Monti: bastone e cappello! Per mettere in mutande Berlusconi e…

Mario Monti passeggia per Milano il giorno successivo all’annuncio delle dimissioni (foto Ansa)

ROMA – In tempi e mondi lontani, si stenta a credere siano esistiti davvero, un gentiluomo un po’ snob, tipo uno con il loden, talvolta gentilmente chiedeva, con tono però che sapeva di irrevocabile ordine, “bastone e cappello”. Se questo avveniva a metà della cena, della riunione, della conversazione, la richiesta di “bastone e cappello”, cioè l’indispensabile per infilare la porta, significava che a giudizio del gentiluomo l’ambiente e la situazione erano diventati infrequentabili. “Bastone e cappello” perché non era più il caso, non era più dignitoso né utile restare lì un minuto di più.

Ma infilare la porta sillabando “bastone e cappello” non era una movenza dandy, era un gesto macho: significava mettere in mutande il responsabile dell’imbarazzo che aveva reso infrequentabile la situazione, mettere in mutande lui e chi non si accodava a chiedere a sua volta “bastone e cappello”. Significava additare senza alzare la voce, senza strepiti ma nella maniera più gelida e tagliente che lì da dove era il caso di andar subito via c’era qualcuno o qualcosa che appestava l’aria, la cui sola compagnia comprometteva e sminuiva che restava sotto lo stesso tetto, fosse una casa, un circolo, un’assemblea. Ecco, Mario Monti con mossa snob e macha ha chiesto “bastone e cappello” e ha messo in mutande Silvio Berlusconi.

Quei tempi e quei mondi lontani non sono i nostri e quindi forse a Berlusconi bisognerà spiegarglielo e, dopo che gli sarà stato spiegato, Berlusconi farà spallucce: cosa vuoi che importi a Berlusconi di essere messo politicamente in mutande? E’ la sua condizione naturale, il suo habitat elettorale, il “segno” seguendo e in nome del quale conta di ritrovare una decina di milioni di italiani elettori. Lui in mutande ci vive e sta ritrovando anche quelli in canottiera.

Spallucce dunque, ma il “bastone e cappello” di Monti alla pianificazione elettorale di Berlusconi ha rotto le scatole. Due o tre settimane in meno in cui andare a raccontare che Merkel ci ruba i soldi, che sotto l’euro truffa ci cova, che l’Europa ci imbroglia e che Monti è il valletto maggiordomo, anzi l’infiltrato dello straniero: si vota a febbraio e non a marzo 2013. Addirittura cancellati i tre mesi di tiro al bersaglio con il “governo delle tasse e dei banchieri” ancora in carica: tra 15 giorni il governo Monti sarà ufficialmente dimissionario.

Ma queste in fondo sono robe da cortile, il motivo per cui Monti prende subito “bastone e cappello” è che due, tre mesi in cui il Berlusconi “ridisceso in campo per vincere” grida in ogni luogo che spezzerà le reni alla Merkel e che farà vedere i sorci verdi all’Europa possono convincere, eccome se possono. Convincere l’Europa che l’Italia è un posto troppo rischioso, persino insalubre. Per i prestiti, le garanzie, i finanziamenti, gli investimenti. Berlusconi e Grillo, molto più Berlusconi di certo, possono convincere l’Europa e il mondo a prendere “bastone e cappello” da casa Italia. Per questo Monti toglie a Berlusconi almeno il trampolino, la sponda della sua permanenza al governo.

C’è poi altro nella scelta di Monti. Indignazione? Meglio incazzatura, chiamiamola la parabola dell’autobus. C’era un anno fa e poco più un autobus con le gomme sgonfie, carico e carico di gente che non voleva perdere tempo e fatica a gonfiarle. E neanche aveva voglia di spendere per comprare l’olio di ricambio o le pastiglie dei freni. C’era poi sull’autobus una diffusa e popolare convinzione che la benzina fosse un “diritto acquisito”, insomma ci sarebbe sempre stata nel serbatoio anche se nessuno la comprava. Non c’erano bigliettai sull’autobus e neanche fermate obbligate e obblighi da rispettare, si faceva a come veniva. L’autobus era guidato da un driver un po’ brillo che intonava canzoni e guadava nello specchietto sotto le gonne delle passeggere giovani. Questo autobus un anno fa e poco più stava già strusciando il guard rail e puntava diritto al salto di corsia, con relativo schianto e strage dei suoi passeggeri e anche di altri sull’autostrada.

Un anno fa e poco più questo autobus è stato raddrizzato con una brusca sterzata, brusca e violenta. E sono stati chiesti soldi ai passeggeri per pagare la benzina e le pastiglie dei freni e fatica per gonfiare le gomme. Della frizione che non va, del motore vetusto, delle sospensioni che se ne stanno andando nessuno se ne è occupato. Ma un anno dopo i passeggeri, molti, moltissimi passeggeri si accingono a fa causa a chi ha sterzato perché sono volati i bagagli, qualcuno ha sbattuto il naso sul finestrino, ci sono state contusione ed escorazioni. Se voi foste l’autore della sterzata che ha impedito il salto di corsia cosa pensereste dei comitati di cittadini che vogliono da voi i danni perché si sono graffiati le mani o strappati i pantaloni o la gonna nella manovra? Ecco, questo ha pensato Monti, la stessa cosa che più sommessamente aveva pensato Elsa Fornero, colpevole di esserci quanto il gard rail.

