ROMA – Giorgio Napolitano non vede “boom” elettorali di nessuno in particolare e, forse molto forse, stando attenti anzi pignoli alle proporzioni, in generale non ha tutti i torti: i partiti “forti” in Italia viaggiano poco sopra il 20 per cento, quelli “vincenti” viaggiano intorno al dieci per cento. Numericamente corretta, la “pignoleria” istituzionale del capo dello Stato non riesce però a nascondere un rammarico che affiora, Napolitano è troppo intelligente ed esperto per non aver visto e capito che l’elettorato italiano il 6 e 7 maggio 2012 ha detto in molte lingue ma con comune linguaggio No a quel che la presidenza della Repubblica ha costruito a novembre 2011. E’ stato il voto di un paese che non ci sta, non ci sta alla crisi economica e all’inevitabile dazio e prezzo che questa comporta, non ci sta ai partiti politici per quello che sono stati, sono e promettono di essere, non ci sta al governo Monti, al suo messaggio, alla sua cultura e ai suoi provvedimenti.
Un voto metà francese e metà greco scrivevamo ieri a scrutinio ancora da iniziare e a “proiezioni” ancora da lanciare. Non era difficile, non ci voleva “la zingara” per indovinare. E infatti il voto amministrativo di maggio italiano è stato “francese” perché ha stabilito che solo intorno al Pd è possibile provare oggi a costruire un’alleanza e un’ipotesi di governo. Quale poi questa possa essere e quanto possa funzionare, sono altri discorsi. Ed è stato anche “greco” perché i due necessari pilastri di un centro-destra e di un centro-sinistra capaci di governare senza uscire dai binari dell’Europa e dell’euro sono l’uno franato e disperso, il Pdl, e l’altro ancora in piedi ma non dotato di una “forza di gravità” politica e di una massa di consenso in grado di farne il “sole” intorno a cui ruotano partiti che con il Pd dovessero allearsi. Pd più Pdl più Terzo Polo, le forze che oggi sostengono il governo Monti e che già non si sa se continueranno a farlo domani, “valgono” sul mercato elettorale italiano poco più del 40 per cento. I sondaggi stimavano questa “strana” somma al cinquanta per cento. Alla prima prova dei fatti manca un dieci per cento e non è cosa da poco. Il voto italiano è “greco” perché tutto il resto è fuori e contro, appunto non ci sta né alla crisi, né ai partiti né a Monti.
Tutto il resto è il dieci per cento di Beppe Grillo, l’altrettanto cui arrivano con fatica sommandosi Sel di Nichi Vendola e Italia dei Valori di Di Pietro, quel che resta della Lega che può essere stimato in un 5/7 per cento. Fa 27/30 per cento dell’elettorato che è chiaramente ed esplicitamente “contro” la crisi e “fuori” dal metodo Monti per affrontarla, che è “fuori” dalla logica delle compatibilità, del doveroso risanamento finanziario, del basta debito e “contro” chi vuole attuarlo, che non esiterebbe a mettersi “fuori” dall’euro e “contro” l’Europa. Trenta per cento, tanto. Ma non è sempre meno del quaranta per cento cui arriva la “strana somma” Pdl, Pd, Terzo Polo? No, non è “meno”, quel 30 per cento è di più di quel 40 per cento e non è un paradosso.
Primo perché quel 40 per cento non si “somma” se non nella “strana” vicenda del sostegno a Monti. E un quaranta per cento che ha anzi una voglia matta e pare ormai incontenibile di separarsi. Lo gridano Gasparri e Cicchitto, ma lo grida anche Fassina. Il Pdl neanche parteciperà più ai vertici a tre, Bersani dichiara che di “grande coalizione” non se ne deve neanche parlare. Hanno fretta di lasciarsi in fretta. E lasciarsi per correre entrambi nella terra dei dubbi e dei distinguo rispetto a ciò che Monti fa e rappresenta. Il 70 per cento degli elettori Pdl è contro Monti, il 43 per cento degli elettori Pdl alle amministrative si è astenuto. Più della metà degli elettori del Pd vuole “Hollande in Italia” al posto di Monti. E se il Pdl si sfila e passa ad un malmostoso “appoggio esterno” al governo è nozione comune e condivisa dentro il Pd che da solo il Pd non può permettersi di tenere in piedi Monti, ne uscirebbe dissanguato di consensi e di voti. Quindi quel quaranta per cento è friabile come gesso, unito come una coppia di divorziati in casa, stabile come una frana già partita.
