D’Alema, il sabba delle iene intorno al cane morto

Massimo D’Alema (LaPresse)

ROMA – Il primo branco di iene, si muovono sempre in gruppo, è quello mordicchiante dei giornalisti. Non assaltano e azzannano davvero, ruotano in cerchio, come gli indiani intorno al carro dei pionieri bianchi, e piazzano ad ogni giro una mordicchiata. Dopo essersi assicurati che il carro non ha più le ruote e non può più muoversi. Non sono le “iene dattilografe” con cui se la prese l’immotivato sdegno di Palmiro Togliatti. Non sono i giornalisti che danno fastidio e comporre il primo branco di iene intorno al “cane morto” D’Alema. Sono invece i giornalisti tutto politici che hanno finito per confondere e sovrapporre quel che loro fanno di mestiere, raccogliere parole, con la politica stessa. Non sanno più distinguere e per questo, a sei mesi dalle elezioni e a D’Alema che annuncia che non tornerà in Parlamento, fanno domanda idiota sentendosi astuti: “Lei farà il ministro”?

Tanto di cappello a Massimo D’Alema che con orgoglio, giudizio e testardaggine questo giornalismo lo definisce “spazzatura al limite della stupidità” e per lui la seconda offesa lanciata è ben più grave della prima. Il carosello delle iene che cercano di far pronunciare a D’Alema insulto da titolo diretto a Renzi o malignità da titolo diretta a Bersani o profezia da titolo diretta a Monti è “penosamente provinciale”, copyright di D’Alema appunto. Sì, in effetti fa pena leggere stampato che “Veltroni ha rinunciato alla candidatura per far dispetto a D’Alema”. Sì, in effetti un paio di decenni di teatrino politico hanno ridotto gli “osservatori” a non saper più nulla vedere se non la coreografia di cartapesta della politica. Ma sono iene che in fondo vanno perdonate e capite, sono inconsapevoli, non sanno quel che fanno. Pensano davvero che l’orgasmo e l’acme della professione sia far dire a D’Alema che Renzi è “stronzo” o a Bersani che Monti è “bollito”. Mordicchiano a caccia di simili prede, altre non ne vedono. Ha ragione D’Alema ad essere sprezzante con questo branco, anche se anche lui dovrebbe ricordare che queste son strano tipo di iene, sanno fare anche le fusa e di queste fusa di queste iene anche D’Alema ha goduto.

Il secondo branco di iene, quello che ringhia a D’Alema è fatto di coloro che, più o meno, molto più o meno, fanno il suo stesso mestiere. Tanto per parafrasare la battuta di un politico nuovissimo, Beppe Grillo, la gran parte di questi ringhi è figlia non dell’invidia penis che Grillo attribuisce a Renzi, ma dell’invidia mentis che, nei confronti di D’Alema, affligge buona parte del ceto politico sul palcoscenico, sia quelli vecchi e vecchissimi, sia quelli medi, sia quelli nuovissimi. D’Alema è uno che legge, studia, riflette. Uno che lavora di mente e cultura e lo va pure ad esibire in giro. Insopportabile nel suo ambiente e in generale nel paese, prima o poi bisognava fargliela pagare questa snoberia e il momento è arrivato.

Il terzo branco è il più folto, più che un branco è un’enorme mandria. E’ composto dalla gente, prima fra tutte la sua di gente, quella di D’Alema, quella del Pd, quella degli elettori che votano lì. Per molti, moltissimi di loro D’Alema è “inciucio” e “potere”, cioè il peggio e il meglio del peggio. Le iene-gente ovviamente non si accorgono di muoversi in branco e mandria sulla base di tribale subcultura per cui ogni accordo è “inciucio”, ogni patto è “cedimento”, ogni problema affrontato e in parte risolto è “presa in giro”. La mandria-branco neanche sa che “potere” non è una cattiva parola, una fosca regione abitata da scaltri malvagi. Potere è la condizione per governare, fosse anche per governare da dio il paradiso.

