Miseria e Nobiltà nel Salva-Italia. Le mani in tasca al Paese-Saponetta

Mario Monti (foto Lapresse)

ROMA – Miseria e nobiltà del “Salva-Italia”, cioè le mani in tasca al paese-saponetta. Miserevole e sgusciante è il fare dei parlamentari: adesso promettono tagli ai loro emolumenti da decidere, attuare quando non si sa, entro gennaio. Se mai sarà, sarà sempre troppo tardi: dal primo giorno di gennaio tutti gli altri italiani, chi più chi meno qualcosa paga. Loro, i parlamentari, dovevano essere i primi.

Saranno, ed è tutt’altro che sicuro, gli ultimi. Pagare poco, pagare tardi, pagare ultimi: questa la “miseria” politica ed anche etica dei parlamentari. E “misero” anche il governo che tutto questo non ha saputo o potuto impedire. Miserevole e urticante è piagnisteo arrogante degli eletti nei consigli provinciali: vanno in corteo, corteo guidato dal leghista Roberto Cota, alla Corte Costituzionale. Vanno alla Corte a difesa della loro poltrona dichiarandola intoccabile istituzione. Miserrimo è il fare e l’affannarsi dei consiglieri municipali, raccontano che il loro “gettone” è la prima pietra della democrazia e, niente meno, la garanzia del buon governo a livello territoriale per ci cittadini. Miserando, intellettualmente miserando, è il pianto rivendicativo degli eletti nei Comuni e nelle Regioni: dicono, lacrimano che con i tagli non ce la fanno a garantire i “servizi sociali”. Dicono “servizi” ma intendono aziende, quelle aziende pubbliche che loro ritengono avere diritto naturale ad essere gestite in perdita, l’idea che un ospedale o una linea di trasporto pubblico possano esistere senza bilanci in perdita non li sfiora, anzi li turba e sconvolge. E “misero” è anche il governo che, bloccato o impotente nel ridurre qualcosa degli ottocento miliardi di spesa pubblica, dei 30 miliardi che chiede al paese per “salvarsi” ben 25 debba chiederli sotto forma di tasse.

Miserevole e prepotente è il fare dei tassisti, dei farmacisti, degli avvocati o almeno delle loro rappresentanze sindacali e professionali. Miserevole e prepotente non perché facciano lobby e da legittima lobby difendano i loro interessi. Miserevole perché spacciano e travestono il dolore per un eventuale mancato incasso da difesa degli interessi di tutti. Il tassista che non si oppone per le sue tasche ma per “la libertà di movimento”, il farmacista che di fronte alla possibilità di veder limato l’incasso dalla vendita anche altrove dei farmaci di fascia C, grida alla “salute pubblica in pericolo”, l’avvocato che difendendo la parcella assume la posa del baluardo della “giustizia”. Sono lobby, tre delle tante, e prepotente è il loro travestimento da custodi dei diritti dei loro clienti quando legittimamente provano a difendere le loro tasche. Lo facciano e abbiano al decenza civile di farlo per quel che è. E “misero” è il governo che, soggiacendo alla “forza delle cose”, qualcosa loro concede.

Misero, politicamente e socialmente misero è il fare e il pensare, lo sguardo corto e il braccino monco dei sindacati. Irati e iracondi vanno in piazza a negare al governo “legittimità” in quanto governo di non politici e non eletti. Legittimità che, a dire di Cgil, Cisl, Uil e Ugl, il governo può però trovare. E dove? Nella “investitura” che i sindacati possono, anzi avrebbero il diritto di dare o negare al governo. E i sindacati chi mai li ha eletti a tutori e interpreti dell’interesse generale? Stupiscono indignati la Camusso, Bonanni e Angeletti che Monti li abbia informati solo su pensioni e contratti di lavoro e non su fisco, politica di bilancio e, perché no, politica monetaria ed europea. Stupiscono di non poter esercitare diritto di veto, di non essere loro parte integrante ed eterna del governo reale del paese. Vogliono “concertazione”, cioè non si muova foglia che sindacato non voglia. E poi, quando si va a vedere cosa vogliono, si vede che vogliono mantenere il diritto di andare in pensione a 59 anni. Diritto per quelli che 59 o 60 anni li hanno o ci sono “quasi arrivati”. Diritto per i “loro” e degli altri…degli altri ci pensino altri.

