Mistero Orlandi. In un articolo recente ho accennato a lettere anonime inviate al magistrato Domenico Sica, all’epoca titolare dell’inchiesta sul mistero Orlandi, e all’ufficio della Polizia Tributaria della Guardia di Finanza.
Si tratta di lettere che insistono su un particolare fatto rilevare a Sica anche dai carabinieri il 30 agosto 1983 con la loro “relazione di servizio inerente dichiarazioni confidenziali rilasciate da Andrea Ferraris, fidanzato della signorina Natalina Orlandi, sorella maggiore di Emanuela, ad ufficiale di questo Reparto, circa un episodio avvenuto cinque anni orsono tra la Natalina stessa e lo zio Mario Meneguzzi”.
Il particolare fatto rilevare dai carabinieri è che Mario Meneguzzi “è ritenuto uomo di fiducia del dottor Peruzy Mario, nato a Napoli il 16.8.1925, consigliere capo servizio amministrativo dei patrimoni della Camera dei Deputati”. E degli appetiti di Peruzy ha parlato la stessa Natalina quando in conferenza stampa ha ammesso che ci ha tentato con lei da poco assunta come impiegata del Parlamento.
Alcune lettere anonime inviate il 19, 20 e il 23 agosto ’83, cioè due mesi dopo la scomparsa di Emanuela, attaccano Peruzy. L’autore della missiva inviata alla Polizia Tributaria si definisce ex dipendente della Camera in pensione, cita con precisione alcuni nomi dei dirigenti collaboratori di Peruzy,
Le lettere anonime le ho sempre cestinate, ma queste invece gli inquirenti le hanno prese in considerazione.
Tommaso Nelli in un suo articolo su Spazio 70 afferma che è stata proprio una lettera anonima spedita al magistrato Domenico Sica a metà agosto dell’83, guarda caso stessi giorni di quelle di cui parlo io, ad avere messo in moto l’interrogatorio del 30 agosto di Natalina Orlandi da parte di Sica e lo scambio di lettere tra i magistrato e la Segreteria di Stato del Vaticano sfociato nella conferma da parte dell’ex consigliere spirituale di Natalina, monsignor Alzate, che Mario Meneguzzi aveva fatto avance “morbose” nei confronti della stessa Natalina.
Ecco perché vale la pena vedere cosa c’è scritto in quelle citate da me, fermo restando che non ne sposo il contenuto. Se la vedranno i magistrati romani e vaticani che si stanno occupando del mistero Orlandi.
L’autore della lettera alla Tributaria si definisce ex dipendente della Camera in pensione, afferma che l’andazzo era noto anche a politici e che il carabiniere Gulisano faceva di tutto perché la cosa non diventasse pubblica. In particolare, Gulisano avrebbe messo a tacere anche lo scandalo del “capo garagista della Camera che picchiò a sangue il dottor Peruzy”.
Se questi sono i fatti, non si possono escludere due cose:
1) – anche se era stata assunta con regolare concorso, come lei ha sostenuto in conferenza stampa lo scorso 11 luglio, suo zio era in grado di farla licenziare davvero. Era infatti l’uomo di fiducia dello stesso Peruzy, diventato vice segretario generale della Camera. E questo può contribuire a spiegare il terrore che Natalina ha ammesso di avere provato alle insistenze e ai discorsi di suo zio;
2) – Peruzy, che come abbiamo visto poco fa di concorsi per l’assunzione s’era già occupato nel 1963, potrebbe essersi interessato del concorso per l’assunzione di Natalina e averlo anche favorito visto che lei era la nipote di quello che i carabinieri hanno definito “uomo di fiducia di Peruzy”.
Sta di fatto che l’estensore della missiva invita la Finanza e Sica a indagare oltre che sul tenore di vita e sulle proprietà delle persone da lui nominate.
Tra i miei amici dei tempi dell’Università di Padova avevo uno studente non ricordo se di giurisprudenza o scienze politiche che si chiamava Paolo Petta. Io per sfotterlo lo chiamavo Paul Petta, ma pronunciato all’americana: “Polpetta”.
Aveva un anno più di me: un vero signore, sempre molto gentile e disponibile, calmo, riflessivo, anche lui amante dell’ironia, ma molto più soft della mia. Polpetta venne assunto in parlamento, diventò uno studioso di diritto costituzionale oltre che uno storico e fece una bella carriera.
Diventò infatti direttore del Servizio per la redazione e la revisione dei testi legislativi e dei documenti del Senato. Quando morì nel 1999, a soli 57 anni, venne ricordato il parlamento dall’onorevole Nicola Mancino, presidente del Senato.
Quando andavo a Roma ogni tanto mi vedevo con Polpetta. Che mi raccontava come la Camera fosse “un casino nel vero senso della parola, con gente che approfitta del proprio incarico per estorcere sesso a dipendenti e aspiranti tali”.
Ricordo che in particolare mi parlava di una “banda” e di “giri poco chiari attorno alla buvette della Camera”. Mi raccontò anche di un pezzo grosso del Parlamento che era stato picchiato da un addetto alle auto blu perché continuava a insidiarne pesantemente la giovane figlia.
All’epoca ignoravo che esistesse il mistero Orlandi, cioè che fosse sparita una ragazza di nome Emanuela Orlandi. L’ho scoperto solo nel 2001, quando la casa editrice Kaos mi chiese di scrivere un libro sul quel mistero e quindi mi documentai il più possibile. Negli anni ’90 non ero quindi in grado di capire bene i discorsi e le allusioni di Paolo Petta e gli eventuali sottintesi e retroterra.
