Redditi, bugie, schiaffi: perché non possiamo dirci tassisti, orafi…

ROMA – Vogliono essere trattati con equità, ma agli altri la negano, si compiacciono di essere diversi e iniqui. Vogliono comprensione e gradualità, e la meriterebbero pure. Ma agli altri le negano entrambe pretendendo si “comprenda” la sfacciataggine e la spudoratezza. Vogliono moderazione e protezione e non si dovrebbe loro negarla, ma sono smodati e insolenti. Per questo non possiamo dirci tassisti, orafi, benzinai, baristi, ristoratori, agenti di viaggio, agenti immobiliari, titolari di discoteche, tintorie, palestre, panetterie, fruttivendoli… Per questo non si può essere solidali, anche quando si dovrebbe, con milioni di lavoratori autonomi italiani, il 20 e passa per cento della forza lavoro in Italia, il doppio e più della media europea. Perché con la mano destra indicano i loro giusti problemi, la fatica del loro lavoro, la crisi che colpisce anche loro…Ma, mentre lo fanno, contemporaneamente con la mano sinistra ci fanno marameo e “offendono” ogni altra categoria di lavoratori. Non possiamo dirci tassisti, orafi, benzinai… Perché ogni anno, ogni giorno prendono a schiaffi il resto della società. Lo fanno con questi numeri, ogni numero è uno schiaffo.

Diecimila è il numero di euro che un commerciante di elettrodomestici dichiara in media di reddito al fisco. Settemila se il commerciante è di scarpe. Quattromila cinquecento è il reddito medio dichiarato da un proprietario di discoteca, sala da ballo, night. Settemila quattrocento euro dichiara in media il proprietario di istituti di bellezza. Settemila seicento euro dichiara il proprietario di tintorie e lavanderie, 7.600 all’anno. Un parrucchiere non arriva a 11mila. Uno che ha uno stabilimento balneare gli undicimila li supera di cento euro. Un agente di viaggio e turismo arriva a 11.400 euro. Un titolare di libreria mette insieme 12.100 euro l’anno. Chi ha una pescheria arriva a 12.300 euro. Albergatori e affittacamere dichiarano 13.300 euro. Come i ristoranti e chi vende barche. Orologiai e gioiellieri dichiarano 13.500 euro. Ogni giorno, ogni anno noi tutti andiamo a comprare un elettrodomestico, un paio di scarpe, andiamo in un locale la sera, in una Spa, portiamo abiti in tintoria, andiamo dal parrucchiere, in spiaggia, in vacanza, compriamo un libro, compriamo il pesce, dormiamo fuori casa, fuori casa mangiamo e acquistiamo un orologio. E ogni giorno, ogni anno entriamo inconsapevoli in questi templi della miseria, in questi luoghi tenuti aperti solo per dedizione perché, dichiarazioni fiscali alla mano, portano al titolare solo reddito da fame, al massimo di sopravvivenza stentata. Ogni giorno, ogni anno non ci accorgiamo di questa miseria, di questa indigenza. Ogni giorno, ogni anno tolleriamo come naturale e fatale questa colossale menzogna. E vada. e sia…Ma poi arriva lo schiaffo, l’insulto: la protesta feroce, radicale, forse giusta e forse no, chissà. Ma vestita, corredata di questa finta miseria, la protesta si fa insolenza.

Il fruttivendolo che dichiara 14.100 euro l’anno, il tassista che ne dichiara 14.200 all’anno al fisco e poi grida sui giornali: “Dieci ore al giorno per soli 1.600 al mese”. Mille e seicento per 12 fa 19.200, netti e non 14.200 lordi. Il negozio di alimentari dichiara in media 14.900 euro, il concessionario di auto 15.100. Il bar, la gelateria, la pasticceria 15.800, l’agente immobiliare 17.900, il ristorante 19.300, la panetteria 20.600… Per uscire dalla miseria dichiarata al fisco, per arrivare a un reddito “medio” dichiarato occorre arrivare ai consulenti finanziari, 43.100 euro. Agli avvocati: 46.700 euro. Ai medici: 67.700 euro. L’agiatezza compare solo con i farmacisti, 107.700 euro e con i notai, 280.900 euro.

Per questo, non perché siano sempre e comunque in torto, non perché non si ammazzino di lavoro, non perché non abbiano il diritto di essere ascoltati quando si fanno norme e leggi sul loro lavoro…Per questo non possiamo proprio dirci tassisti, benzinai, orafi, panettieri…Perché mentono, ogni giorno e ogni anno. A noi, agli altri che non sono loro, prima ancora che al fisco. Ed è questa bugia che ci impedisce di credere che dicano la verità quando gridano al disastro e alla rovina se cambiano le regole sul loro lavoro. Una bugia che non chiama “vendetta” sociale ma che brucia, ha bruciato e ridotto in cenere ogni credibilità di chi la pronuncia, ogni giorno, ogni anno.

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