Poveri, un mld in meno nel mondo. Perciò Europa va a destra, anche la sinistra

di Mino Fuccillo
Pubblicato il 5 Novembre 2014 - 14:25 OLTRE 6 MESI FA
Poveri, un mld in meno nel mondo. Perciò Europa va a destra, anche la sinistra

Marine Le Pen (LaPresse)

ROMA – Il dio della complessità, cioè del mondo reale, perdoni l’estrema semplificazione ma non può essere fortuita coincidenza se in venti anni, gli ultimi venti anni, negli altri continenti c’è stato un miliardo di poveri in meno e in Europa c’è stato e c’è una gran voglia di destra, una reazione di destra al mondo che cambia. L’Europa scivola tutta a destra, anche la sinistra politica slitta in direzione “reazionaria”. Reazionaria, cioè di rimpianto, nostalgia, difesa con ogni mezzo possibile del mondo che c’era. Che c’era prima, prima della “maledetta globalizzazione”.

Il bilancio planetario della globalizzazione è che in Asia, Sud America e perfino Africa nel 1990 erano un miliardo e 250 milioni a vivere (?) con meno di 1,25 dollari al giorno. Venti anni dopo quelli che sopravvivono con meno di 1,25 dollari al giorno sono 250 milioni nonostante l’incremento demografico. Insomma i poveri, quelli che fanno letteralmente la fame, erano il 43 per cento della popolazione mondiale, venti anno dopo sono il 15 per cento. Questo il bilancio della globalizzazione in Asia, Sud America, Oceania, perfino Africa secondo i calcoli della Banca Mondiale.

In Europa invece negli stessi venti anni il bilancio della globalizzazione è l’aumento delle incertezze, la messa in forse delle garanzie, la forzosa riduzione della spesa pubblica, la contrazione della ricchezza prodotta, l’inizio dell’erosione della ricchezza accumulata. Di qui la rabbia, la disillusione, lo scoramento, il panico e talvolta la furia della “gente” europea. Come da manuale di storia i detentori e coloro che a vario titolo usufruivano di un surplus si sentono defraudati quando questo viene a mancare o anche solo viene  limato nella sua entità. Reagiscono alla “frode” cercando un colpevole da abbattere e, soprattutto, cercando un restauratore.

Gli europei hanno ancora oggi una qualità della vita (redditi, patrimoni, welfare, garanzie, libertà politiche e sociali) che il resto del pianeta se le sogna. Ma hanno di fronte buona parte del pianeta che offre, sforna merci, competenze e produzioni che vincono, stravincono al competizione con gli omologhi continentali. Quindi gli europei soffrono, lamentano e s’incazzano. Non è solo un caso che la disaffezione verso la politica, i Parlamenti, la stessa democrazia parlamentare cominci e guarda caso ingrossi alla stessa velocità con cui il sistema politico non riesce più a garantire l’erogazione di totale e crescente sicurezza e benessere. Le democrazie europee pur amministrando società ancora opulente e tutt’altro che povere non ce la fanno più ad assicurare il “magnifico e progressivo benessere e welfare” a prescindere da produttività e produzione.

Non ce la fanno più anche perché una parte crescente del surplus planetario misurabile in competenze, abilità, merci e produzioni viene assorbito da chi abita in continenti che non sono l’Europa. Quel miliardo in meno in venti anni di letteralmente morti di fame. La foto numerica del surplus che non è più tutto europeo o nord americano. Surplus, e non si pensi alle magliette made in china, anzi vietnam, anzi pakistan. Si raffrontino le competenze scolastiche prima e professionali poi di un ingegnere e/o di un informatico di Singapore o Calcutta con quelle del suo omologo europeo e si avrà la misura del quanto e del perché l’Europa ci perde.

Quindi, di fronte ad una redistribuzione planetaria del reddito e delle opportunità che libera dalla estrema povertà un miliardo di esseri umani e però sottrae rendita al modello sociale europeo, la società politica e civile europea non ci sta e sviluppa “reazione”. Reazionario è il dna comune a tutti i soggetti generati da questo fenomeno. Uomo e scimpanzé sono diversissimi, eppure condividono il 97 per cento dei geni. Diversissimi tra loro sono le Le Pen, i Landini, i Grillo, le Camusso, i Salvini, i Fassina, gli Tsipras…e tutti gli altri omologhi negli altri paesi europei. Ma il dna è comune, il dna della “reazione”. Va a destra anche l’Europa che in piena buona fede crede di volere e di essere la “vera” sinistra.