E per l’ancor più vasto branco della gente tutta D’Alema è sinonimo di Casta. Casta per di più colta e non rozza: tremendo! D’Alema delendum est perché lui sta con i cattivi e la gente è buona. Infatti tra la gente ci sono appena qualche milione di evasori fiscali, qualche centinaio di migliaia di finti poveri, qualche milioncino di corrotti e corruttori, qualche centinaia di migliaia di venditori di voti…Ci sono ma nessuno li distingue con esattezza. Eppure un sistema, empirico, per riconoscerli ci sarebbe: di solito il primo che grida “al ladro” e lo grida più forte è quello che stava facendo il palo prima che il furto venisse scoperto.

Per questo vien voglia di stare con il “cane morto” e non con le iene. Ma non si può e non si deve. Perché Massimo D’Alema non è né cane, tanto meno morto. E’ una delle menti più addestrate e funzionanti di un rispettabilissimo progetto politico. E non si può più stare con lui perché questo progetto politico non è più quello buono e neanche quello meno peggio per il paese. Quando D’Alema accusa e lamenta l’eccesso di “liberismo” non tanto in Renzi quanto nell’Europa e in Italia, allora si vede che il progetto politico per cui D’Alema ha speso una vita non può essere quello in cui imbarcarsi. Eccesso di liberismo in Italia, in un paese in cui più del 50% del reddito è prodotto da denaro pubblico? Eccesso di liberismo in un mondo occidentale dove i governi, la mano pubblica si sono accollati il debito privato della finanza, delle banche ma anche dei consumatori e contraenti di mutui? Eccesso di liberismo forse, anzi di sicuro prima, eccesso di liberismo come causa della grande crisi, non ci piove. Ma è dal 2008 che lo Stato, anzi gli Stati hanno salvato paesi e popolazioni dal ritrovarsi con le banche chiuse un lunedì mattina. Il problema non è chiamare la mano pubblica perché tenga a bada e a freno quella privata, il problema è come impedire che la mano pubblica già intervenuta si rompa e frantumi in bancarotta.

Partendo da questa premessa glacificata nel tempo e declinato all’italiana il progetto politico è ancora e sempre quello di un centro sinistra o sinistra centro che abbia come orizzonte e missione quello di includere dentro la redistribuzione delle pubbliche risorse quanti ne sono fuori oppure ai margini. Era il progetto sociale e politico che poteva dare e infatti diede i suoi frutti quando il capitalismo italiana produceva ricchezza e non la bruciava e quando gli esclusi era esclusi dal triangolo produzione-reddito-giustizia sociale. Ora gli “inclusi” sono spesso la base elettorale e sociale della sinistra e la questione non è quella della redistribuzione ma quella della creazione di ricchezza. Giornalisteggiando: D’Alema pensa sia possibile ed utile andare alle elezioni insieme con Vendola e al governo insieme con Casini. Invece non si può fare e se ci si riesce ne verranno fuori altri guai. Il centro sinistra fatto così e con quel programma che è spesa ampia ed equa con tasse amplissime ed eque è ancora ciò che è stato proposto negli anni ’80/90 e 2000. Non a caso non ha funzionato e proprio non funzionerebbe nel paese post crisi finanziaria e per nulla post crisi produttiva.

Non è D’Alema che è “vecchio” e quale sonora stupidaggine è questa dei politici giovani da preferire a quelli anziani. E’ la proposta politica che è immobile. Non è D’Alema, ad avercene di D’Alema, che non tiene più. E’ il centro sinistra da Vendola a Casini che non regge. Come non regge alla realtà di un paese da rifondare l’assicurazione che nessuno si farà male nel passaggio da un mondo all’altro. Che poi la leva di un movimento che D’Alema non rappresenta più si incarni in un Renzi è, D’Alema lo capirà, lo sberleffo di una storia mai gentile con i suoi migliori figli.

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