Partito Giustizialista grande frattura. Metodo Travaglio asse Di Pietro-Grillo

Beppe Grillo (Lapresse)

ROMA – Il grande Pgi, il grande “partito giustizialista italiano” conosce in questi giorni la sua prima grande interna frattura. Non solo perché è un uomo che viene dal Pci, dal Pds e dalla sinistra a dire dei processi di carta stampata e dei patiboli televisivi e, letteralmente, delle “escogitazioni ingiuriose”. Escogitazioni, il sostantivo scelto la Napolitano mira e colpisce al cuore del giustizialismo ancora più dell’aggettivo ingiuriose. Escogitazioni, cioè gente che ci si mette di testa e di impegno a inventare a tavolino. Gente che non indaga, scopre e rivela, ma gente che escogita, confeziona e mette in vetrina. Finora mai che il giustizialismo “escogitasse” l’aveva detto con tale chiarezza uno della sinistra, adesso lo dice niente meno il capo dello Stato che fu dirigente del Pci. E fa niente se son cose che talvolta ha detto anche la destra, Napolitano non se ne fa un tabù. Da qui la prima frattura nel grande partito giustizialista, prima e ancora piccola: il Pd di Bersani che si imbarazza un po’, Di Pietro e Grillo che provano a rubacchiare voti al Pd. Una bella scossa ma non ancora una faglia che fa terremoto.

La seconda scossa arriva al grande partito giustizialista mentre tutti stanno a guardare se la prima ha smosso solo cornicioni o anche tramezzi e pareti. La seconda scossa arriva dalle fondamenta del grande partito giustizialista: Ilda Boccassini parla di “attacchi ingiusti subiti da Loris D’Ambrosio” e lo fa poche ore dopo la morte del consigliere giuridico di Napolitano e quasi a far eco al presidente che aveva appena denunciato le “escogitazioni ingiuriose”. Boccassini, e chi è la Boccassini? Non a caso nelle serate eleganti ad Arcore da Ilda Boccassini si travestiva Maristelle Polanco “così Berlusconi si divertiva”. Il dileggio della Boccassini, la profanazione simbolica della sua toga indossata dalle olgettine sopra il reggicalze era la rivincita privata di Berlusconi e dei suoi più intimi contro la magistratura che lo indaga e secondo lui perseguita. Rivincita privata che esaltava e faceva da sponda emotiva alla rivincita pubblica sui magistrati che governo e maggioranza Berlusconi-Bossi tentavano di praticare in Parlamento. Ilda Boccassini è il magistrato che indaga Berlusconi, da anni è la Minerva del giustizialismo. Eppure la Boccassini dice “attacchi ingiusti” e lo dice, sente il bisogno di dirlo poche ore dopo la morte di D’Ambrosio. Eccola la grande frattura nel grande partito giustizialista che va da questo momento a dividersi e scomporsi come mai gli è accaduto prima.

Perché stavolta un misto di passione e ignoranza, una insalata di astio di routine ed ebbrezza dello scontro hanno spinto un’ala del grande partito giustizialista molto in là, non tanto ai confini del lecito, quanto del plausibile. La storia pubblica di Loris D’Ambrosio parla di un magistrato che indaga sui Nar e si fa nemico e bersaglio del terrorismo nero. Poi di un magistrato che lavora all’Alto commissariato antimafia, quindi impegnato nel ruolo del più stretto collaboratore di Giovanni Falcone quando Falcone era a Roma al Ministero della Giustizia con Claudio Martelli ministro. Quindi dell’uomo che tiene legislativamente a battesimo la Dia, la Direzione Nazionale Antimafia. Quindi del magistrato che praticamente stende il testo legislativo del 41 bis, l’articolo di legge che istituisce il carcere duro per i mafiosi. Non bastasse, D’Ambrosio al Quirinale lo chiama Carlo Azeglio Ciampi e lo conferma Napolitano. Ed è D’Ambrosio l’uomo a cui il Pdl attribuisce il blocco di leggi ad personam e i consigli ai presidenti, consigli documentati, con cui venivano stoppate leggi assai berlusconiane in materia di giustizia e corruzione. Questa è la storia.

Altra è invece la “cronaca” del grande partito giustizialista.  Scrive Marco Travaglio su Il Fatto: “Il triangolo telefonico Mancino-D’Ambrosio (Napolitano)-Messineo fa finalmente giustizia della rappresentazione olografica che dipinge lo Stato da una parte e la mafia dall’altra”. Scrive ancora sempre Travaglio: “Si è scoperto che il presidente Napolitano e il consigliere D’Ambrosio si sono messi in testa di dirigere le indagini sulla trattativa al posto della Procura di Palermo”. Si legge poi, stavolta su Micromega, l’invocazione delle “dimissioni con ignominia” del consigliere del presidente. Perché, per dirla con Travaglio, Stato e mafia spesso e volentieri stanno dalla stessa parte, come stavolta ad esempio, e D’Ambrosio fa l’ufficiale di collegamento. Perché, per dirla con Travaglio, è un fatto acclarato che il Quirinale vuole affossare le indagini sulla trattativa Stato-Mafia. Perché risulta a Travaglio e al “Fatto Quotidiano” ovvio e conseguente che uno che ha scritto il 41 bis sia poi il più sospettabile e sospetto per il ruolo di talpa di chi vuole ammorbidire l’articolo che infastidisce i mafiosi. Perché, se è “tutto un magna-magna”, deve essere anche un tutto “mafia-mafia”, è questo infatti l’argomento principe, la prova regina, la pistola fumante della narrazione del grande partito giustizialista italiano.

