ROMA – No, questo neanche Sabina Guzzanti l’aveva messo in scena. E dire che alla regista cinematografica della fiction storica trattativa Stato-Mafia inventiva e fantasia non fanno certo difetto. Nel suo film, che ricalca appieno l’immaginario di molti italiani, Stato e Mafia, Mafia e Stato, se non proprio culo e camicia sono certo una mano che lava l’altra. La Guzzanti lo dà per ovvio e scontato e così fa Il Fatto Quotidiano e così pensa Travaglio e canta Beppe Grillo. Ma anche molti signor Rossi e Bianchi qualsiasi pensano insomma sia storia o quasi, storia documentata e non solo immaginata. Mancava però una scena madre, una coreografia, un dipinto che raffigurasse “La Trattativa”. Ci ha pensato la Procura di Palermo a pitturarlo.
Totò Riina, Leoluca Bagarella e Giorgio Napolitano collegati nella stessa udienza giudiziaria, il carcere del 41 bis collegato al Quirinale. E’ la scena madre, quella che raffigura e compendia, il sorriso della Gioconda degli artisti della “Trattativa”. Non hanno dipinto caso e neanche sotto l’urgenza di norme di procedura. Alla Procura di Palermo sanno bene quello che fanno e, chiedendo di collegare in udienza Riina e Napolitano, pitturano la sentenza del processo. La fanno vedere, plasticamente la disegnano.
Eccola là la “Trattativa”. Non ci fosse stata, perché Riina controlla tramite i suoi avvocati quel che Napolitano dice? Eccola là la “Trattativa”, stanno tutti nella stessa aula. Quando il processo si farà, una eventuale sentenza di fatto inesistente potrà sempre essere letta con un “purtroppo non ce l’abbiamo fatta a dimostrare quel che pure era evidente…”. Sanno quello che fanno alla Procura di Palermo.
Collegano Riina e Napolitano non solo e non tanto per garantire i diritti processuali dei capi mafiosi che ai diritti processuali hanno giustamente accesso come ogni altro. Ma la legge e soprattutto la sua interpretazione e applicazione consentono modi e scelte diverse per tutelare questi diritti e garanzie. La magistratura che si vuole “absoluta” cioè libera da vincoli nell’interpretazione e applicazione della legge, nella sua versione palermitana ha scelto con consapevole intento di allestire la scena madre del “collegamento”. E’ una scelta adulta e libera, non obbligata da qualche codice.
Sanno quello che fanno in Procura a Palermo: giocano buona parte della loro identità sul restare in piedi e sull’avanzare dell’inchiesta-processo sulla trattativa Stato-mafia. Se cade l’inchiesta o decade il processo, anche loro…simul stabunt simul cadunt. E quindi che si accenda il collegamento, sarà un affresco già oggi della sentenza che verrà.
E l’oggetto dell’inchiesta, sì, insomma la “Trattativa”? Non vale la pena collegare anche il diavolo e l’acqua santa per sapere, conoscere? L’oggetto della inchiesta non è né oscuro e per nulla nascosto. Cedimenti alla criminalità organizzata, la mafia ma non solo, caratterizzano la storia italiana, quella vera, almeno dal dopo guerra fino al secolo che viviamo. Cedimenti della politica, dei partiti, della società civile, degli imprenditori, dei commercianti, cedimenti massicci e ricorrenti dell’elettorato, della gente, perfino della Chiesa. Non vi può essere chi non sa e pochi hanno le carte in regola per chiamarsi fuori.
Sono fatti e storia che però non si trovano, pesano, condannano, tanto meno eliminano, in un Tribunale o per via giudiziaria. Questa speranza, questa illusione, talvolta nobile ma talaltra rancida, secondo la quale la buona storia, la vera democrazia, il raddrizzamento del legno storto di una società o di un paese si fanno e si realizzano nelle aule di giustizia sono, a benissimo guardare, alibi che la pubblica opinione regala a se stessa.
Alibi, scorciatoie immaginarie, teatro dei pupi tanto per restare in geografica zona. Non a caso l’idea che Stato e mafia, Stato e anti Stato siano un Giano bifronte, uno e uno solo, frulla e fermenta quasi sempre in compagnia dell’altra idea che euro, crisi economica e Merkel siano uni e trini. A molti piace pensare che tutti i potenti sono cattivi e collegati tra loro e che, se non ci fossero o fossero abbattuti, tutti gli altri, i buoni, vivrebbero felici e contenti. Tra i molti che legittimamente la pensano così non ci sono solo le mille e mille Sabina Guzzanti, c’è, ufficialmente e consapevolmente e alla guida del gruppo, la Procura di Palermo.
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