ROMA – Per scriverlo lo si è anche scritto e qualcuno, più d’uno, lo avrà pure letto. Però a farci troppo caso, attenzione e a domandarsi fino in fondo perché sono stati finora pochissimi. Forse, nel caso, sapere è buona cosa, dire e spiegare invece può essere pericoloso. Accade che chi ha i soldi, chi ha soldi da proteggere più che da investire, abbia comprato e compri titoli di Stato tedeschi, Bund, a tasso di interesse negativo. Cioè: presto al Tesoro tedesco cento euro e alla scadenza, tra sei mesi, il Tesoro tedesco me ne restituisce indietro 99, 97. Meno di cento, meno di quanto gli ho prestato. Perché lo faccio, perché lo fanno le banche e i Fondi di Investimento e cominciano qua e là a farlo anche i risparmiatori di stazza media? Perché è sicuro che la Germania i soldi li restituisce. Ma, fosse solo questo, anche il materasso di casa li restituisce e per di più al cento per cento e non al 99,97 per cento.
Accade anche che a tasso negativo negli ultimi giorni e settimane siano stati venduti e comprati titoli di Stato della Francia, dell’Olanda, dell’Austria, del Belgio e della Finlandia. Non tutti Stati finanziariamente così solidi e affidabili dall’essere sicuri al mille per mille che restituiscono qualunque cosa accada. Anzi, Belgio e Austria e Olanda hanno più di un problema di deficit e debito e la Francia non è certo immune della crisi del debito sovrano. E allora perché ad esempio le banche europee vanno a comprare titoli di Stato con tasso negativo emessi dalla Francia, dall’Olanda, dal Belgio, dall’Austria? Perché vanno scientemente a rimetterci, sia pure dei centesimi di percentuale? Prima le banche si finanziavano presso la Bce, prendevano denaro pagandolo all’un per cento e spesso, dopo averlo preso per avere in cassa liquidità, ne parcheggiavano buona parte presso la stessa Bce che remunerava i depositi con un tasso dello 0,25%. Tasso che la Bce ha portato a zero per fare in modo che le banche impieghino altrimenti quel denaro. E le banche, almeno in parte, sono andate ad impiegarlo in titoli di Stato “a perdere”. Perché lo hanno fatto e perché non solo le banche lo stanno facendo?
Guardiamo la geografia dell’investimento “a perdere”: Germania, Francia, Olanda, Belgio, Austria, Finlandia. Manca il Sud d’Europa, mancano Spagna, Portogallo, Italia, Grecia. La linea che divide, la linea di demarcazione non è tracciata sull’entità del debito, la Spagna ne ha meno del Belgio, e neanche sulla previsione di deficit, l’Italia sta messa meglio dell’Olanda. La linea di demarcazione non detta ma visibile è quella che divide i paesi che, in caso di rottura della moneta unica, possono restare con l’euro in tasca e quelli che in quel caso non potrebbero proprio. Germania, Francia, Olanda, Belgio, Austria e Finlandia nell’ipotesi di una grande crisi si tengono l’euro, un euro che diventa del Nord Europa. E se si tengono l’euro i soldi investiti in titoli di Stato di quei paesi anche in caso di grande crisi restano negoziabili e pagabili in euro. Non così, in caso di grande crisi, i soldi investiti in titoli di Stato spagnoli, portoghesi, italiani, per non dire greci. Con la grande crisi i paesi del Sud Europa sarebbero indotti e costretti a tornare alle monete nazionali e quindi i soldi investiti nei loro titoli diventerebbero negoziabili e pagabili in pesetas, scudi o lire. Chi investe, risparmia e protegge i suoi soldi oggi calcola che convenga perdere lo 0,3 per cento in euro piuttosto che ritrovarsi in mano appunto pesetas, scudi o lire. Questo spiega l’apparente follia di comprare titoli di Stato a interesse negativo.