Miserevole è il piangere, il dire e il fare di buona parte di quelli che piangono miseria. “Miseria” di un paese che ha ricchezze private accumulate per 8.640 miliardi. Il 45% per cento di questa ricchezza è nelle mani del 10% dei cittadini, mentre la metà degli italiani dispone solo del 10 per cento degli ottomila e passa miliardi. Ma è soprattutto quel dieci per cento che ha quattromila miliardi e passa in tasca che piange miseria, con i giornali e le tv che fino a ieri erano di governo diventati “di lotta” e che gridano alla “rapina”.

Miserevole è non la bandiera della “equità” della quale tutti si ammantano, primi tra tutti i giornali, i movimenti e le organizzazioni che fino a ieri erano di opposizione. Equo certo proteggere chi davvero campa di una pensione, fino a 1.400 euro e anche oltre. Ma equo anche proteggere un pensionato a doppia o tripla pensione, equo anche proteggere la pensione di sopravvivenza di chi non sopravvive ma vive con altri redditi e patrimoni? Equo certo limitare al massimo la tassa sulla prima e sola casa di abitazione per chi ha un reddito basso. Ma dei redditi “bassi” degli italiani non ci si può fidare: la mappa delle dichiarazioni fiscale è oscenamente bugiarda. E allora “sconto” di 50 euro a figlio. Equo lo sconto per chi ha tre figli ma guadagna 100mila euro l’anno di cui ne nasconde 80mila?

E di nobile, di nobile che c’è nel “Salva-Italia”? Il taglio del 15 per cento delle pensioni sopra i 200mila euro, ma sono duemila in tutta Italia. Di nobile c’è un tentativo, un accenno di tassazione progressiva sul patrimonio accumulato e visibile: lo 0,1 per cento sulle attività finanziarie di ciascuno. Tentativo, accenno di tassazione progressiva, l’unica davvero equa e giusta, sul patrimonio. Solo sul patrimonio perché sul reddito non si può essendo il reddito vero e reale nascosto dall’evasione di massa. Di nobile c’è il tentativo, l’accenno ad un contrasto all’evasione partendo dai movimenti dei soldi sul conto corrente. Ma tutti dicono e gridano al fisco “spia”. Di nobile c’è l’intenzione, contrastata e diluita dalla petulante richiesta di “gradualità” di un sistema pensionistico in cui ciascuno prenda di pensione quanto ha dato in contributi.

Di nobile c’è, ci sarebbe soprattutto una pedagogia politica e civile, una lezione che però viene impartita ad una scolaresca di sordi. Pedagogia che consiste nel dire che non “ce lo impone l’Europa”, non è “punizione o amaro calice” che qualcuno ci fa bere a forza. Pedagogia che ci invita a scegliere, qui, ora e subito, come cambiare lo storto e ingiusto sistema fiscale, la squilibrata e folle ripartizione delle ricchezze, lo Stato concepito e usato come bancomat per ogni sorta di spesa, il welfare, lo Stato sociale che paga a piè di lista e che sempre più debito sia. Ma la “scolaresca”, anche se sta ferma, inchiodata nei banchi, non ascolta e non apprezza. Aspetta sempre più ansiosa e infastidita la “campanella” che suoni e segnali la fine dell’ora di “responsabilità”. Aspetta e freme e nel frattempo tenta di evitare, sfuggire, gruppo, per gruppo, categoria per categoria, corporazione per corporazione, che “l’interrogazione” tocchi proprio a lui. Miseria e nobiltà, nel vecchio film di Totò c’era alla fine il lieto fine. Miseria e nobiltà, nel “Salva-Italia” il lieto fine è un caso, una minima possibilità, comunque non prevista dalla sceneggiatura. Il lieto fine in questa tragi-commedia è un finale assolutamente a sorpresa.

 

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