamente disattesi di responsabilità, professionalità, sensibilità verso una domanda che non è indifferenziata, come si tende a far credere, ma richiede risposte opportunamente diversificate.

Ogni sistema di vita collettivo (si tratti di umani o di battéri) ha in sé specifici, molteplici meccanismi di adattamento­risposta al mutare delle condizioni ambientali.

Chi si è mosso in questi giorni per il centro di Genova non ha notato – dopo il primo sconcerto, ­ diminuzioni davvero significative nei flussi che si spostavano dalle periferie al centro e viceversa .

Il traffico scorreva: mancavano gli autobus, è vero, ma le strade erano tutt’altro che deserte e si notavano meno che sporadici ciclisti. Tanto meglio per l’aria che si respirava. Percorribili le corsie ‘riservate’ e gratuiti i parcheggi di ‘area blu’.

Molti hanno provato a camminare (gratis, invece di farlo a pagamento sui tapis roulant delle palestre), trovandolo addirittura piacevole. In collina ci si è organizzati per forme collettive di trasporto. Chi poteva lavorare senza muoversi da casa lo ha fatto , sfruttando internet .

A fronte della lamentata diminuita affluenza nei locali e negozi del centro, le strutture commerciali ‘periferiche’ hanno registrato un maggiore afflusso di clientela, a vantaggio di entrambi: negozi e clienti.

Se i quartieri ‘periferici’ venissero attrezzati e vissuti dalle rispettive popolazioni non come dormitori ma come luoghi in ci si svolge gran parte della vita individuale e sociale di ciascuno, non si farebbe forse un passo avanti nel senso della loro maggiore vivibilità e sicurezza?

E’ davvero così indispensabile muoversi in modo insensato, impiegare in questi trasferimenti ‘pendolari’ ripetitivi, costosi e stressanti, una così grande parte della giornata, quel tempo che potremmo dedicare alla famiglia, a noi stessi, agli amici ?

Altro che dilemma pubblico ­privato. È il trasporto pubblico a dover essere ripensato, nelle reali (e innegabili) esigenze cui esso deve fare fronte, nelle alternative ( così trascurate e poco esplorate) che se opportunamente incentivate potrebbero alleggerirlo e ridurne i costi. La de­localizzazione potrebbe scegliere gli ‘hinterland’ invece di andare a incrementare lo sfruttamento del lavoro nei paesi più poveri. Le nuove tecnologie , liberate dai vincoli brevettuali che le ostacolano, potrebbero diventare più accessibili, in funzione del migliore accorpamento e del minor costo delle risorse essenziali.

Ci si deve misurare infine – discorso spinoso più di ogni altro – con il riconoscimento del fatto che le aziende comunali sono state per troppo tempo carrozzoni al servizio della politica ( compresa quella sindacale), sovranamente indifferenti alla questione dell’efficienza, del contenimento dei costi, dell’adeguamento del numero degli addetti .

Interessi di una cattiva politica (divenuta ben presto ‘la’ politica tout court) si sono alleati a un malinteso istinto corporativo nel trascurare o ignorare gli obiettivi del bene comune.

La corporazione non è una invenzione del fascismo, ma l’espressione, in gran parte patologica, di un sentimento molto diffuso nel nostro Paese, quasi una forma di campanilismo de­territorializzato, che mette lavoratori contro lavoratori,utenti contro utenti, cittadini – infine – contro altri cittadini.

Le più grandi sconfitte della politica (di quella ‘buona’, almeno nelle intenzioni) sono derivate nel nostro Paese dall’essersi voluta opporre, sotto l’infausto nome di ‘liberalizzazione’, al perverso istinto corporativo, oggi aggravato dal premere della crisi economica,  che ha acuito (e fornito di non banali giustificazioni ) la difesa del proprio ‘particulare’.

Ben vengano quindi gli scioperi del ‘comparto’ pubblico, a patto che siano l’occasione per il ripensamento del rapporto che lega i servizi di interesse generale all’esistenza di un’autentica democrazia.