ROMA – Qualcosa, anzi molto, per fortuna ci è stato risparmiato: le “intercettazioni non trascritte”. Non leggeremo per fortuna le conversazioni telefoniche, frutto di un “rapporto ben consolidato” come da atti dell’inchiesta, tra il capo del governo italiano e Gianpi Tarantini. Non leggeremo cosa i due si dicessero parlando “di donne” e di altri “rapporti interpersonali”, come informa la nota con cui si annuncia che di questi amichevoli e franchi colloqui si è deciso di lasciare agli atti solo “sintesi di poche righe”. Per fortuna questa è stata la scelta: di risparmiare questo molto all’Italia. Per qualunque motivo sia stata fatta questa scelta, è scelta di salute pubblica. Forse, anzi probabilmente non servivano all’indagine e gli inquirenti le hanno considerate processualmente superflue. O forse gli inquirenti hanno scelto così per calcolo insieme prudente e responsabile, per non offrire il fianco a chi è già arrivato ad accusarli di “tentazione golpista”. Comunque sia stato, è stato un bene: ne andava non della privacy di un uomo di governo, di un ometto di affari e di molte donne “socievoli e di società”. Ne andava di quel po’ di dignità che resta al paese.
Non sapremo se il premier spendeva parte del suo tempo a commentare e soppesare di notte o di giorno al telefono le prestazioni e le qualità delle sue ospiti. Nè avremo nozione del linguaggio che eventualmente usava nel valutare insieme all’amico la merce. Potremo per fortuna pensare che così non è stato e che, sia pur così sia stato, è stata evitata la vetrina di umane miserie che restano dubbie. Un dubbio che è balsamo e non censura. Non sapremo e potremo continuare a ritenere non credibile conversazioni e valutazioni sulle donne-ministro. Possiamo continuare a pensare siano solo illazioni, esagerazioni. Non sapremo se donne della politica italiana e straniera siano state commentate e giudicate su parametri fisici o di maschia appetibilità. Potremo continuare a pensare che chi la racconta così racconta solo barzellette mal riuscite. Benedetto sia il velo su quelle intercettazioni, qualunque cosa ci sia sotto il velo: il nulla o, peggio, il troppo.
Qualcosa, anzi molto, per fortuna ci è risparmiato. Già troppo e smisurato è il carico: un paese, una collettività che rischia il crack finanziario e che deve torcersi l’anima, le bracca e le mani per evitarlo deve contemporaneamente da settimane e mesi sapere quel che purtroppo già sa. Che il suo capo di governo occupa tempo e denaro con chi fa mercato di escort, che si divide tra le riunioni con Bossi e Tremonti e quelle con i suoi avvocati: i primi a metter pezze o zeppe al bilancio, i secondi alle sue “relazioni” e alla magistratura inquirente. Basta, sappiamo già troppo: un grazie a chi quelle telefonate non le ha “trascritte”. Un grazie a nome dello Stato dritto e in piedi e non certo per obliqua ragion di Stato.
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