Tra i “comitati” di passeggeri che rivogliono indietro lo zucchero e il caffè versati nella sterzata il Pdl è il più imponente. E il più coerente, il driver brillo alla guida era Silvio Berlusconi, il loro capo. Quello che un anno fa e poco più da Cannes raccontava al mondo che in Italia “i ristoranti erano pieni, non si trova un posto in aereo e non vedo proprio dove sia la crisi e il calo dei consumi”. Rivogliono quell’autobus dove non si paga, non si fa benzina, non si fa manutenzione, il conducente balla e ognuno fa come gli pare. Sono l’Italia che vuole ritornare a “come era prima” . Anche, anzi soprattutto se quel “prima” è un mito artefatto e bugiardo. Quel “prima” sono i venti anni in cui l’Italia ha smesso di creare lavoro, ha reso precaria una generazione, ha affossato la produttività, la scuola e l’università.

Sono pericolosi questi “comitati” dell’Italia “come era prima” perché hanno come meta, rivendicazione e obiettivo qualcosa che nella realtà non esiste più o meno non può tornare ad esistere se non torcendo il braccio alla realtà e alla storia. Sono reazionari in senso tecnico, incubano violenza, ruminano fanatismo: Berlusconi è il loro leader naturale.

C’è anche altro “comitato” dell’Italia “come era prima”. Stavolta non c’è la malizia di chi vuole essere risarcito per il disastro che lui stesso ha fatto, non c’è la bava alla bocca, l’isterico scampaci dal mondo di oggi di chi lo segue, c’è però anche qui il capriccio sociale del rifiuto della realtà elevato niente meno che a diritto fondante della libertà. Movimento 5Stelle è al fondo questo, un altro “comitato dell’Italia come era prima”.

Poi ci sono i “Comitati dell’Italia che si aggiusta”: il Pd, Bersani, insomma i Progressisti. Al netto dell’intollerabile e anche ridicola presunzione dei molti nel gruppo per cui “che problema c’è, ci si mette sulla terza via tra spesa e rigore di bilancio, peccato che quegli ottusi di Bruxelles e della Bce…”. Al netto degli Stefano Fassina, e sono tanti, che la vanno a raccontare che “tutto si aggiusta” senza neanche sporcarsi le mani di grasso, basta innaffiare ruote e freni con l’olio di soldi, al netto della Cgil, di Vendola, della Bindi, della “cgilscuola” che ormai è diventata uana categoria dello spirito e dell’agire umano…Al netto di tutto “aggiustiamo l’autobus” può sembrare la soluzione, il tentativo più sensato. Di certo il più “umano” di fronte al “bestiario” della “Italia come era prima”.

Tra questi due comitati di ex passeggeri dell’autobus si svolgeranno le liti elettorali e tra questi c’è da scegliere. Poi ci sarebbe, avrebbe potuto esserci, da qualche parte c’è il Comitato del “cambiamo i connotati all’autobus”. Non per modernismo o nuovismo e non perché sia bello farlo. Perché con l’autobus come era prima si va contro il muro della galleria e perché con l’autobus aggiustato, ammesso si sia capaci di farlo, si resta comunque a piedi dopo un po’ di chilometri, neanche tanti. Perché cambiare i connotati all’autobus è costoso e faticoso, tanti strillano che non vogliono cambiare posto, sono affezionati, si sdraiano per terra, fanno flash mob, gridano al sopruso. Ma è l’unica, anzi sarebbe l’unica cosa da fare: un popolo, se è anche una nazione e una società civile, oltre che una gente e tanti comitati di interesse, lo capisce.

Lo capisce? Il comitato del cambiamo i connotati all’autobus è cosa lieve, dispersa, minoritaria in ogni angolo del bus, in ogni fila di gradini e sedili. L’eccezione Monti è finita, l’Italia torna alla sua normalità. L’Italia politica e civile non ha usato quell’eccezione, e sì che l’ha pagata in soldoni sonanti, per capire e volere un Comitato del cambiamo i connotati all’autobus. Ipotesi questa che, come sempre, desta rigetto, intolleranza, fastidio.

Quindi normale campagna elettorale, normalmente uguale a quelle del 2006 e del 1996: gli “aggiustatori” favoriti dopo i danni di quelli che “ognuno guida come gli pare”. Aggiustatori che però non vogliono e non sanno di pezzi nuovi o addirittura di pezzi e tecnologie “altre”. E gli oranti dell’arcadia sociale per i quali la soluzione di tutto e nell’interesse di tutti è in un pc, e un vecchio che non sa invecchiare che chiama il paese a fondere in un braciere i suoi risparmi, le sue pensioni, la sua moneta per non pagare l’Imu e a muovere in guerra contro i comunisti e i banchieri alleati come insegna ogni manuale del perfetto reazionario, dal tempo dei Gracchi fino a quello di Hitler. Sarà una pirotecnica festa di clamori e orrori.

Scrive Mario Calabresi, direttore de La Stampa: “Sarebbe tempo che anche l’Italia diventasse un paese prevedibile e magari noioso, un paese di cui non ci si deve vergognare. Per un anno ci siamo andati vicino”. Amen, l’eccezione è finita e quel che comincia non è certo la “ricreazione” che molti sognano dopo “i compiti a casa”.

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