Non sono casi fortuiti, tanto per restare all’Italia, l’osmosi elettorale tra Lega Nord e M5S e la porosità tra sindacalismo duro e puro e voto ancora una volta l’altro ieri leghista, ieri Cinque Stelle, domani magari di nuovo leghista ma in versione lepenista. In Francia sono i ceti più deboli e anche l’ex classe operaia pronti a dare alla “reazione” del Front National il governo. In Italia la “narrazione” dei Centri Sociali cari a Vendola comincia a collimare con quella di Forza Nuova e questa con quella dei Cobas e questa con quella di Salvini e  questa con quella di Grillo e questa con quella dei talk-show e questa con quella dei vari D’Attorre (anche se dei D’Attore nessuno ne cale).

Diversissimi tra loro come umani e scimpanzé, tutti però vogliono, esigono ripristinare, difendere, resistere. Ripristinare, difendere il surplus che c’era prima e resistere all’idea oscena che per averlo occorra cambiare i connotati a merci, lavoro, formazione, welfare.

Assume pertanto un che di straniante il racconto pubblico dei rapporti tra Italia e Unione europea, nell’ultima versione vulgata il “braccio di ferro” tra matteo Renzi e Claude Juncker. Straniante perché sembra che nessuno intenda o, peggio, voglia intendere. In Italia praticamente tutta la nazione, società e paese ritiene la legge di stabilità, cioè la manovra finanziaria, una cosa insopportabile o quasi. L’intero paese si sente in diritto-dovere di chiedere, si sente in credito, ritiene di avere “già dato”. Per farci capire faremo l’esempio più politicamente scorretto: i malati di Sla e di altre patologie invalidanti. I fondi pubblici a loro disposizione erano di 350 milioni, tagliati a 25o, riportati a 400. Cinquanta in più dello scorso anno. Ma loro, le loro famiglie e associazioni erano in piazza davanti al Parlamento a chiedere un miliardi, mille milioni perché “c’è scritto nella Costituzione”.

I Comuni comunicano che non ce la possono fare, che la manovra è “insostenibile”. Altrettanto fanno le Regioni. Insostenibile è la manovra per i sindacati. E ogni gruppo sociale eventualmente toccato ha già pronto il comunicato ormai standard “settore in ginocchio…migliaia di posti di lavoro a rischio…”. Gran parte d’Italia il mainstream italiano chiede di “avere”, si sente in credito. Dall’Europa fanno sapere di avere loro “già dato”. Ed in effetti il sì alla legge di stabilità la Ue l’ha dato nonostante l’Italia lasci correre il debito pubblico, danzi sul tre per cento del deficit e finanzi a debito  quel po’ di meno tasse che introduce. Il governo italiano ha giustamente non rispettato i “burocratici” vincoli ma è altrettanto vero che l’Italia non ha ricevuto “burocratica” bocciatura. La questione non è chi l’abbia più maschio, la questione è che la Ue è relativamente morbida nei nostri confronti mentre noi la percepiamo e raccontiamo come una ganascia che tortura.

La questione è che siamo al limite, non tanto dei parametri economici quanto degli effetti pratici della “reazione”. Reazione italiana che può portare a mollare l’ormeggio europeo e dell’euro. A volerlo, a giocarci con l’idea sono in tanti: M5S, Lega Nord, Fratelli d’Italia, sotto sotto pure Berlusconi. E, diversissimi come umani da scimpanzé o viceversa, anche Sel, la Fiom, la Cgil, la sinistra Pd flirtano con l’anti europa ed euro magari chiamandolo con altro nome, magari chiamandolo “altro mondo è possibile”.

Si può fare, non è vietato e neanche impossibile. Costa un po’: da un quarto a un terzo dei patrimoni detenuti in ogni forma, da un quarto a un terzo nei poteri d’acquisto di salari e pensioni. Ma facciamo anche un quinto: mollare l’euro costa almeno il 20% di ciò che abbiamo in tasca e a fine mese. Poi magari si recupera, ma subito questo è il prezzo. Cui va aggiunto il sovra prezzo di dover competere da soli e faccia a faccia senza alcuna protezione con l’ingegnere informatico di Singapore. Cui va aggiunta l’incognita di doversi fare prestare da qualcuno sul pianeta circa 400 miliardi di euro l’anno garantendo di rimborsarli in nuove lire, che interessi chiederanno? Mah…

Ma non c’è conto che tenga, convenienza che regga. Quando la “reazione” si mette in moto e si fa luogo e senso comune, quando il movimento di “reazione” a chi e cosa sottrae surplus si fa “gente”, allora manuale ed  esperienza storiche coincidono. Coincidono nel dire quel che accade: la “reazione” porta, sospinge, accelera a destra il paese, la società, il continente che la covava e ora la sta vedendo nascere e camminare. Questo è quel che sta succedendo, come va a finire la storia già scritta, per fortuna, non sa.