Milleprororoghe vuol dire elusione delle regole di bilancio dello Stato

Nel discorso di fine anno del 31 dicembre 2009 il Presidente della Repubblica citò, tra gli esempi virtuosi di collaborazione tra maggioranza ed opposizione, di cui incoraggiava lo sviluppo al fine di definire un quadro condiviso di regole, l’approvazione della legge di riforma della contabilità.

La legge 196, promulgata il 31 dicembre, si propone di superare il regime transitorio che da diversi anni ormai ha sconvolto il diritto del bilancio. E’ infatti dal 2003 che, con alcune varianti, si assiste alla disapplicazione sostanziale (e dal 2008 anche formale) delle procedure introdotte alla fine degli anni settanta per razionalizzare la decisione di finanza pubblica. Il fine di queste regole, affinate per circa un trentennio, è quello di fornire al decisore una guida per la composizione ordinata degli interessi configgenti che sono alla base del bilancio pubblico. Anche il decreto-legge selvaggio, che magari corregge altri decreti approvati solo qualche settimana prima, risultato di una discussione caotica, riassorbita in un maxiemendamento sul quale viene posta la fiducia è, a suo modo, un elemento di composizione. Il risultato finale è però pasticciato, inefficiente, poco trasparente. Identikit che si addice perfettamente al decreto mille proroghe, trasformato in una sottospecie di seconda finanziaria.

Il mille proroghe, va detto con chiarezza, non dovrebbe esistere in un procedimento legislativo minimamente razionale. E’ un ircocervo, con cui si cerca di rispondere alle inefficienze strutturali della amministrazione, incapace di rispettare le scadenze che, con legge, impone a se stessa. Dove si verifica una sorta di “svuotamento dei cassetti” da parte dei ministeri, sempre bisognosi di norme primarie per svolgere la propria azione, anche se solo di dettaglio. Che accumula, nel passaggio parlamentare, innumerevoli disposizioni micro settoriali, veicolate in genere dallo stesso governo. E siccome i pasti non sono mai gratis, si determina un improprio risvolto finanziario.

Bene ha fatto quindi il Presidente a richiamare al rispetto dei limiti del decreto-legge, che deve contenere solo disposizioni di stretta necessità ed urgenza e non può essere stravolto dall’iter legislativo, con l’inserimento di contenuti completamente indipendenti dal testo originario, con la conseguente elusione del controllo preventivo del capo dello Stato.

Il ministero dell’Economia ha ripristinato il testo stralciando alcune disposizioni onerose ed incoerenti. La depurazione è solo parziale e viene mantenuta la posizione della fiducia. Ma il problema di fondo sta nell’elusione delle procedure di finanza pubblica. Lo stesso ministro aveva proposto, il 15 ottobre 2010, un progetto di legge di stabilità, la prima nel nuovo schema previsto dalla legge 196, che si limitava alle regolazioni quantitative.

“Una legge solo tabellare”, dopo la manovra veicolata, al di fuori delle nuove regole, con il decreto-legge 78 del 2010. Di fronte ad esigenze sollevate in sede parlamentare, poi concretizzate in una manovra lorda di 5 miliardi di euro, la prima strada indicata, sbarrata da una decisione di segno opposto, avversa al Governo, della commissione bilancio della Camera, era stata proprio il tentativo di rinviare al mille proroghe, lo stesso contenitore che ora viene sfoltito dopo il richiamo del capo dello Stato.

Un metodo che non va bene

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