Il Gran Bugiardo del caso Napolitano. O Panorama inventa o Procura “canta” o…

ROMA – Sui nastri, ufficialmente mai sbobinati, delle conversazioni telefoniche tra Giorgio Napolitano capo dello Stato e Nicola Mancino ex ministro degli Interni, ex vice presidente del Csm e all’epoca delle intercettazioni solo un “osservato” da parte della Procura di Palermo, qualcuno di sicuro mente. E mente alla grande. Mente, quel che è peggio, mentre indossa e mostra i panni del “buono”, di quello che lavora solo per i grandi valori, per il popolo, per la verità e l’interesse generale. Chi sia questo Gran Bugiardo non è finta ingenuità non saperlo e quindi non additarlo. Allo stato di fatti chi sia non si sa, ma i fatti sono come il tempo, questo alla lunga è “galantuomo”, quelli, i fatti, a metterli in colonna diventano una guida per arrivare al Gran Bugiardo. Certo una guida per chi ha gambe per camminare, voglia di farlo e coraggio civile, personale intellettiva onestà di andare dove i fatti conducono, fosse anche alla porta, all’indirizzo di uno per il quale si provava simpatia, per il quale ci si era schierati.

Fatto numero uno, le intercettazioni ci sono, come pure ci sono state le conversazioni. E, nell’ambito delle sue indagini sull’ipotesi di una trattativa Stato-Mafia all’inizio degli anni ’90, la Procura di Palermo di Francesco Messineo e Antonio Ingroia ascolta il telefono di Nicola Mancino che gli inquirenti sospettano non aver raccontato loro tutta la verità su quegli anni. La Procura ascolta quando Mancino parla con Loris D’Ambrosio, collaboratore giuridico di Napolitano, morto da poco di “crepacuore”. E ascolta quando Mancino parla direttamente con il capo dello Stato. La Procura ascolta, registra e non “mette giù”. Anche se ad un capo dell’immaginario filo telefonico c’è l’unica istituzione, l’unica persona a regola di Costituzione non “intercettabile”, la Procura ritiene che il presidente della Repubblica sia solo l’oggetto di una “intercettazione casuale”. Quindi registra il contenuto delle conversazioni e lo mette in cassaforte.

Fatto numero due, ad un certo punto si viene a sapere, diventa di pubblico dominio che queste conversazioni ci sono state e che ci sono questi nastri e queste registrazioni. Si viene a sapere tramite i giornali. Giornali che fanno il loro lavoro, niente di più, niente di meno. Forse qualcosa in più e qualcosa in meno di quel che sarebbe il loro lavoro a dire il vero, ma questo un po’ di più in schieramento e un po’ di meno in attendibilità è lo standard dell’informazione in Italia. Quindi fin qui davvero nessun problema. Però alla redazione de Il fatto non è che quei nastri siano apparsi in sogno e neanche che inviati “superspeciali” capaci di travestirsi da magistrati o carabinieri siano entrati alla Procura di Palermo. Alla redazione de Il Fatto che colloqui e intercettazioni c’erano stati e c’erano qualcuno lo ha detto. E glielo ha detto perché voleva farlo sapere in giro che quella roba c’era. Succede sempre così, tranne una decina di volte al secolo ai giornali se qualcuno le cose non le dice i giornali non le trovano certo da soli, neanche il famoso Watergate…Dunque qualcuno vuol far sapere che Mancino, sospetto, parlava con Napolitano presidente. E che i due sono stati registrati, e che le registrazioni sono in un cassetto.

Fatto numero tre, la Procura di Palermo a più voci e senza tema di dubbio ci tiene a far sapere che i contenuti di quei colloqui sono “penalmente irrilevanti”. Tradotto, dentro non c’è nulla che possa essere utile per le loro indagini sulla presunta trattativa Stato-Mafia e niente anche riguardo a qualunque altra ipotesi di reato. Nonostante questo, qualcuno ha voluto far sapere che quei due si parlavano e che sono stati registrati.

Fatto numero quattro, la legge obbliga alla distruzione di quei nastri. Cosa che sarebbe pacificamente potuta accadere se non si fossa sparsa la voce per il paese che quei nastri c’erano. Dal momento che questa notizia è stata diffusa, un bel po’ di opinione pubblica si è schierata con il “perché tutti possono essere intercettati e il capo dello Stato no?” e con il “se vogliono distruggere i nastri, allora sotto ci deve essere qualcosa!”. L’effetto che voleva ottenere chi ha fatto arrivare ai giornali la notizia che c’erano state conversazioni e pure registrazioni, anche se “penalmente irrilevanti”, è stato ottenuto: è diventata questione politica. Di qua quelli che vogliono “appurare”, di là quelli che vogliono “cancellare”. Guarda caso, la stessa “narrazione” che sostiene l’ipotesi di indagine sulla trattativa Stato-Mafia.

Fatto numero cinque, la Procura di Palermo sostiene in punta di interpretazione della norma che i nastri in questione possono essere distrutti solo in apposita udienza cui partecipano gli avvocati delle parti. Insomma, possono di fatto essere distrutti solo dopo che sono diventati potenzialmente pubblici nei loro contenuti più o meno ricostruiti a memoria o con altro mezzo da chi in quella udienza potrà ascoltarli.

