Politici giornalisti incesto e odio, e il sangue mischiato genera mostri

di Mino Fuccillo
Pubblicato il 14 Novembre 2012 - 14:39 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Susanna Camusso la mattina del 14 novembre è andata in piazza a Terni a denunciare: “Una cosa inaudita, il ministro Patroni Griffi ha annunciato il licenziamento di più di quattromila statali”. Peccato che l’accorata denuncia della Camusso sia falsa, nessuno dei quattromila e passa è stato licenziato né lo sarà probabilmente mai. Forse spostato di sede o di lavoro, forse pensionato, forse addirittura in “mobilità”, ma licenziato proprio no e proprio nessuno e comunque nessuno, proprio nessuno era stato licenziato mentre la Camusso comunicava al paese i licenziamenti come cosa fatta. E’ la politica, da noi in Italia è fatta così: spettacolo e sceneggiatura. Teatro e commedia dove vero e falso, verosimile e improbabile sono al servizio della “narrazione”, l’unica cosa che conta. E dove i politici sono attori che seguono e interpretano un testo, narrativo appunto.

Non è un’eccezione la Camusso e neanche una delle più indulgenti alla “recita”. A rigore Susanna Camusso segretario della Cgil non è neanche un soggetto politico ma appunto un leader sindacale. Ma la logica e la cultura, la divulgazione e la semantica, insomma la forma e il contenuto del linguaggio, e a questo punto anche del pensiero, sono identici a quelli della politica. Camusso vuol comunicare che i dipendenti pubblici il governo non li deve toccare e quindi dice, narra degli “inauditi licenziamenti”. Anche e a dispetto del fatto che i licenziamenti non ci sono stati. Così facendo la Camusso, oltre a quello di sindacalista, svolge anche altra funzione, fa come hanno imparato a fare tutti i politici anche altro mestiere: narrano, costruiscono, impaginano, mettono in palinsesto e distribuiscono in titoli una narrazione. Fanno insomma spettacolo e comunicazione.

La cosa ci piace a noi italiani, ci piace un sacco da un sacco di tempo. La bugia della Camusso sui licenziamenti avrebbe potuto pronunciarla tal quale Nichi Vendola o Stefano Fassina o Cesare Damiano o, se del caso, perfino Pierluigi Bersani. Perché nella “narrazione” non c’è per definizione bugia, visto che la narrazione prescinde e comunque prevale sul reale. E comunque siamo in questo caso di fronte ad esempi di “pagliuzze”. In verità grosse come “travi”, ma le vere “travi” sono state fino a ieri grosse come transatlantici.

L’opinione pubblica, accompagnata da stampa e televisione, hanno narrato a se stesse come grande stratega e reincarnazione del cancelliere Bismark uno che ha prodotto rutti, dito medio che volteggia nell’aere e canottiere in villa. Uno che parla di una geografia, storia ed economia che non ci sono. Uno che ha sempre inventato e raccontato favole e balle, private e pubbliche, dalla sua laurea alla “padania”. Uno così è stato narrato dall’informazione, amica o nemica che fosse, come un angelo di genio venuto a miracol politico mostrare. Perché? Perché Umberto Bossi faceva spettacolo e i giornalisti show volevano. Ed è solo un esempio del lungo incesto.

Uno come Roberto Calderoli è stato narrato come  sottil e profonda “Eminenza” della politica, roba che neanche il Rinascimento e Versailles. Calderoli? Quello senza calzini, quello del matrimonio celtico, quell’omone grosso nel fisico nell’eloquio, nel pensiero e nel carattere? Ci siamo narrati e fatti narrare che Roberto Calderoli fosse l’uomo capace di riscrivere la Costituzione, l’abbiamo letto ovunque, con rammarico o con gioia ma tutti l’hanno scritto. Siamo bel oltre i pur approfonditi preliminari del lungo incesto.

E Silvio Berlusconi, narrato come un felice ibrido tra Superman, Padre Pio e Re Mida? Genio del male o genio della felicità, ma la narrazione è stata sempre “magica” perché sempre supponeva che Berlusconi fosse “mago”. Già, un mago di cui rideva, diffidava e prendeva le distanze il mondo, un mago che nulla ha visto e compreso di ciò che accadeva nel mondo dal 2007 in poi. Un mago per bambini, scolari della prima media all’ultimo banco. Questo infatti, come indicò a suo tempo lo stesso Berlusconi, il target della sua narrazione. Berlusconi è lo show perenne, con effetti speciali e lieto fine garantito. E’ la tragedia italiana in cui nessuno si fa mai male davvero. E’ la fonte di ogni nequizia e il vaso di ogni ristoro: perfetto per l’incesto compiuto e conclamato tra politica show e informazione spettacolo.

Ci siamo narrati di statisti come Maurizio Gasparri e Ignazio La Russa, entrambi giustamente lasceranno un segno per le rispettive caricature. Ci siamo narrati di Giulio Tremonti come di uno che Roosevelt gli faceva un baffo. Stiamo narrandoci di Beppe Grillo come di un riuscito mix tra Gesù e Lenin, magari anche uno spruzzo di Garibaldi e Mussolini. Ci piace la narrazione, ad essa ci siamo non solo assuefatti, l’abbiamo richiesta, applaudita, premiata. E per ben “narrare” ci volevano e ci vogliono politici che facciano e sappiano di spettacolo e giornalisti che sappiano e facciano da show. Il lungo incesto è finalmente compiuto e viene quotidianamente consumato.

