Terza guerra europea, quella dei soldi. Sarajevo, Danzica e poi Atene

ROMA – In fondo, molto in fondo, non ce ne sarebbe motivo: gli europei hanno un reddito medio di 38mila dollari a testa e la Bce potrebbe essere “pagatore di ultima istanza”, cioè garantire almeno duemila miliardi di euro di debito “sovrano”, cioè degli Stati. Ma quella media di 38mila dollari a testa di reddito è appunto la “media” di una ricchezza molto mal distribuita, la forbice dell’ineguaglianza è dilatata oltre misura anche in Europa, tra i diversi Stati e tra i diversi gruppi sociali. Così dilatata che diventa arduo, anzi quasi impossibile distribuire con una qualche equità, e quindi sopportabilità sociale,  il “taglio dei capelli”, l’hair-cut di quella ricchezza per pagare, o almeno rendere credibile, il pagamento del debito pubblico. La prima mossa, la prima misura di ogni governo europeo e dell’Europa tutta sarebbe, dovrebbe essere una gigantesca operazione di redistribuzione della ricchezza che c’è, dei modi per accumularla e garantirla. Ma questo non può avvenire senza scontare una sorta di “guerra sociale” che nessun governo è in grado appunto di governare e che nessuna pubblica opinione davvero consente. Ogni ceto sociale, in sintonia con ogni Stato nazionale, è schierato a difesa acuminata anche se ottusa della quota di ricchezza di cui si è impadronito negli anni e decenni. L’Europa è ancora ricca ma immobile e congelata nella sua ineguale ricchezza, al punto di generare il paradosso planetario di centinaia di milioni di europei a reddito medio di 38mila dollari che chiedono e aspettano siano a salvarli popoli e Stati che hanno di reddito medio quattromila dollari l’anno.

La Bce o qualunque altro “Fondo” europeo potrebbe sbattere in faccia ai mercati che temono un’Europa o parte di essa insolvibile o illiquida sul debito sovrano almeno 2000 miliardi di euro. Basterebbe eccome mostrali davvero, calarli sul tavolo quei duemila miliardi per fermare la discesa dei titoli, del valore del debito e per arrestare lo sfarinamento della moneta unica, dell’euro. Ma per farlo occorre che i governi e le pubbliche opinioni di Grecia, Italia e Spagna e altri paesi dell’Europa del Sud accettino, anzi corrano ad una modesta ma generale, immediata e condivisa, momentanea e controllata perdita di status economico. E che i governi e le pubbliche opinioni di Germania, Francia, Olanda e altri paesi dell’Europa del Nord accettino, anzi corrano a mettere il proprio status economico a garanzia del debito del resto d’Europa. Così non è: la Grecia minaccia di sfilarsi, l’Italia tentenna e traccheggia, la Germania si rifiuta, la Francia recalciltra. Un “nazionalismo economico” monta ovunque e le opinioni pubbliche mobilitano e muovono a difendere le frontiere come novelli eserciti: è in corso una “mobilitazione” per una sorta di guerra economica interna all’Europa.

In fondo, molto in fondo, non c’era motivo neanche nel 1914. O meglio, motivi c’erano: i nazionalismi, gli irridentismi nazionali, la retorica del territorio e del popolo. Però non erano motivi cogenti per una guerra, Sarajevo fu una miccia che quasi per caso bruciò fino alla polveriera e alla santabarbara dell’Europa già borghese, già industriale e degli Imperi. Allora fu guerra, il “grande macello” e l’Europa ne uscì stremata, intimamente terrorizzata del suo futuro. La borghesia da fattore di stabilità si trasformò in mandria impazzita che caricava le istituzione democratiche che c’erano. La risposta europea dopo il trauma della Grande Guerra fu la dittatura franchista in Spagna, quella fascista in Italia, quella nazista in Germania. Le ultime due a furor di popolo e in nome del “territorio”. E ampio fu il contagio dei fascismi in Europa, anche dove non presero il potere. Venti anni di pausa, di guerra non  guerreggiata ma combattuta senza sparare tra opposti e montanti nazionalismi e fu il secondo tempo della Grande Guerra, la seconda guerra mondiale. Ma in fondo, molto in fondo, neanche Danzica e la “questione polacca” ne fu il motivo. Il motivo fu la guerra economica ed ideologica, dentro gli Stati e tra gli Stati, mossa e promossa dai fascismi in nome e sotto la bandiera delle sovranità e dignità nazionali da allargare. Dal secondo macello l’Europa uscì democratica non solo per forza endogena, ma per commistione e fusione, di eserciti e valori con quelli arrivati dagli Usa. E grazie alla resistenza ai fascismi della guerra nazionale prima ancora che comunista condotta dai russi.