Invece il 30 per cento del “non ci sto” gridato e già votato è solido, una massa solida in crescita. Anche se muta e cambia nelle sue componenti. Oggi predomina la componente Cinque Stelle e Beppe Grillo: i suoi nuovi elettori provengono o meglio l’altra volta avevano votato Pd al 24 per cento, Lega al 16 per cento, Pdl al 13 per cento…Insomma arrivano da ogni dove, anche dall’area del non voto. E portano istanze che una volta si sarebbero detto “di sinistra”, oppure “leghiste”, oppure “populiste di destra”, tutte insieme, tutte mischiate, tutte ancor vive dentro un fiume che ingrossa. Se Cinque Stelle cresce, necessariamente deperisce un po’ Di Pietro e Vendola e anche la Lega. Ma è roba “tosta” che cresce e crescerà: qualunque sia la sua forma e il suo nome cresce e crescerà ancora il non ci sto alla crisi, ai partiti, a Monti, il contro e il fuori l’Europa e l’euro. Perché alla “conta” mancano sia quelli che non hanno votato, stavolta il sette per cento più dell’ultimo appuntamento, sia quelli che hanno votato una delle niente meno 2.700 liste civiche. Una gigantesca lista civica è stato il successo di Leoluca Orlando a Palermo. Una gigantesca lista civica è stato il trionfo di Flavio Tosi a Verona. Dentro l’astensione e dentro il voto per le liste civiche c’è spazio e nutrimento per ingrossare il “non ci sto”.
Accenno e promessa di Francia, cantiere e materiali di Grecia: questo c’è nel maggio elettorale italiano. Tra sei o dodici mesi si voterà per le politiche. Forse già tra sei mesi perché il voto di maggio ha colpito eccome il governo, probabilmente lo ha paralizzato di fatto. Il Pdl chiederà subito di allentare sulle tasse, il Pd chiederà subito spesa pubblica sociale. Anzi entrambi i partiti lo hanno già fatto un’ora dopo i risultati. Si rischia che a tirarla lunga a governare non sia Monti ma quel che resta di Monti. Tra sei o dodici mesi: con un elettorato di destra ora sparito ma che non può essere evaporato, un elettorato che premiava e osannava Berlusconi quando sfasciava il bilancio e le casse pubbliche e lo punisce e abbandona quando mostra responsabilità finanziaria. Questo elettorato alle politiche qualcosa farà, è come un fiume carsico, fiume potente che cerca uno sbocco e lo cerca anche lui nella terra del “non ci sto”, del “fuori” e del “contro”. Tra sei o dodici mesi: con un Pd che si farà alleanza con Vendola e forse di Pietro e, ci fosse dentro anche Casini, si troverà a gestire un 35/40 per cento dei voti che potrebbe anche risultare “primo” ma che non sarà maggioranza e, peggio, non sarà unito al suo interno. E’ questa appunto la soluzione “francese” con le sue speranze e i suoi limiti. Limiti stretti perché l’elettorato dei “non ci sto”, del “fuori” e del “contro” è a ben contarlo già 60 per cento, è maggioranza.
Con le notizie non si polemizza, piaccia o no è così. E non si polemizza neanche con i risultati elettorali in quanto risultati e con la volontà popolare espressa per via elettorale: il paese non ci sta. A tagliare la spesa, a pagare le tasse, a soffrire per la crisi, a delegare il timone ai partiti politici e neanche ai tecnici. Ad andare in pensione più tardi, ai contratti di lavoro non garantiti. A rinunciare ai sussidi. A pagar prezzo per tenersi l’euro e l’Europa. Il paese non ci sta e lo dice votando, come usa in democrazia. E neanche con la democrazia si polemizza. Resta però la libertà di analizzare il voto liberamente e chiaramente espresso: un voto che alla fine altro non è che un corpo “greco” con maquillage “francese”.
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