Bersani due errori: soldi ai partiti e ai senza lavoro. Renzi va, D’Alema resta

ROMA – Nel programma, nella testa e nel partito di Pierluigi Bersani manca una cosa che dovrebbe assolutamente esserci: il basta al finanziamento pubblico dei partiti, il basta ai soldi pubblici per i partiti. E c’è invece una cosa che proprio non dovrebbe esserci: il reddito, il mini stipendio garantito a chi per qualunque motivo non lavora, insomma i soldi pubblici a fine mese a tre/cinque milioni di italiani. Sono due errori gravi che meritano un giudizio di insufficienza il primo nella materia “politica” e il secondo nella materia “economia”. Giudizi a parte, ognuno ha i suoi, sono scelte che potrebbero avere effetti devastanti per chi le fa e cioè il Pd come partito e il Pd come asse di governo qualora dovesse governare.

I soldi ai partiti, il finanziamento pubblico ai partiti: qui e ora va fermato. Stop senza se e senza ma davvero. Senza rimpianti e tentennamenti. Qualcosa di cui liberarsi al più presto perché è zavorra che ti trascina a fondo. Dice: ma era un caro e utile strumento al quale ci si era affezionati, come un computer efficiente o una cassaforte impenetrabile o una vecchia e solida madia…Quando stai andando a fondo, quando c’è tempesta e rischio naufragio che fai, ti porti in scialuppa di salvataggio il computer, la cassaforte, la madia? Dice: ma senza soldi pubblici la politica la fanno solo i ricchi. A parte che non è vero e che la politica si può fare anche senza soldi pubblici, qui e adesso l’istinto di sopravvivenza avrebbe dovuto obbligare Bersani ad annunciare ieri in Direzione non la “disponibilità a discuterne” ma la decisione già presa di smetterla e farla smettere con i soldi pubblici ai partiti.

Oggi, qui e adesso questa è una condizione necessaria, primaria, anche se non certo sufficiente, per stare al mondo della pubblica opinione. Non capirlo, non afferrarlo è scarsa professionalità politica. E se non lo capisci non può essere a causa di una incapacità a comprendere l’ovvio. Accade perché il tuo “azionista di riferimento”, il tuo “habitat” è pieno di coloro che con quei soldi pubblici onestamente vivono di politica. Onestamente, non rubando. Infatti non è questo il punto. Il punto è che la tua cena, anche elettorale, anche politica e non certo privata e clientelare, non te la deve pagare la cassa pubblica. La politica non va “spesata” dallo Stato, anche se la “nota spese” è onesta e veritiera. Punto e questo è il punto.

Vantaggio collaterale del basta soldi pubblici ai partiti sarebbe la scrematura, la selezione felicemente darwiniana dell’attuale ceto politico, la sua evoluzione in qualcosa d’altro. Tutti gli emeriti professionisti dell’innaffio di soldi la società, l’unica professionalità politica sviluppata e coltivata negli ultimi tre decenni, verrebbero disincentivati a iniziare e proseguire la carriera. E, sia chiaro, ancora e ancora qui si sta parlando di gente onesta e che non ruba. Però vive di denaro pubblico che non ci dovrebbe essere e distribuisce denaro pubblico che non dovrebbe gestire. E non perché sia “immorale” farlo, ma perché non è un buon affare per la collettività, sono risorse mal impiegate che distruggono ricchezza e non la creano.

Ma il basta soldi ai partiti qui, ora e subito nel programma e nella testa e nel partito di Bersani non c’è. E questo rimanda al vecchio adagio per cui la divinità acceca, rende almeno miope chi ha deciso di perdere…Matteo Renzi l’ha detto a Bersani, al Pd, alla sua testa, alla sua gente. L’ha detto mesi e mesi fa: aboliamo il finanziamento pubblico, tagliamo della metà le retribuzioni reali degli eletti a tutti i livelli…Renzi diceva che così Grillo si sgonfiava, se non lui di certo il voto a M5S. Non c’è controprova, forse Grillo non si sarebbe sgonfiato dal 15% abbondante che aveva, probabile però che non si sarebbe gonfiato fino al 25 per cento. Ma questo è latte versato su cui non si piange. Quando però Bersani e il Pd quel latte continuano a versarlo, allora Matteo Renzi si alza e se ne va senza dire una parola. Che c’è da dire? Non capiscono, non vogliono capire, non gli scatta neanche l’istinto di sopravvivenza…Danno e lei si fa dare lo stipendio da funzionaria di partito a Livio Turco che si è fatta sei legislature da parlamentare ed è stata anche ministro, pensano sia corretto e doveroso…Che c’è da dire davvero a chi non vuole, non sa, non può più sentirti?