Si è detto: Stati che in caso di grande crisi sarebbero indotti e costretti a tornare alle monete nazionali…Costretti da chi? Dalla dittatura e imposizione per nulla democratica dei mercati. Indotti da chi? Da se stessi, dai loro democraticissimi elettorati e partiti politici. All’antivigilia delle sue elezioni l’Italia offre il seguente panorama politico. Al Nord una forza territoriale ridotta di numero ma fortemente anti euro prima ancora che anti Europa, la Lega. Alla destra dello schieramento politico un candidato premier già noto all’Europa e ai mercati, Silvio Berlusconi. Il suo elettorato, quello di Berlusconi, gli chiederà di abolire l’Imu, farla finita con la spending review e con lo “Stato di polizia fiscale”. Berlusconi lo sa e si comporterà di conseguenza, la sua proposta europea è che la Bce paghi a piè di lista i debiti che gli italiani hanno e anche il deficit che via via fanno. Alla sinistra dello schieramento politico c’è quello che Federico Geremicca su La Stampa vede e racconta come la reincarnazione malefica di quella che fu “l’Unione” nata nel 2005. Unione e cioè l’alleanza elettorale e solo elettorale tra partiti, uomini e donne che la pensano in maniera diversa e inconciliabile su tutto: lavoro, tasse, sicurezza, diritti, doveri. Questo e non altro è la possibile alleanza Bersani, Di Pietro, Vendola. E mettendo Casini al posto di Pietro l’interna e congenita inconciliabilità non cambia. Casini vuole mantenere la linea di Monti e manterrebbe anche Monti. Vendola vuole smontare ogni traccia del governo Monti. E così Di Pietro. Bersani vuole mantenere un po’, ma solo un po’ di Monti ma assolutamente senza Monti. Non una Babele ma una sostanziale inconciliabilità. Fuori dai confini attuali del Parlamento una forza elettorale in crescita: 5 Stelle di Beppe Grillo tutti sicuri che senza euro si sta meglio e che il debito pubblico non si paga.
Fin qui le forze politiche. Il panorama della società italiana è invece illustrato da un dato e due articoli. Il dato è che la ricchezza privata degli italiani nel decennio dell’euro è aumentata del 57% per cento mentre la res publica del paese diventava sempre più in deficit e in debito. L’articolo, il primo è di Alberto Orioli sul Sole 24 ore di lunedì 16 luglio: “Eccoli i poteri forti. Quelli che dal 2008 non sono mai stati scalfiti dalle ultime dieci manovre. Sono gli evasori fiscali, i parassiti della spesa pubblica improduttiva, i super protetti del non mercato…il pubblico impiego con i suoi perenni blocchi del turn over aggirati con una pletora di contratti precari, i trasferimenti agli Enti locali e alla Sanità regionale…Non si vede una vera e incisiva azione di lotta all’evasione fiscale…non si vede un’azione seria e profonda di riduzione del perimetro pubblico dell’economia”. Per questo scrive Orioli e sostiene Il Sole 24 ore le manovre sono tutte tasse. Ma quei “poteri forti” hanno partiti, leader ed elettorati di riferimento. Ce l’hanno gli evasori fiscali, i parassiti della spesa pubblica improduttiva, i super protetti del non mercato…E non sono partitini o piccole percentuali, sono il nerbo e l’anima della destra politica ed elettorali, il cuore e la pancia della sinistra, lo spirito e il braccio della protesta “anti tutto”.
Il secondo di articolo è stato pubblicato sabato 14 luglio su La Repubblica. Alessandro Penati illustra i caposaldi dell’ideologia iper dominante a destra, a sinistra e in ogni ceto, opinione e de elettorato. Comandamento numero uno: la crescita economica si ottiene spendendo soldi pubblici, più spendi più cresci. Numero due: offri incentivi e tutto si smuove si muove. Numero tre: se non sai cosa fare, fai una infrastruttura, non ti sbagli. Quattro: fai una bella politica industriale, insomma lo Stato faccia l’imprenditore. Non c’è pratito, sindacato, comitato di studio o di lotta che non osservi i comandamenti citati, sono ormai religione civile. Eppure sono comandamenti sballati di una religione che è ormai soprattutto tradizione, abitudine e un filo di superstizione. Penati smonta tutti e quattro i comandamenti: ridurre di anni la durata delle cause civili vale in termini di crescita economica più di una autostrada e non costa un euro di spesa pubblica, costa però in termini di prezzo politico-elettorale. Invece che aumentare incentivi occorrerebbe toglierli tutti e abbassare davvero le tasse su salario e impresa. Le infrastrutture in Italia sono la culla dello spreco pubblico e lo Stato imprenditore ha senso quando un paese “non è aperto al mercato internazionale dei capitali”.
Con questa percezione che gli italiani hanno di se stessi e dei loro anni con l’euro, con questo panorama politico, con questa orografia sociale, con questa ideologia-religione non risulta difficilissimo calcolare che in caso di grande crisi gli stessi italiani saranno da se stessi indotti a “mollare”. Quindi perché prestar loro dei soldi oggi in euro che forse, se non proprio domani ma dopodomani sì, potrebbero restituire e remunerare in lire?