Come era certamente in grado di far licenziare Natalina così Peruzy era certamente in grado di far togliere la gestione della buvette della Camera al suo uomo di fiducia Meneguzzi. Il quale, stando al citato rapporto dei carabinieri era anche “archivista della Camera dei Deputati”, con probabile non piccolo stipendio da aggiungere agli introiti della sua gestione della buvette.
Insomma, il buon Peruzy era in grado di ricattare pesantemente Mario Meneguzzi. Certamente non lo ha fatto, ma gli elementi sul tavolo sono quelli che sono e ognuno è libero di pensare quello che meglio crede.
Del resto, se per anni e anni è stato fatto credere all’opinione pubblica che nella bara di Enrico De Pedis era sepolta Emanuela Orlandi e magari, per fare buon peso, anche Mirella Gregori, scomparsa qualche settimana prima di Emanuela, allora è anche lecito credere che gli asini e gli elefanti volano…
Secondo il racconto di una ex studentessa della scuola di musica Ludovico da Victoria, a volte per prendere Emanuela alla fine delle lezioni arrivava “un’auto con le tendine abbassate e una volta Emanuela mi disse se volevo salire per essere portata a casa anch’io”.
Ammesso che il racconto non sia inventato di sana pianta, si è sempre detto che quell’auto dovesse essere del Vaticano. E se invece fosse stata in dotazione alla Camera?
Tutto questo potrebbe forse spiegare quello che mi ha detto Gennaro Egidio, ex avvocato di lungo corso degli Orlandi, nella seconda mia telefonata del 2002, la cui registrazione e sbobinatura ho consegnato al magistrato Giancarlo Capaldo e ho pubblicato su blitzquotidiano.it nel 2012. Egidio mi ha infatti detto:
“Ritengo che quell’epoca Domenico Sica si preoccupava che si potessero aprire delle falle che poi sarebbe stato difficilissimo colmarle per il Vaticano. Così la vedo io. Cioè, tutta una questione di equilibrio”.
Peruzy aveva fama di democristiano e di socialista anche se candidato del partito comunista alle elezioni comunali di Roma dell’81, quando aveva 58 anni. Era qualificato come Direttore del Servizio di Amministrazione e Sicurezza della Camera dei Deputati.
Aveva inoltre quasi familiarità col presidente della repubblica Scalfaro, il quale quando era stato ministro dell’Interno aveva avuto la sua segreteria particolare nello stesso palazzo e piano della scuola di musica Ludovico Da Victoria frequentato da Emanuela.
Meneguzzi era cognato di Ercole Orlandi, postino di Papa Wojtyla. Insomma, un intrico di altissimo livello, una miscela potenzialmente esplosiva. L’ideale per il sensazionalismo giornalistico più spinto e per lo sport nazionale dello scandalismo. Un boccone in ogni caso difficile da masticare. E soprattutto eventualmente da inghiottire.
Ma Sica ha davvero evitato scientemente di indagare in certe direzioni nelle direzioni che sono quelle statisticamente più diffuse? O si sono messi in mezzo i servizi segreti che hanno imbeccato Alì Agca, il fanatico turco che nell’81 sparò a Wojtyla nel tentativo per fortuna fallito di ucciderlo, perché si inventasse la “pista bulgara”? Pista da spendere nella Guerra Fredda contro l’allora esistente Unione Sovietica e annesso mondo comunista.
E pista per favorire la quale i servizi potrebbero anche avere fatto sparire loro le eventuali carte, indizi e prove a favore di una pista non spendibile contro Mosca e il comunismo. E che quindi avrebbe colato a picco la “pista bulgara” e annessi e connessi. Esattamente come il ministero dell’Interno fece sparire a Padova due testimonianze della commessa della valigeria Al Duomo. Le testimonianze che come responsabile della strage di piazza Fontana del 12 dicembre 1969 a Milano avrebbero inchiodato il gruppo neo fascista veneto con a capo Giorgio Franco Freda, ciccia e pappa coi servizi segreti militari che lo avevano anche protetto.
E quando per quella strage arrivarono finalmente i mandati di cattura, i “servizi” arrivarono al punto da fare scappare all’estero gli imputati amici di Freda.
Sta di fatto che anche nei giorni scorsi il magistrato Giovanni Malerba – che ha affiancato come Procura della Repubblica l’allora giudice istruttore Adele Rando nell’inchiesta Orlandi-Gregori chiusa nel dicembre ’97 – mi ha confermato che Sica non gli ha trasmesso nessuno documento. Spariti tutti.
POST SCRIPTUM
– Il documento dei carabinieri del quale mi sono occupato il 23, il 27 e 30 luglio e l’1 ottobre specificando nel primo articolo che non ero sicuro fosse autentico, ho assodato che è autentico. Infatti:
– i magistrati vaticani e italiani ai quali l’ho spedito non mi hanno eccepito nulla;
– La busta della lettera anonima spedita il 19 agosto 1983 da Roma Fiumicino all’Ufficio della Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Roma costituisce il foglio 1035 – B dell’inchiesta condotta da Sica. La missiva del 24 agosto costituisce invece i fogli 1036, 1037 e 1038 e ha il numero di Protocollo 311/LA/