Inflazione, licenziati, imprese. Bce, Atene, Roma: “abbiamo un problema”

di Mino Fuccillo
Pubblicato il 30 Settembre 2011 - 13:27 OLTRE 6 MESI FA

ROMA- Francoforte, abbiamo un problema… La Bce ha fatto intendere, o almeno così hanno capito le Borse e i mercati, che il 6 di ottobre abbasserà i tassi di interesse, il costo del denaro. Serve perché l’economia rallenta in tutto il continente, serve denaro meno caro alle imprese e all’intero sistema del credito. Ma l’ultima rilevazione dell’inflazione parla di una crescita arrivata al tre per cento. E, con l’inflazione al tre per cento, abbassare i tassi di interesse è rischio grande. In periodi di crisi economica o bassa crescita l’inflazione non è un problema perché in questi casi di solito inflazione non c’è o al massimo è contenuta nei limiti “classici” giudicati tollerabili dalla Bce, cioè entro il due per cento. L’inflazione al tre e passa per cento è tollerabile solo se l’economia “tira” e il passo della crescita del Pil è almeno tra il due e il tre per cento. Altrimenti il guaio diventa doppio: bassa o nessuna crescita più inflazione. Sono due “malattie” che se si sommano mandano l’economia, e la società, in depressione molesta. Sì, la Bce, Francoforte, ha un problema…Un altro oltre a quello dei “debiti sovrani”.

Atene, abbiamo un problema…Il primo ministro greco Papandreu quando è andato dalla Merkel ha detto, ai greci e agli europei, “il mio problema non è essere rieletto, ma salvare il paese”. Infatti, anche se riuscisse a salvare la Grecia, i greci non lo rieleggerebbero. Ed è questo il dramma della democrazia, oggi quella greca, domani…E’ questo il problema di Atene. Ammesso e  concesso che la Grecia ce la faccia a dimezzare e ripagare il debito sia pur con l’aiuto dell’Europa, l’immagine che i greci vedono è quella della “troika” dei commissari europei che sbarcano ad Atene portando con una mano i soldi e con l’altra chiedendo i licenziamenti dei pubblici dipendenti. I greci vedono questo, non vedono che i pubblici dipendenti sono 750mila su una popolazione di undici milioni. Vedono i licenziamenti e occupano strade e ministeri con la loro protesta. Il prezzo del salvare il paese può non solo essere quello di un’elezione persa da chi lo salva. Può essere più alto, molto più alto. Può essere quello della sfiducia e rabbia verso la stessa democrazia greca. Insomma la Grecia può non farcela socialmente a reggere l’essere salvata dalla bancarotta. I greci potrebbero dare alla democrazia la colpa dell’esser salvati ad un prezzo sociale troppo alto. Per questo lasciar fallire la Grecia può essere una scelta non solo finanziaria ma anche politica: ad Atene può saltare un anello delle democrazie europee. Ed anche questo, oltre a quello del debito, è un contagio che si può estendere: non all’Irlanda, forse non al Portogallo, ma all’Italia forse sì. Forse bisogna mollare la Grecia per salvare l’Italia, anche se il default greco costerà moltissimo alle economie europee. Può diventare una scelta obbligata di amputazione per non vedere le democrazie travolte dal costo sociale del risanamento.

Roma, abbiamo un problema…Il problema è che tutte le associazioni di coloro che fanno impresa e producono, non solo Confindustria, si stanno facendo per disperazione “governo”. Un piano di governo è il “Manifesto delle imprese” reso noto oggi (Qui trovate il testo integrale). Scrivono, gridano che c’è troppa spesa pubblica, spesa pubblica che cresce nonostante tutto e nonostante tutte le manovre: dal 42 circa al 46,7 per cento del Pil. Con questo livello di spesa pubblica non c’è crescita del Pil che possa tenere il passo. Quindi minor spesa pubblica, a partire da quella “politica” e fino a quella previdenziale di un’Italia che paga pensioni per 72 miliardi annui a pensionati diventati tali prima dei 64 anni. Scrivono, gridano che vanno abbassate le aliquote minime dell’Irpef e le tasse sull’impresa finanziando questo calo fiscale con una patrimoniale minima ma fissa e non una tantum, con il divieto a pagamenti in contanti superiori a 500 euro, con l’obbligo in dichiarazione fiscale non solo del reddito percepito ma anche dello stato patrimoniale del contribuente. Scrivono e gridano che professioni e servizi pubblici vanno liberalizzati e privatizzati. Scrivo e gridano che da “troppo tempo” un governo che faccia, che voglia fare questo non c’è e che il “tempo è scaduto”. Disperate le imprese si fanno governo, ma governo non sono e non possono essere. Il problema di Roma è che un governo come lo implorano le imprese in Italia non c’è, non quello in carica e neanche quello che le opposizioni potrebbero assemblare. Un governo così non c’è e neanche si intravede domani perché il programma di governo steso e gridato dalle imprese non è quello della politica. Un  bel problema, a oggi senza soluzione.