ROMA – La vigilia è stata terribile, percorsa da un senso di gravità che si fa fatica a comunicare alla “gente”. I volti sono tirati, le voci basse, i toni, almeno quelli, hanno l’intonazione appunto della responsabilità. Ci si astiene dal lanciare pubblici allarmi e pubblici proclami, come quando si sta sospesi sotto l’incombere di un guaio grosso e vero. La vigilia è stata almeno un tentativo di essere pronti, almeno pronti e non distratti. Vigilia di riunioni e consultazioni: il Comitato per la stabilità finanziaria convocato da Tremonti, il capo dello Stato che parla con Mario Draghi, cioè con Bankitalia e la Bce. La Borsa arranca ma non è questo il problema: quasi nessuno della “gente” ha ormai in tasca titoli azionari. La Borsa scivola ma è il minore dei mali. Il guaio grosso e vero è quello spread a quota 370. Non era mai successo da quando c’è l’euro, a quota 370 di spread la Grecia aveva già gettato la spugna e chiesto l’aiuto del Fmi e dell’Europa. Quota 370 vuol dire che lo Stato italiano può vendere i prossimi titoli di Stato solo pagando interessi al sei e passa per cento. Al sette per cento ci si “avvita”: non si riesce più a pagare gli interessi sul debito e quindi non si ottiene più credito. Btp e Bot in portafoglio sono in molti tra la “gente” ad averne, pochi o tanti che siano. I “vecchi” Btp e Bot, che pagano interessi tra il 4 e l’uno per cento valgono sempre meno se i “nuovi” titoli pagano il sei. Fino a quando la “gente”, la gente comune riuscirà a non farsi travolgere dalla paura dei soldi in banca, non il conto corrente ma il “deposito titoli” sempre più leggero anche a non toccarlo?
Quota 370: in tutta Europa chi investe e risparmia si fida sempre meno della “solvibilità”, cioè della certezza che gli Stati pagheranno tutti e tutti interi i loro debiti “sovrani”. In tutta Europa, ma in Italia di più, dell’Italia ci si fida ogni giorno di meno senza interruzione dall’otto di luglio. La Borsa che cade, inciampa e arranca segnala che non si crede ad una ripresa economica a breve e di sostanza. Un guaio, ma non il peggiore, qui, ora e subito. Quota 370 segnala che il debito italiano è roba da vendere e non comprare. Senza ripresa economica si sopravvive, male ma si sopravvive. Senza qualcuno che ti compra il debito e con tutti che lo vendono, anzi quasi svendono, si fa fallimento. Economico, politico, sociale. E di questo si sente l’odore, anzi il puzzo, alla vigilia. Non della “speculazione” nemica ed eterea che ci attacca, ma del calcolo che ci assedia: calcolo che l’Italia così com’è messa potrebbe non farcela.
Vigilia dell’ultima mossa del governo, davvero l’ultima. Alle 15 di mercoledì 3 agosto il capo del governo italiano va in Parlamento, a Montecitorio. Lo ascolteranno e lo peseranno quelli che chiamiamo i “mercati”. Mercati percorsi sì dagli speculatori ma fortemente abitati soprattutto da risparmiatori e investitori, grandissimi, grandi e piccoli. Berlusconi deve convincere loro e non certo i 315 circa deputati della maggioranza.
Ecco in sostanza quel che Silvio Berlusconi non può dire, quel che, se lo dice, l’Italia lo paga in miliardi e miliardi di euro, l’Italia tutta, “gente” compresa, anzi in prima fila nello sborsare. Non può dire che “i fondamentali dell’economia italiana sono sani e forti”. L’ha detto per tre anni e, cifre alla mano, era sostanzialmente falso. Se lo ripete, tutti capiscono che dall’Italia, dalla sua finanza, bisogna fuggire. I “fondamentali” non sono sani perché le aziende hanno in media bassa produttività da almeno dieci anni. Perché il mercato del lavoro è ingessato e conflittuale. Perché la spesa pubblica corrente nessuno l’ha fermata davvero. Perché il fisco è oppressivo ma lascia intatti circa 200 miliardi di evasione fiscale. Perchè la carenza di sovrastrutture e l’eccesso di rendite di posizione impongono costi maggiori per l’energia, i trasporti, l’intermediazione commerciale. Perchè il deficit pubblico è stato contenuto ma il debito si allarga. Insomma, se Berlusconi fa ancora quel che ha sempre fatto finora, e cioè “raccontarla”, nessuno se la beve e anzi i mercati la risputano. E non può dire Berlusconi che è “colpa” di qualcun altro: della crisi mondiale, dei governi di prima, di chi sabota il suo governo, delle sue “mani legate”. Se ridice anche questo tutti capiscono che non capisce o non vuole capire. Tutti capiscono in questo caso che il suo governare è solo restare al comando, anzi al potere senza comando.
