Tir, sindacati, Berlusconi: a 300 di spread Monti lo buttano giù

ROMA – Tir, sindacati, Berlusconi: a 300 di spread tutti insieme, marciando divisi ma colpendo uniti, Monti lo buttano giù. Non è un piano, non è una congiura, tanto meno un’alleanza alla cui sola idea gli improbabili contraenti inorridirebbero. Ma è una convergenza, un addensarsi, un coagularsi di spinte diverse e lontane tutte però alla ricerca di un punto di frattura. Spinte che per ora rimbalzano contro il muro dell’impossibilità: buttar giù questo governo con lo spread tra 400 e 500 punti e con i tassi di interesse sui Btp decennali tra il sei e il sette per cento è buttarsi dalla finestra del quinto piano insieme al governo. Ma lo spread cala, è sceso a 400 e, se e quando ridiscendesse a quota 300, un volo planato dal terzo piano sarà una tentazione e sarà tentato.

I Tir, i “Forconi” e dietro di loro a far corona i tassisti, gli avvocati, i pescatori, gli agricoltori… In modi diversi esprimono, molto più che una protesta contro singoli provvedimenti economici e normativi, una reazione di rigetto verso un governo, anzi uno Stato che non cerca più di fare il possibile e l’impossibile perché tutto resti come prima. Governo e Stato che non danno più l’assicurazione, se non la certezza, di cercare soldi e “pezze” per mantenere in piedi il sistema conosciuto e contrattato. Al contrario, governo e Stato che dichiarano di volerlo smontare il sistema. In Sicilia scatta una indignazione mista a panico alla vista della chiusura dei rubinetti dei sussidi. E la stessa cosa accade per i Tir, per gli autotrasportatori.

Sussidi l’autotrasporto li ha ricevuti appena ieri, ma quel che il mondo dei Tir ha ricevuto è anche un avviso di cessata “collateralità” tra l’autotrasporto e una parte della politica e del governo che conta. Crisi e difficoltà, grosse difficoltà quelli dei Tir le hanno vissute anche prima di Monti, con il governo che c’era prima. Ma stavano relativamente buoni, sapevano che con il governo di prima ci sarebbe stata comunque “concertazione” e su questo contavano. Adesso sanno che possono avere un aiuto economico, l’hanno già avuto, ma sanno anche che saranno, sono, aiutati e non più protetti. Per questo bloccano le strade: più che soldi vogliono fermare la “deriva”, bloccare e piegare un inedito metodo di governo. Confcommercio annunci problemi per la spesa degli italiani, scaffali vuoti di generi di prima necessità, alle pompe di benzina già si addensano colonne di auto a caccia del pieno. E’ questo che vogliono gli autotrasportatori, proprio questo, l’hanno detto: una vittoria politica e non sindacale, una capitolazione politica più che una resa della controparte.

I sindacati, Cgil, Cisl e Uil di nuovo uniti come non accadeva da anni. Uniti non solo nel rifiuto, in fondo tenero, del trattare via web, via email, che invece “bisogna guardarsi in faccia”. Uniti non tanto nell’opporsi al nuovo calcolo delle pensioni e alla nuova età pensionabile. Fieramente contrari si sono però opposti con tre ore di sciopero. Tutt’altro metodo a paragone delle gomme tagliate al Tir che non si ferma, della carrozzeria ammaccata del taxi che cammina, del blocco stradale, della minacciata serata delle farmacie o dei benzinai. Uniti soprattutto nello sgomento provato in sincrono da Susanna Camusso, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti e da ogni sindacalista di ogni ordine e grado di fronte all’idea di cambiare la Cassa Integrazione.

Cambiarla? Ma come…la Cassa Integrazione che negli ultimi anni ha riguardato quattro milioni di lavoratori serve ad aspettare che il lavoro torni senza restare senza un euro. Vero, ma questo vale solo per la Cassa Integrazione ordinaria, quella per intenderci erogata quando un’azienda prevede un temporaneo calo della domanda e quindi deve ridurre la produzione. Per qualche settimana, qualche mese non lavorano tutti i dipendenti e quelli che non lavorano vanno in Cassa Integrazione. Poi il lavoro torna e giustamente lo si è aspettato “in cassa”.

Ma quando la Cassa Integrazione diventa “straordinaria” o addirittura “in deroga” serve ad aspettare quel che quasi mai verrà e cioè che un’azienda fuori mercato o fallita resusciti. Allora il lavoratore “in cassa” non aspetta più che il lavoro torni, aspetta “in cassa” la pensione o il nulla, aspetta il sussidio a fine mese e non lavora più. Oppure si arrangia in nero. E quando la Cassa Integrazione si concede “in deroga” sono le Regioni, cioè la politica a decidere a chi e come, insieme con i sindacati. La “politica di territorio” e il sindacato amministrano e gestiscono questo “favore dovuto” al lavoratore senza lavoro.

Passare dalla Cassa Integrazione all’indennità per perdita di lavoro o al salario minimo è passare dalla liturgia del “questa fabbrica non può chiudere” alla ricerca assistita di un altro lavoro, è passare da un Welfare amministrato e gestito dalla politica e dai sindacati a un diritto per ogni cittadino lavoratore indipendentemente dalla politica e dl sindacato. Questo è per i sindacati più che intollerabile, è insolente. Anche qui è una questione politica più che di soldi. I soldi della Cassa Integrazione che c’è vengono dalle aziende e da lavoratori e solo per un terzo dalla fiscalità generale. I soldi sarebbero gli stessi anche per l’indennità e il reddito minimo, forse perfino qualcosa di più. Ma è sul “perché” quei soldi e sul “chi” li indirizza che i sindacati non riescono neanche a immaginare di cambiare.

Infine Berlusconi. Ha detto che “la cura Monti non funziona”. Che si “aspetterebbe di essere richiamato al governo”. La gran parte del suo partito, il Pdl, non fa mistero di non poterne più di Monti. Bossi lo chiama a buttarlo giù. Da lontano, molto lontano, fanno sponda Di Pietro e Vendola. Con dalla sua mezzo Pd, facciamo tre quarti ma non certo tutto il Pd, tutto il Terzo Polo e la Confindustria Monti non reggerebbe una settimana. Se non ci fosse quell’altezza da cui tutti gli altri non se la sentono di buttarlo e buttarsi giù: spread tra 500 e 400 punti. Ma a quota 300 saltano tutti, ci provano. Poi, poi qualcuno rimbalzerà a terra come un pupazzo di gomma indistruttibile, qualcuno i romperà le ossa e finirà all’ospedale, qualcuno al cimitero. Come in guerra, “la conta dei morti e dei feriti la faranno i preti e gli infermieri”, i generali scrutano lo spread e attendono il momento dell’attacco.

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