Fatto numero sei, il presidente della Repubblica si rivolge alla Corte Costituzione perché questa dica se il comportamento della Procura di Palermo è conforme alla Costituzione. Napolitano rileva un vulnus, una ferita al potere di garanzia che la presidenza della Repubblica esercita. In parole povere: che il presidente della Repubblica possa parlare senza essere intercettato né ascoltato quando tratta per la formazione dei governi o lo scioglimento delle Camere o con gli interlocutori internazionali o con la Bce o il Fmi quando questi si confrontano con lui ad esempio sulla tenuta della finanza italiana, non è privilegio. Al contrario è garanzia per tutti i cittadini. Se si intercettano e si fa in modo da rendere pubbliche le sue conversazioni si intacca questa garanzia per tutti. Per politico privato interesse si provoca danno generale. La Procura di Palermo non replica direttamente al capo dello Stato, ma in varie interviste i suoi maggiori esponenti fanno sapere di ritenersi nell’ambito della giusta procedura e comunque di ricercare solo la verità.  Tra una ventina di giorni la Corte Costituzionale dovrebbe pronunciarsi e dire chi ha ragione.

Fatto numero sette, ad una ventina di giorni dalla sentenza della Corte Costituzionale il settimanale Panorama “riassume” con parole sue quello che sarebbe il contenuto delle telefonate Mancino-Napolitano. Si può a nostra volta riassumere il riassunto, con parole nostre. Tanto le parole originali e vere di quelle telefonate tutti negano di averle ascoltate direttamente. E’ un festival del pare che, dicono che, sarebbe… Forse un qualcosa del tipo: di Berlusconi all’estero non si fidano, con lui al governo rischiamo l’osso del collo? Sai che rivelazione, era la scorsa estate, era scritto su tutti i giornali, lo avevano stampato in faccia e lo facevano vedere Angela Merkel e Nicolas Sarkozy, era nei fatti, piacessero o no. Forse un qualcosa del tipo: quel Di Pietro gioca allo sfascio. Opinione opinabile ma non campata in aria come i mesi successivi si incaricheranno di confermare. Qualcosa del tipo: in quella Procura si sentono gli unici cavalieri della verità, gli unti dalla verità. E allora, se anche così fosse stato detto? Comunque Panorama pubblica, inaugura un nuovo format: il testo autentico di un documento che si dichiara di non possedere, anzi di aver consultato di seconda mano. Per star sul prudente Panorama ci fa la copertina e ci scrive sopra “Ricatto al presidente”. Ricatto che sarebbe in quelle frasi che di preciso non si sa quali siano, frasi contenute in quei nastri ufficialmente non sbobinati, nastri che dovrebbero essere distrutti tra breve se la Corte Costituzionale lo deciderà. Si aggrega a Panorama Antonio di Pietro che in una intervista “ipotizza” qualche “parolaccia di troppo di Napolitano” e via “ricostruendo” il contenuto di quei nastri.

Fatto numero otto, qualunque cosa ci sia in quei nastri, dopo questo Panorama e questo Di Pietro, una porzione non minima di italiani penserà che in quei nastri ci sia stato chissà cosa. Soprattutto se verranno distrutti a norma di legge e sentenza di Corte.

Fatto numero nove, o Panorama e Di Pietro hanno inventato tutto, proprio tutto. Perché come dice Ingroia solo pochi in Procura hanno ascoltato quei nastri e da quei pochi non può essere uscita nessuna “ricostruzione”. Oppure in Procura qualcuno “canta” e non è un inquisito.

Fatto numero dieci, Napolitano ufficialmente giudica essere in atto una “torbida manovra” che è passata dalle “manipolazioni ai falsi”. Di una sola cosa il presidente è sicuro: “Ricattarmi è ipotesi risibile”.

Fatto numero undici, anzi dieci e un pezzetto perché non è un fatto ma una chiacchiera giornalistica: il bau-bau a Napolitano sarebbe intonato anche per convincerlo a sciogliere le camere in fretta, il che converrebbe a Berlusconi che altrimenti rischia a novembre sentenza avversa al processo Ruby che può invece evitare se è candidato alle elezioni che poi anche la Merkel trova fastidioso che i tedeschi votino lo stesso anno degli italiani…Anzi, a pensarci solo un momento di più, neanche un pezzetto di fatto: solo un bolo non masticato di sussurri e date.

Dieci fatti che guidano al Grande Bugiardo. Tutto può essere: che menta chi dice di fornire solo notizie. Che menta chi dice di servire solo la verità. Che menta chi dice di servire solo la Costituzione. Fatevi portare per mano dai fatti e arriverete all’indirizzo più plausibile, dovesse  anche essere quello meno “cliccato” dalle vostre stesse simpatie e affinità. Fatevi guidare dai fatti e accompagnare per mano da questa sorella abbandonata e negletta, sorella fedele della verità: la plausibilità. Quella che per esempio fa chiedere: vi pare plausibile Mancino che telefona a Napolitano e gli dice: guarda che se non mi copri dalle indagini esce tutto fuori di quando trattavamo con i boss e adesso che mi ricordo anche il Kgb sapeva qualcosa, il Kgb, i russi, te li ricordi? Ecco, se vi pare plausibile una ricostruzione più o meno così, con i dieci fatti potete anche litigarci. Altrimenti, altrimenti stavolta il Gran Bugiardo non è il solito maggiordomo, alias il solito Berlusconi.

I commenti sono chiusi.

Gestione cookie