Ed ecco in sostanza quel che Silvio Berlusconi, quel che il premier di un paese nelle odierne condizioni dell’Italia deve dire. Deve annunciare che il suo governo cambia la manovra appena approvata. Non per renderla più “dolce”, ma per farne una vera manovra. Deve dire che la manovra si anticipa: quella che c’è rimanda tutti gli interventi al 2013/2014. Rinvio a suo tempo pensato e difeso sia perché allora i mercati non avevano ancora ritirato la fiducia all’Italia, sia per non pagare il prezzo elettorale della manovra. Ora tutto quello che porta la data 2013/2014, e altro ancora, deve portare la data 2011/2012. E non è che l’inizio di quel che Berlusconi deve dire. Deve anche far capire con dura fermezza che il suo governo per salvare l’Italia non arretrerebbe di fronte ad una tassa “patrimoniale”. Imposta e riscossa sulla casa, sulla proprietà edilizia. Sulla casa perché altra ricchezza il fisco italiano non sa trovare e altra ricchezza gli italiani nascondono al fisco. Il governo che ha vinto le elezioni anche sull’abolizione dell’Ici deve dire di essere pronto a ripristinare una tassa sulla casa. E ad imporre un “contributo di solidarietà” non solo sulle pensioni sopra i novantamila euro, anche sui redditi sopra quella cifra.
Perchè la pensione se è “d’oro” può esser tagliata e il reddito no? Deve dire Berlusconi e far capire con chiarezza che il suo governo è pronto a vendere davvero qualche grande azienda di Stato. Deve dire che è stato errore da non ripetere il cedimento ieri agli avvocati e domani ad altre lobby professionali. Deve dire che il governo non copre la farsa di deputati e senatori che spacciano come “risparmio” solo la promessa che spenderanno tutti gli euro che spendevano prima e, bontà loro, non aumenteranno le loro spese. Deve dire che non tutta la spesa pubblica è eterna e garantita, anzi in alcuni settori va azzerata, sì, proprio azzerata. Deve concentrare la spesa pubblica in poche infrastrutture, nella scuola, ma non negli stipendi per la scuola, nella formazione professionale, ma non nei corsi di formazione professionale… Deve comunicare al milione e passa di italiani che campano di politica che la politica è azienda in crisi e deve annunciare “cassa integrazione” per quel milione di redditi. Deve comunicare al sommerso e agli affari delle tangenti e dei ricarichi sul preventivo che non saranno aiutati da processi lunghi e depenalizzazioni. Deve comunicare a Comuni come quelli di Catania e Palermo che non saranno più finanziati a piè di lista e all’alleato leghista che anche gli allevatori “padani” devono pagare. Se Berlusconi dirà questo o anche solo la metà di questo i mercati gli crederanno, crederanno che in Italia esiste un governo e non soltanto un ufficio sondaggi-impicci e scaltrezze.
Raccontano le cronache che l’ultima “scaltrezza” cui si lavora è quella di sostituire Giulio Tremonti con Maurizio Sacconi, insomma liberarsi dell’incomodo Tremonti che Berlusconi non sopporta più e che, di suo, ha perso parecchia, troppa credibilità. Scaltrezza condita con la promessa di sette miliardi di denaro pubblico da sventolare tambur battente per aprire nuovi cantieri. Ecco, se questo è l’astuto piano, lo spread d’agosto punterà a quota 400 e sarà questa l’estate in cui la malattia senile del berlusconismo prenderà la forma dell’Italia, anche quella della “gente”, dal portafoglio squagliato.
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