ROMA – Woody Allen direbbe: Berlusconi è morto e anche Enrico Letta e il Pd non stanno tanto bene. Un personaggio del “giorno della civetta”, dovendo collocare il Silvio Berlusconi politico e leader in una delle sue classiche umane categorie (uomini, mezzi uomini, ominicchi e quaquaraquà) direbbe: senza ombra di dubbio in quaquaraquà delle fiducie…e anche d’altro. I giornalisti politici italiani si impegneranno a scovare, individuare il vincitore della gran partita politica. Fatica nobile e vana, il vincitore non c’è. Ci sono sconfitti, battuti, addirittura morti politici. E tanti feriti, nessuno indenne, nessuno più forte e saldo di prima.
Berlusconi, il morto che afferra il vivo e anche questa è un’altra citazione e delle più classiche. Berlusconi, che settimana, la settimana del quaquaraquà! Mercoledì scorso chiede e ottiene da tutti (o quasi) i suoi parlamentari le dimissioni appunto da parlamentari. Con l’argomento che non si può restare parlamentari in un Parlamento che vota a maggioranza per la decadenza da senatore di Berlusconi, decadenza da condanna penale per frode fiscale. Tutti o quasi firmano le dimissioni su pre stampato: una rivolta, un gesto estremo. Venerdì Berlusconi “invita” i ministri Pdl a dimettersi dal governo. Obbediscono, ma in realtà non si dimettono. Week-end, Berlusconi dichiara “finita la nostra esperienza di governo”, dà sette giorni di vita al suddetto governo. Lunedì e martedì successivi Berlusconi impegna tutto il partito a votare la sfiducia al governo Letta. Mercoledì a mezzogiorno all’unanimità Berlusconi e i suoi (gli “alfani” se ne sono già andati) votano per la sfiducia a Letta. Mercoledì un po’ prima delle 14 Berlusconi va in aula al Senato e annuncia il sì, la fiducia a Letta.
Non “uomo” della politica che convince della sua posizione e su questa vince. E neanche “mezzo uomo” della politica che fa comprensibili compromessi con il principio di realtà. E nemmeno “ominicchio” della politica che fa di se stesso trottola e banderuola per stare sempre dalla parte dove soffia il vento. quaquaraquà della politica sì, dove quaquaraquà è l’onomatopeico suono di un parlare e cianciare senza senso, costrutto e direzione. Berlusconi, un quaquaraquà delle fiducie, un uomo nel panico, confuso e oramai penoso nella sia conclamata e manifesta confusione.
Non solo un leader politico condannato per reati comuni quali la truffa fiscale e inseguito da altre sentenze e forse colpevolezze ancora per reati comuni. Non solo il capo partito che non accetta sentenze e non riconosce Tribunali e leggi se non quelli “del popolo votante”. Di più in quantità e di meno in qualità di questo che già c’era. Ora Berlusconi è un capo partito che il partito non ha seguito. Ha gridato più volte “Carica!” e non aveva cavallo né sciabola da sguainare. Gli hanno detto di no perfino gli Alfano e i Formigoni. Gli sono rimasti i Bondi, i Verdini e le Santanché. Comunque pochi. Letta gli ha smontato il Pdl. Berlusconi non ha avuto prima la lucidità per capire che stava trasformando la sua Forza Italia in un Mis obeso di voti e poi non ha avuto il coraggio e il cuore dell’opposizione. Berlusconi che deve arrendersi e votare per “l’inaffidabile Letta che mi è ostile” è un cadavere politico.
