ROMA – L’euro: il Titanic. Gli elettorati d’Europa: l’iceberg. E la rotta è quella di collisione. Pressato dal suo elettorato il premier greco Papandreu ha chiesto al capo dello Stato di chiamare i greci ad un referendum: Sì o No agli aiuti europei, ai soldi “stranieri” ottenuti e in arrivo in cambio delle lacrime e sangue per la società greca. Papandreu ha calato la carta della disperazione, ha fatto “vedere” un referendum che probabilmente non vuol fare davvero. Lo mostra come minaccia di autoaffondamento: se esplode la “caldaia” greca va a picco l’intero Titanic-Euro. Minaccia disperata rivolta agli altri europei, nella disperata speranza che gli altri europei paghino il conto della Grecia. E lo ha fatto perché la politica greca, il sistema politico di Atene non “tiene”, anzi gioca contro: il partito di opposizione, il partito di destra, si oppone ai sacrifici e chiede elezioni anticipate sicuro di vincerle, vincerle sulla base di una campagna elettorale costruita e condotta sul rifiuto delle “pretese” europee. Dicendo referendum Papandreu prova a stanare l’opposizione, prova a costringerla a condividere il peso delle lacrime e sangue. Mossa anche questa disperata, se non va c’è il referendum davvero. E, se a gennaio/febbraio 2012 c’è in Grecia il referendum: Sì o No agli aiuti europei e al loro prezzo, la risposta sarà No. Già oggi il 60 per cento dei greci è per il No.
Se la Grecia si chiama fuori per via di referendum, allora pagherà con una maxi svalutazione: la nuova dracma varrà almeno il 50 per cento di quanto valeva la vecchia moneta greca. Saranno polverizzati i risparmi dei greci, il valore dei loro patrimoni, ma un nuovo e montante “nazionalismo economico” ne attribuirà colpa e responsabilità allo “straniero”, all’Europa. Se la Grecia si chiama fuori per via di referendum, allora il suo debito di circa 400 miliardi diventerà carta straccia nelle mani di banche e assicurazioni degli altri paesi europei, saranno 400 miliardi che pagheranno gli altri europei, non solo i governi, la Bce, le banche, le società di assicurazioni e di capitali e risparmio. Saranno 400 miliardi che saranno carta straccia nelle mani degli altri elettorati europei, quello francese, spagnolo, italiano, tedesco: tutti chiamati a votare nei prossimi 12/18 mesi. Gli altri elettorati europei non lo dimenticheranno: si “rifiuteranno” nelle rispettive elezioni di “pagare per l’euro”. Lo faranno i tedeschi per primi e vano sarà per qualunque forza politica tedesca spiegar loro che così anche loro ci rimettono. L’onda del “basta con i soldi per l’Europa del Sud” sarà in Germania inarrestabile. Lo faranno i francesi: anche se la loro economia mostra segni di debolezza rispolvereranno una voglia matta di “grandeur economica” solitaria o al massimo in tandem con quella tedesca e olandese. Lo faranno gli elettori italiani che voteranno per Berlusconi sempre più “mai convinto dell’euro” oppure per la sinistra “per nulla convinta dalla Bce”.
E allora sarà un “tana libera tutti”, uno sciogliete le righe, un ognuno per sé e si salvi chi può. E sarà subito, presto: se c’è il referendum greco nel 2012 il Titanic euro incontra l’iceberg degli elettorati: chi ha scialuppe più o meno si salverà, chi viaggiava in seconda o terza classe andrà a fondo. Ma tutti penseranno solo e soltanto a correre alle scialuppe. E la corsa è già cominciata, nel giorno di Ognissanti 2011 che può drammaticamente essere ribattezzato il giorno di Ogniguai. Dovunque in Europa chi ha in portafoglio o in tasca titoli di Stato in euro sta correndo a venderli. In Italia si comprano titoli di Stato a dieci anni solo al tasso del 6,20 per cento. Proporzionalmente peggio va per i titoli a cinque e due anni: le scadenze brevi vengono considerate più pericolose come avviene solo quando si dà per molto probabile, quasi scontato, che il debitore non pagherà tutto il suo debito, dopodomani forse, domani ancora più in forse. Dovunque in Europa crolla il valore dei titoli azionari delle banche che hanno in patrimonio titoli di Stato, crolli tra il dieci e il venti per cento. Dovunque in Europa crolla il valore dei titoli azionari delle società di assicurazioni e di capitali, e cala anche il valore dei titoli industriali: si sconta non solo la crisi del debito ormai conclamata, ma anche quella dell’economia tutta. Il “taglio dei capelli”, l’haircut al valore del risparmio, taglierà il reddito, il profitto e i salari reali, quindi difficile individuare un’impresa su cui investire.
Il giorno di Ogniguaio precede il vertice del G20, le maggiori economie del pianeta. Se l’euro collassa è dramma per gli europei, dramma vero e non da telegiornale, ma sono guai anche per cinesi, brasiliani, russi, turchi…Tutti destinati a rimetterci qualcosa. L’ultima speranza dei governi europei è che le altre economie del mondo, gli altri governi e gli altri elettorati, per “fortuna” in Cina e Russia non si vota davvero, mettano soldi nel braciere europeo. I governi europei più di tanto non possono più, sono i loro elettorati che stanno per impedirglielo. Nel giorno di Ogniguai del 2011 la grande crisi mondiale partita nel 2007/2008 come crisi finanziaria, diventata poi crisi del debito sovrano, in via di mutazione in crisi sociale (disoccupazione e tagli del welfare) inaugura la sua nuova e forse terminale fase. Diventa crisi della democrazia. La democrazia degli elettorati democraticamente metterà, comincia a mettere l’iceberg del consenso e delle elezioni sulla rotta di collisione del Titanic-Euro.
I commenti sono chiusi.