L’altro, simmetrico e speculare, grave errore Bersani lo intorcina di parole: “Salario o compenso minimo per chi non ha copertura contrattuale. Avvio della universalizzazione delle indennità di disoccupazione e introduzione di un reddito minimo di inserimento…”. Grillo l’aveva detta in maniera più efficace e comprensibile: 1000 euro al mese a tutti quelli senza lavoro. Dell’idea Grillo ha la primogenitura e Bersani la insegue con la lingua discretamente di fuori, ad ansimare causa affanno. Grillo in testa, Bersani dietro nella corsa verso un errore, grave, politico, sociale, economico e, per quel che importa a questo paese della cultura, errore perfino culturale.

Perché non vanno bene, anzi non fanno bene, anzi fanno male i mille euro al mese di soldi pubblici a chi è senza lavoro? La prima, ma in fondo la minore e minima obiezione, è che costa non una baracca ma due di soldi. Per tre milioni di disoccupati, quelli che l’Istat ha finora contato, ci vorrebbero 36 miliardi di euro. Ma i tre milioni diventerebbero presto molti di più: dove si ferma la condizione di “senza lavoro”? Nei tre milioni ci sono solo quelli che lo “cercano attivamente”. Se la condizione di “senza lavoro” comporta sussidio di Stato da mille euro al mese si dichiareranno tali tutti coloro che “senza lavoro” lo sono a varissimo titolo. Facciamo che arriviamo a 4/5 di milioni?

E poi cosa potrebbe fare e pensare un lavoratore a tempo determinato, uno di quei non pochi che lavorano dieci mesi all’anno per 1.500 euro al mese che quindi fanno 15mila in tutto? A fronte di un sussidio di Stato da 12mila euro l’anno come valuterebbe il suo lavoro, vero ma precario? E quale pedagogia sociale in un paese in cui il salario operaio non arriva quasi mai a duemila euro, anzi spessissimo si lavora per 1.500 e dintorni e poi arriva un mille al mese di assistenza pubblica? Miliardi e miliardi e miliardi andrebbero trovati e spesi ma non per assistere e sussidiare ma per dare un lavoro vero a chi non ce l’ha. Per abbassare le tasse sull’impresa in modo che assuma, per abbassare le tasse sul salario in modo che almeno un po’ consumi. Neanche il Welfare “sovietico doc” prevedeva stipendio pubblico di massa a chiunque sia senza lavoro: scuola, casa, sanità, trasporti e altro gratuiti sì…ma stipendio senza lavoro neanche in Urss.

Qui non si discute se il “reddito di cittadinanza” sia giusto o no, nobile o infingardo. Qui si constata come nell’Italia 2013 che posti di lavoro li deve creare e ricchezza deve tornare a produrre non funziona e ha effetti dannosi. Magari quando il paese avrà ricominciato a produrla la ricchezza e ci sarà da redistribuire a chi meno ha, allora magari perché no? Sarebbe allora ottima pratica sociale economicamente compatibile e ottima pratica economica socialmente compatibile. Oggi no, oggi è errore e danno. Che però è nel programma, nella testa e nel partito di Bersani che rincorre e fa copia e incolla delle parole di Grillo e M5S.

Senza avvedersi, senza capire che è corsa verso il vuoto e nel nulla. La concezione prima, il postulato fondante del “grillismo” e di tanti altri fenomeno sociali e politici è l’idea, anzi il dogma, secondo il quale ad ogni questione e problema esiste “la soluzione” unica e perfetta cui tutti possono aderire e che è buona per tutti. Soluzione che oggi viene “nascosta” ai cittadini tutti da questa o quella casta che impedisce annunciazione e disvelamento della “soluzione”. Casaleggio lo teorizza senza equivoci: verrà il giorno in cui non ci saranno più interessi contrapposti, scelte da fare, opzioni in contrasto. Il giorno in cui tutti si potranno informare, magari alla stessa indubitabile fonte, tutti saranno quindi d’accordo sulla sola, unica, ottima e buona per tutti soluzione. Un dogma così non può essere emendato, non c’è liturgia laica che lo possa far dialogare con i “non credenti”. Un dogma così impone ai fedeli e credenti la “evangelizzazione” del popolo e delle terre altrui. Questione chiara e lampante, questione troppo complessa per l’elettorato. Ma Bersani e il Pd dovrebbero capirla sia d’istinto che di studio.

Dovrebbero…invece di complesso e complicato, d’istinto e di studio credono sia la vera matassa da dipanare quella del come si fa a “salvare” le istituzioni e il paese anche con il Pdl ma senza Berlusconi? Pdl che “è” Berlusconi: il Pd lo ha appena visto ma dà del bugiardo ai suoi occhi. Paese che a furia di essere “salvato, istituzionalmente salvato”, si sta facendo una passeggiata d’ambientamento sempre più vicina al cimitero. Infatti Renzi va e D’Alema resta e in questo movimento c’è oggi, qui e adesso, il senso del Pd.

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