Cadavere che però si aggrappa alla maggioranza e al governo e con la sua presenza ne muta l’immagine e la sostanza. Anche Letta non sta tanto bene…
Enrico Letta…aveva sfiorato, era andato a un passo dal “rimettere la chiesa al centro del villaggio”. A un passo dal Berlusconi…fatto più in là. A un passo dal far ripartire ipotesi e azione di governo di larghe intese senza la zavorra Berlusconi. Appunto la “chiesa”, cioè l’economia e la società e non Berlusconi e i suoi processi e condanne e interessi, finalmente al centro del villaggio Italia. Restava da vedere cosa fosse diventato nel frattempo il villaggio, ma Letta era a un passo. Era…Berlusconi è rimasto aggrappato. E ora Letta si trova con un voto di fiducia in più e tutto come prima: stesso governo, stessi alleati, stessa precarietà nel governare. Domani, già domani Berlusconi e i suoi ricominceranno l’azione di lotta e di governo, quella del “noi” togliamo l’Iva, “loro” no.
Cero, a Letta resta anche qualcosa in più: c’è un nuovo gruppo parlamentare e Berlusconi è per questo “sotto schiaffo”. Se si agita, se torna ad agitarsi, in Parlamento ci sono i numeri per governare senza di lui e facendolo uscire dal corteo. Quindi Berlusconi ha perso, perso come mai nella sua vita politica. Ma Letta non ha quel che voleva: un governo e una maggioranza che valgano, siano all’altezza del compito di arrivare al 2015 e arrivarci con costrutto. “Cogliere l’attimo” aveva detto Letta in apertura di discorso programmatico. L’attimo se n’è andato, è fuggito, è stato toccato ma non colto. Letta ha la stessa traballante governabilità di prima e che sia traballante lo sa bene, basta contare quante volte la lingua abbia battuto là dove il dente duole: il dente del “rinvio”. Non sono il governo del rinvio, l’ha detto una, dieci, cento volte: troppe per non aver il sapore di un confessato lato debole, il “tic del rinvio” è la malattia genetica del governo con dentro sia Berlusconi che il Pd.
Già, il Pd: si ritrova a non star tanto bene neanche lui. Deve continuare a governare con chi ha provato a sfasciare ogni istituzione e ogni alleanza e ogni programma. Alla fine del vasto e nevrotico giro il Pdl rigoverna con Berlusconi. E, nonostante quel che Letta documenta e implora, governare altri 15/18 mesi con Berlusconi è per il Pd autentico martirio suicida. Matteo Renzi, che a mezzogiorno del mercoledì in cui Berlusconi era sbattuto fuori dalla maggioranza era sbattuto anche lui in riserva e nel cassetto, alle due del pomeriggio di Berlusconi che vota per Letta ridiventava l’uomo del domani Pd. Domani, proprio domani, non quello radiosi che i D’Alema garantiscono ai loro competitori interni.
Berlusconi costretto ad arrendersi eppure il suo cadavere politica si aggrappa a Letta e lo tiene avvinto. Letta che resta ma non scatta, tanto meno vola. Pd in imbarazzo e senza soluzione neanche a medio termine. Nessuno ha vinto, tanto meno M5s il cui spettacolo e condotta parlamentare sono arroganza più tracotanza più ignoranza e purtroppo nessuna speranza. I “cittadini” stanno lì al Senato e alla Camera a ripetere in giaculatoria che loro sono i “migliori” e gli altri sono i “fetenti”. Fine delle trasmissioni. Programma: eliminare tutti i “fetenti” e diventare tutti “migliori”, quindi “conversione” con le buone o con le cattive. E non sai se questo programma sia più violento o ignorante.
Qualcuno ha detto da qualche parte commentando gli andamenti di Borsa: “Tranne i giornalisti e loro stessi nessuno li prende più sul serio, siamo un paese in cui non prendiamo più sul serio neanche le crisi di governo”. L’esito dell’ultima crisi di governo aiuta questo pensare, anche se questo pensare è troppo esile. Alla fine del giro stesso governo, presidente del consiglio, ministri, programma, alleati, odi, incompatibilità, rissosità, incertezze…In più una scissione e un gruppo parlamentare e un Berlusconi politicamente cadavere ma forse ancora e per sempre zombie, cadavere che cammina in campagna elettorale. Se ci prendiamo sul serio è stato un altro gradino disceso nella scale verso il peggio, un altro piccolo-grande guaio. Ma possiamo sempre non prenderci sul serio…è sbagliato ma viene meglio.
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