Con un danno collaterale però non indifferente, quello per cui il sangue così mischiato produce mostri. “Mostri” nell’accezione che aveva nell’omonimo titolo di un filma della commedia all’italiana, “mostri” come esasperazione parossistica di ideal-tipi umani, “mostri” che diventavano di carne e ossa e diventavano cittadini di una cronaca plausibile ma dichiaratamente immaginaria. Decenni dopo la commedia all’italiana il lungo incesto ha rovesciato i fattori: i “mostri” sono i cittadini veri, gli abitanti concreti e non immaginari di una cronaca quotidiana non immaginabile.

Vincenzo Maruccio pupillo di Di Pietro che si mangia al videopoker i soldi pubblici destinati all’Idv oppure che al videopoker ricicla quei soldi pubblici insieme a fondi di altra provenienza e non si sa cosa è peggio. Franco Fiorito del Pdl che si assegna tre stipendi e si paga con i soldi pubblici le vacanze e le macchine. Luigi Lusi che si mette in tasca i milioni della Margherita, Francesco Belsito che accudiva con i soldi pubblici alla privata e vasta “famiglia Bossi”. E ancora e ancora e ancora: gli ex ministri con casa acquistata “a loro insaputa”, le consiglieri regionali che”briffano” i cast femminili delle feste del capo, i sottosegretari che fanno vacanze e poi vanno via dall’hotel ricordandosi di pagare qualche anno dopo…Non sono sotto prodotti, incidenti dello “show” chiamato politica. Sono il ceto umano che questa politica di chiacchiere e distintivo attrae, seleziona e promuove.

Ceto umano che odia i giornalisti con cui pure pratica allegro e consolidato incesto professionale. Da tempo il giornalismo di successo è soprattutto spettacolo e comunicazione. Informazione quasi mai. Pur di far spettacolo le grandi firme e i grandi conduttori tv si sono trasformati in imprenditori di se stessi, anzi in impresari dalla compagnia. Non sono più giornalisti schierati o semplicemente giornalismo che non maschera le sue opinioni. questa è la fisiologica normalità in tutto il mondo. Sono impresari della comunicazione, attivisti dello show e quindi scrivono, elaborano, inventano sceneggiature, copioni teatrali, spettacoli. Vittorio Feltri e Marco Travaglio, Michele Santoro e Maurizio Belpietro, Giovanni Floris e Luca Telese, Alessandro Sallusti…: grandi e affermati professionisti del teatro itinerante e permanente, ciascuno titolare di una Compagnia Stabile della Narrazione. In concorrenza sullo stesso mercato della narrazione della politica show.

Di qui l’odio, ormai di altro non si può parlare, del ceto, del tipo umano politico verso il tipo umano e ceto dei giornalisti. Imprenditori e impresari di se stessi e della propria narrazione, quando perdono il loro “Teatro Stabile” perdono anche equilibrio e orientamento. Francesco Rutelli ne è l’esempio a suo modo drammatico: un ex candidato alla presidenza del Consiglio, poi rimasto capo di un partito che non c’è, poi fatto fesso, tradito ma anche umiliato da chi gli sfilava milioni da sotto al cuscino, divenuto improponibile quasi per ogni lista elettorale a venire, urla e manifesta la sua rabbia, la sua vertigine teorizzando e plaudendo alla stampa “delendam est”. La Lega, Rutelli ma soprattutto la maggioranza dei senatori che rivendicano il loro primato, la loro esclusiva nell’esser mostri di “narrazione” e non tollerano l’usurpazione di mestiere che il giornalismo pratica verso di loro.

Politici e giornalisti, il lungo incesto è diventata la lingua del paese. Oggi si sciopera e si titola letteralmente “Contro l’austerità”. Il che vuol dire a fil di logica e di sostanza che si è “Pro scialo”. Ma logica e sostanza sono impaccio, ostacolo e offesa alla “narrazione”. Quindi si può scioperare e manifestare, comiziare e narrare e resocontare senza un brivido di plausibilità contro l’Europa e l’austerità. Cioè contro ciò che consente che arriviamo a fine mese. Questa “narrazione” avrebbe bisogno di sei mesi, almeno sei mesi di niente Europa, euro e niente banche e sistema del credito. Sei mesi in cui comprare il pane diventerebbe esborso, accendere il riscaldamento in casa un lusso e ricevere stipendio o pensione un ricordo.

Ai parlamentari che lividamente votano il carcere ai giornalisti andrebbe somministrato un semestre di normale stampa non italiana, quella che se non paghi i contributi alla colf o copi una parte della tesi di laurea o dice due falsità di fila politica non la fai mai più non a furor ma per meditata pubblica opinione. Ai giornalisti un giornalista non può e non deve dire cosa sarebbe utile somministrare, se non la modestia di cui ciascuno sempre difetta anche quando scrive queste parole. Sia consentito calcolare all’ingrosso che di quanto si legge e si vede oggi nell’informazione, “alta e bassa” come dicono i sociologi, due terzi viene comunicato dal sistema di comunicazione di massa “a sua insaputa”. Cioè il “media” comunica cose di cui letteralmente ed evidentemente non sa, non sa di cosa parla perché non ha memoria superiore alle 12 ore e spessore superiore all’ultimo lancio di agenzia. Del terzo restante una metà è militanza, anzi attivismo politico in prima persona. Resta l’altra metà, circa un 15% del totale che fa dire a chi legge o guarda o clicca: questo non lo sapevo. Un 15 per cento all’ingrosso di informazione, il resto d’altro. Cambiare, magari e per favore, le proporzioni e le percentuali..?