ROMA – Francesco Sicignano sembra proprio che abbia sparato quando il ladro era molto più fuori che entro la sua casa, praticamente sulle scale. Questo forse vorrà dire molto per i giudici e la giustizia. Dice, vale molto meno per chi osserva e si immedesima. Era notte, c’è un intruso in casa. Ci sono stati altri furti. C’è la paura, quasi il panico, la concitazione, l’adrenalina. Non si calcola a freddo la distanza, non si misura dove sta il ladro. Il ladro viene sentito, sentito con il cuore e il cervello come l’aggressore. E di fronte all’aggressore due sono le reazioni umane: l’immobilità o la difesa. E la difesa è anche aggressione.
Facciamola corta: a meno che Francesco Sicignano non abbia sparato a un ladro già in fuga colpendolo alle spalle (e così non pare proprio che sia) la misura della giustizia può non coincidere con la misura delle vita reale. A un ladro in casa puoi sparare, lo dice anche la legge. Puoi sparare quando il ladro rappresenta una minaccia fisica per te o i tuoi cari e anche quando è una minaccia in atto per i tuoi beni. In una notte in una casa un ladro: difficile chiedere a chi si trovasse nella condizione di Francesco Sicignano di misurare attimo per attimo, metro per metro l’entità e la collocazione della minaccia. Difficile, nessuno di noi saprebbe misurarla per se stesso. Quindi Francesco Sicignano, va bene. Va bene quasi tutto. A meno che non gli abbia sparato in fuga. Per la legge e anche per ovvio senso (consenso di meno) non puoi sparargli mentre scappa che sarebbe vendetta.
Va bene quasi tutto. Quasi, il ladro non era armato. Ma nessun Francesco Sicignano può essere chiamato a esaminare, distinguere. Doveva accendere la luce, perquisire? Quasi, il ladro non era proprio in casa, almeno alle tracce di sangue e ai primi rilievi. Ma nessun Francesco Sicignano può essere chiamato a ritrarre la pistola sul far del balcone. Se hai una pistola e la impugni, se così affronti i ladri in casa nessuno procede secondo manuale e secondo situazioni previste come standard. Magari un altro al posto di Francesco Sicignano sceglie di non averla la pistola. Magari un altro sceglie, valuta che nessun oggetto o banconota in casa valga sparare e uccidere. Magari, un altro…Ma Francesco Sicignano non è quell’altro che potremmo essere noi oppure no. Sicignano è lui stesso e solo lui stesso, un uomo che ha sparato per difendere casa, i beni, i cari, se stesso. Ok, Sicignano, va bene, va bene (quasi tutto).
Ma affacciarsi al balcone a raccogliere ovazione, quello no, quello proprio non va bene. Da quel balcone Sicignano doveva stare lontano. Per pudore e per rispetto. Rispetto di se stesso. Un uomo che ha appena ucciso un altro uomo, anche se per giustificati motivi, non ne è orgoglioso, non va a raccogliere complimenti. Un uomo che ha ucciso, anche se è dalla parte della ragione, è turbato. Gli dispiace di aver ucciso, ne è tutt’altro che fiero. Un uomo che ha ucciso un altro uomo, anche se lo ha fatto per legittima difesa, non se ne pente. Ma se duole perché uccidere segna anche l’uccisore, pesa per sempre sulla sua vita. Purché l’uccisore, chi ha ucciso sia pure nel giusto, sia consapevole di aver ucciso un altro uomo…
Ecco perché no quel balcone a prendere applausi non ci doveva essere. Si è fieri e orgogliosi e si va a raccogliere incitamento e applauso quando si è ucciso una fiera, una bestia, un non uomo. Ecco, Sicignano e ciascuno di noi nella stessa situazione può avere il diritto di difendersi fino ad uccidere. Ma gloriarsi di aver abbattuto, infierire sull’ucciso riducendolo a trofeo questo no. Su quel balcone Sicignano ha rapinato se stesso dalle ragioni che pure aveva. E poco importa che intorno e sotto quel balcone fossero moltitudine pronta ad essere banda.