Monti dal loden al parka elettorale. Cgil zavorra? Salvò l’Italia nel ’93

La metamorfosi, ovvero note disordinate scritte ascoltando la sinfonia opera 35 numero 2 di Boccherini.

Giuliano Amato e Carlo Ciampi salvarono l’Italia nel ’93 con l’aiuto della Cgil

Può avere un significato vagamente politico il passaggio dal sobrio loden a più aggressivi giacconi di varia foggia, tipo parka? Penso di no, si tratta forse di adeguamenti naturali alle temperature, ai luoghi, e solo marginalmente un cambio meditato di immagine e di politica comunicativa.

La stessa cosa però non si può dire del passaggio da un aristocratico distacco dai mezzi di informazione all’uso bulimico degli stessi, in particolare se la sterzata (o conversione) avviene subito dopo la decisione di provare a ripetere l’esperienza istituzionale appena conclusa.

La stessa valutazione si può e si deve fare a proposito del diverso linguaggio utilizzato nel comunicare. Il dire asettico, preciso e sempre controllato, il rispetto esibito dei propri interlocutori viene sostituito in alcuni momenti da un dire aspro dai contenuti poco liberali e dall’uso di verbi improponibili come “silenziare”.

Sto, come ben si comprende, parlando del prof. Mario Monti ex Presidente del consiglio trasformatosi nel prof. Monti candidato a succedere a se stesso.

Moltissimo si è scritto sulla decisione presa dal professore, sul tormentato percorso che lo ha portato a quella scelta, sulle contraddizioni che ha incontrato, e altro ancora. Ora siamo a un primo punto fermo: Monti è candidato (anche se non è ancora del tutto chiara la modalità) e ai suoi sostenitori indica il suo progetto politico riassunto nella cosiddetta “Agenda”.

Non voglio fare ora nessuna analisi dettagliata della proposta e del quadro nel quale viene collocata. Voglio soltanto scrivere di alcuni singoli aspetti della vicenda, quelli che trovo più singolari e preoccupanti. Insomma di quelli che mi hanno colpito, così come mi sono rimasti impressi. Ad esempio per cominciare: Monti ha detto che la legittimità delle candidature delle liste che lo sosterranno è affidata all’esame del dott. Enrico Bondi.

I commentatori più accorti hanno scritto “si tratta di un vulnus istituzionale”, non lo metto in dubbio ma ancor prima a me sembra una preoccupante stravaganza. Il curriculum di un aspirante candidato non è il complesso bilancio della Parmalat e se il professore non sa giudicare da solo se un candidato è degno o meno di essere messo in lista, come faremo noi a fidarci di lui quando si tratterà (anche se spero che non succeda) di scegliere ministri e sottosegretari?

Quei sognatori del Pd fanno scegliere i candidati delle loro liste agli elettori attraverso le primarie e qui siamo invece alla due diligence! Negli interventi elettorali (perché tali sono oramai le sue apparizioni televisive e i suoi messaggi radiofonici) il professore promette in continuazione un robusto taglio alle tasse che nel frattempo ha fatto aumentare. Lo fa con insistenza, come se fosse l’unica promessa esistente o comunque la sua priorità.

Le parole lavoro, povertà, salario, protezioni sociali non fanno proprio parte del suo lessico. Non vorrei qui dare la sensazione di sottovalutare l’importanza delle politiche fiscali ma nell’equa (parolaccia di sinistra) redistribuzione della ricchezza prodotta dovrebbero stare insieme, nei ragionamenti, con i salari e con il reddito.

In ogni caso le tasse si pagano sostanzialmente per alimentare lo stato sociale ed in particolare quello rivolto ad aiutare i più deboli e a includere gli emarginati. Ma se calano le tasse dove e come si trovano le risorse per garantire queste azioni protettive? Il professore non lo dice.

Ma, e ora viene il bello quel che conta è essere innovatori, oggi che destra e sinistra non esistono più, esattamente come le stagioni di mezzo. Allora basta dire che tutte queste cose come i diritti del lavoro e della cittadinanza, il welfare, la solidarietà sono argomenti dei conservatori che li usano per impedire al paese di sollevarsi e di essere degno dell’Europa.

Ed è a questo punto che però prendono corpo gli incubi quotidiani degli innovatori: Vendola, Fassina, la Cgil, la Fiom, insomma di quella sinistra che non esiste più ma che continua ad angosciarli. Il professore getti uno sguardo, anche superficiale, alla storia di questo Paese e lo fissi sui primi anni novanta, quando l’Italia somigliava alla Grecia dei mesi scorsi.

Il Paese fu salvato in virtù della politica dei redditi e delle rinunce fatte da milioni di persone che accettarono e rispettarono lealmente gli accordi fatti dai governi Ciampi e Amato con le imprese e i sindacati (Cgil in testa). Quegli accordi salvarono il Paese e gli consentirono di entrare nell’euro alla scadenza prevista.

Guardi, questa volta con attenzione, chi voleva rispettare quella scadenza ed entrare in Europa dalla porta grande dell’euro e chi voleva restarne fuori. Tra questi ultimi troverà non pochi dei suoi sostenitori di oggi, a cominciare da quell’azienda che è andato a glorificare a Melfi. Se ne potrebbe trarre addirittura una conclusione ardita ma non priva di verità. Se il professore ha potuto fare, con efficacia riconosciuta, il commissario in Europa è stato grazie (anche) a quei conservatori della Cgil perché se fosse dipeso da alcuni dei suoi amici che ho ricordato prima, noi a Bruxelles non saremmo mai arrivati.

 

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