E’ un “metodo”, non molto diverso in fondo da quello passato agli archivi come “Metodo Boffo”. Un metodo che usano Il Giornale e Libero a destra e Il Fatto e altri a…sinistra? Metto fatto di irruenza, rafforzata dalla fede, talvolta buona talaltra no, di sentirsi “in missione per conto della giustizia”. Irruenza che tiene in non cale la precisione, il dubbio, il distinguo, la possibilità di prendere una cantonata mentre si va a passo di corsa all’assalto al Palazzo. Irruenza nei giovani, routine già più pigra che smaliziata nelle firme medie e grandi. Pochissime idee, tanto poco da non poter essere confuse: io il bene, loro il male, Stato e poteri sempre infami, verità sempre nascoste, tutti in galera e galera per tutti e, se guardi bene, ti accorgi che anche su questo fatto che di giorno c’è il sole, ma non sempre, e di notte la luna, ma qualche volta la vedi anche di giorno, ecco insomma dietro ci deve essere una mano, un piano, un disegno…un complotto!

A proposito di questo metodo Mario Calabresi, direttore de La Stampa, scrive: “Barbarie che si è impossessata di molti italiani, anche di quelli che chiedono a gran voce verità e giustizia e che dovrebbero avere perlomeno senso di legalità…un fetore nauseabondo, un vizio tutto italiano che dura da decenni e da cui non riusciamo a liberarci. O recuperiamo il senso delle proporzioni e il rispetto dell’altro, abbandonando l’istinto al linciaggio e alla demonizzazione…”. Ha ragione Calabresi, è “barbarie”: Ma non vien da fuori, dalle terre e dai popoli “barbari”. Viene da dentro, abita con pieno diritto di cittadinanza la nostra terra e anima il nostro popolo. Niente “senso delle proporzioni” e niente “rispetto dell’altro” è la regola e non l’eccezione della carta stampata politica, la regola e non l’eccezione dei talk-show televisivi,  la molla che spinge il pubblico in studio all’applauso, il richiamo cui rispondono i “popoli” del web. “Istinto al linciaggio e alla demonizzazione” sono professionalità riconosciute e premiate, in politica, nel giornalismo, nei rapporti socio economici, perfino al bar davanti a un caffè. Il Gran Partito Giustizialista Italiano, nei suoi rami di destra e di sinistra, rami che alla fine confluiscono nel gran delta del comune linguaggio, ha bisogno di questo “metodo”. Perché altrimenti non può essere raccontata la grande consolazione, il grande alibi: quello di “loro cattivi e infami”, “noi buoni e puri”.

Una trattativa Stato-Mafia? Ci “deve” essere stata, Stato e Mafia sono due “cattivi”, possibile mai che non si frequentino, ovviamente di nascosto? Due ministri all’epoca sostituiti perché cambiava governo e perché uno dei due riceveva avviso di garanzia? Macché…Cambiati per trattativa di Mafia. D’Ambrosio che risponde e parla al telefono con Nicola Mancino perché al Quirinale se telefona un ex ministro e un ex vicepresidente del Csm ovviamente si risponde? Macché…sono contatti “impuri”. D’Ambrosio che ha mandato in  galera i fascisti, bloccato le leggi di Berlusconi, collaborato con Falcone, scritto il 41 bis da additare come l’insabbiatore della verità su Stato e Mafia? E perché no? tutto fa brodo quando si è “in missione per conto della giustizia”.

In missione anche per conto delle copie vendute di libri e di share raggiunto in seconda serata, ma questo si chiama “in missione per conto della verità”. In missione però anche per altro, strada facendo…Ad applicare il “metodo” non è stata solo la stampa del Grande Pgi, sono stati i contendenti alla leadership del Grande Pgi. Che una strategia e una missione ce l’hanno. Antonio Di Pietro vuole saldare l’asse con Beppe Grillo e Nichi Vendola: i tre contro tutto e tutti. Segui questa traccia e comprendi perché i passi e le mosse del “metodo” Travaglio sono stati stavolta allungati, affrettati, più lungi della gamba. Dovevano seguire un sogno, un arabesco politico: quei tre contro tutti. E non varrebbero poco, anzi. Almeno un quarto dell’elettorato. Beppe Grillo non gradisce l’abbraccio ma non disdegna la prospettiva. Nichi Vendola non gradisce la prospettiva ma non disdegna l’abbraccio. Gli altri, e sono tanti, giustizialisti per caso o necessità o per “induzione ambientale” o semplicemente per amor di legalità e basta, non ci stanno. Quindi, man mano che quest’asse si salda e si testa, il partito giustizialista italiano si segmenta e divide, si allarga il segno di una frattura finora mai vista.

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