L’Europa ne uscì democratica e cominciò nel dopoguerra ad arricchirsi come non mai nella storia. Crescevano redditi e consumi, produzione e salari, libertà e diritti. Crescevano insieme perché il modello di crescita fu temperato e affinato da quello che oggi chiamiamo welfare, lo Stato sociale. Stato sociale finanziato e pagato da una quota rilevante della ricchezza prodotta. Andò avanti così per quaranta anni, fino a tutto gli anni Ottanta. Poi il modello cambiò e divenne più ricchezza e meno welfare. Ricchezza sempre più finanziaria e sempre meno legata alla produzione di beni materiali. La ricchezza finanziaria si concentrava e addensava in segmenti sempre più piccoli della popolazione. Ma il resto dei popoli e delle pubbliche opinioni di buon grado ci stava: non arricchiva a dismisura ma i suoi consumi e il welfare di cui godeva veniva finanziato a debito. Qualcuno un giorno avrebbe pagato o forse non avrebbe pagato mai nessuno. Fu messo in piedi, con gradimento di massa, un sistema di vita associata, un modello economico che si fondava sull’ipotesi che il debito sarebbe sempre stato rinnovato e in fondo, molto in fondo, mai pagato.

In fondo, molto in fondo, è questo il motivo della terza guerra europea, quella di questi e dannatamente dei prossimi giorni. Guerra senza eserciti e morti in battaglia che l’Europa non tollera più e mai più vorrà vedere. Ma guerra, guerra combattuta tra pubbliche opinioni, elettorati, Stati, nazioni, governi, gruppi sociali, ideologie e bandiere e anche fanfare. Guerra combattuta dentro e tra gli Stati per chi paga il debito che è venuto a scadenza. Guerra che vede i governi oscillare tra negligenza e impotenza. Basterebbe che la Merkel dicesse, insieme con Sarkozy al vertice del G20 che la Bce può garantire duemila miliardi e che Berlino garantisce la Bce. Basterebbe a fermare la macchina che tritura Borse, risparmi, titoli di Stato. Ma la Merkel non può: l’elettorato tedesco le ritirerebbe la delega e altrettanto farebbero gli elettori francesi. Così facendo gli elettorati francese e tedesco arrecherebbero danno a  se stessi, ma così farebbero se chiamati a pronunciarsi sul garantire il debito degli europei del Sud. Basterebbe che Silvio Berlusconi arrivasse al G20 annunciando che in Italia si va in pensione tutti a 65 anni e da subito, che l’Italia vara una patrimoniale, che i rimborsi elettorali ai partiti vengono dimezzati…Basterebbe a far calare interessi sul debito subito al cinque per cento invece che al sei per cento e più. Basterebbe a far calare di decine e decine di punti lo spread ora a quota 450. Ma se tocca le pensioni e vara la patrimoniale il governo di Berlusconi si sfascia e la destra di Berlusconi e Bossi perde le elezioni. Perché la pubblica opinione, l’elettorato italiano punirebbe chi ferma la spesa pubblica e colpisce il patrimonio. Anche se questo “chi” fosse un governo della sinistra e non di Berlusconi. Basterebbe che il partito della destra greca che ha truccato i conti e condannato i greci al dramma non boicottasse il governo che c’è. Ma se la Grecia va alle elezioni sarà questo partito che verrà premiato dagli elettori.

Come nelle altre due guerre, quelle del sangue, anche in questa guerra dei soldi la retorica bellica e belligerante dei popoli che decidono e delle nazioni che presidiano il rispettivo “territorio” attecchiscono e sfondano sia a destra che a sinistra. Come le altre due guerre, quelle del sangue, anche questa guerra dei soldi nessuno la vuole ma nessuno la evita davvero. Sta scoppiando per il caso Atene quasi per caso, come quasi per caso i casi Sarajevo e Danzica furono il “casus belli”. Sta scoppiando perché il ceto medio delle società, il tranquillo e normale elettore, quando va nel panico carica e travolge l’interesse generale e la stessa democrazia. Li travolge con gli strumenti della democrazia. Sta scoppiando perché ceti dirigenti latitano in Europa o sono decisa minoranza, perché ci sono ovunque politici che pensano alla prossima elezione e vanno cercati con la lanterna di Diogene statisti che pensano alla prossima generazione. Sta scoppiando perché ci siamo dentro ma non ce ne rendiamo conto come sempre accade ai contemporanei. Sta scoppiando perché ormai non possiamo nemmeno scaricare sulla prossima generazione, lo abbiamo già fatto. Sta scoppiando la guerra dei soldi che non uccide ma imbarbarisce. Non è detto ancora che scoppi e deflagri in tutta la sua violenza. Ma il tempo per evitarla, per spegnerla è ormai di settimane o mesi. E, se sarà pace invece che guerra, sarà malgrado le pubbliche opinioni europei, gli elettorati d’Europa che ringhiano al prezzo della pace e cercano rifugio e riparo nelle trincee e bunker della guerra.

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