Monti vara la metropoli Roma capitale: occasione da non sprecare

di Marcello Degni
Pubblicato il 6 Febbraio 2012 - 07:56| Aggiornato il 26 Febbraio 2020 OLTRE 6 MESI FA

ROMA  – Il secondo decreto su Roma capitale si propone di realizzare il trasferimento delle funzioni al nuovo ente Roma capitale istituito con il decreto 156 del 2010 . Nasce povero di contenuti, ma rappresenta una occasione importante.

La sua stessa approvazione da parte del Governo Monti, tra i primi adempimenti nell’ultimo giorno utile , ha rappresentato un significativo elemento di discontinuità. Ha interrotto il percorso senza uscita imboccato coscientemente dal precedente Governo, che avrebbe portato ad un nulla di fatto, giocando sulla naturale contrapposizione tra gli enti territoriali interessati. Da una parte il omune di Roma, ridenominato Roma capitale dal primo decreto, intento ad acquisire il massimo delle competenze, dall’altro Provincia di Roma e Regione Lazio, protese a difendere le rispettive prerogative. Porsi in attesa delle autonome determinazioni degli enti interessati senza considerare il naturale conflitto di interessi tradiva in realtà la volontà di mantenere lo status quo, di lasciare Roma in una situazione di stallo, ormai risalente perlomeno dal 2001, se non dal 1990 . Il nodo è stato tagliato ed è stata offerta una possibilità. Sta ora ai soggetti interessati non sprecarla.

Criticità istituzionali – Prima di affrontare il tema delle funzioni di Roma capitale è necessario però sciogliere alcune ambiguità relative all’assetto istituzionale che potrebbero essere indotte sia dalle norme vigenti sia, soprattutto, dalla resistenza auto corservativa dei corpi esistenti.

Non può esistere una città metropolitana dentro un’area metropolitana di maggiori dimensioni, come non può esistere, perlomeno nel caso di Roma, un comune di Roma (anche se denominato Roma capitale) in una città metropolitana capitale. Non sarebbe potuta coesistere una città metropolitana di Roma con un ente come la provincia sullo stesso territorio, ma questo tema, anche se non sembra essere stato ancora metabolizzato dal ceto politico, è stato sciolto dal governo Monti in termini generali . Il nodo delle province, che sembrava inestricabile, è stato avviato a soluzione .

Al posto dell’attuale comune di Roma (rectius del nuovo ente Roma capitale) dovrà sorgere quindi l’area metropolitana della Capitale, destinata ad assorbire gli attuali enti intermedi che insistono sul territorio.

La ipotesi più accreditata è quella secondo cui l’area metropolitana dovrebbe essere formata dal comune di Roma e da un certo numero di comuni limitrofi (cosiddetti di prima fascia). Il criterio per l’aggregazione dovrebbe essere di natura strutturale: andrebbero cioè enucleati dei parametri (densità abitativa, struttura urbana, collegamenti, integrazione produttiva e così via) sulla cui base testare le caratteristiche dell’ente locale per verificarne l’idoneità all’inserimento nell’area metropolitana. Si porrebbe poi il problema di contemperare questo criterio con i meccanismi procedurali di formazione del nuovo ente previsti dalla legge 42 del 1990.

In ogni caso la individuazione dell’aera metropolitana romana pone le seguenti questioni:

a) La spinta centrifuga che la sua formazione è destinata ad esercitare rispetto ai comuni della provincia di Roma (e anche, in misura minore, delle altre province della regione).

b) La disaggregazione del comune di Roma nella nuova entità: non avrebbe senso, come si è detto, mantenere l’unità dell’attuale comune ed immaginare al contempo un’ulteriore ente derivante dalla sua aggregazione con altri comuni limitrofi. Si creerebbe un dualismo insostenibile. E’ pertanto necessario trasformare gli attuali municipi in comuni metropolitani e studiare forme di aggregazione degli altri comuni (in due o tre entità), per garantire un grado sufficiente di omogeneità (non ha senso porre sullo stesso piano un comune metropolitano di 300.000 abitanti con un comune della fascia esterna di 20.000 o 30.000).

c) Il riflessi sulla regione Lazio. Il trasferimento delle funzioni amministrative all’area metropolitana romana si riflettono inevitabilmente sulla regione Lazio, per il peso preponderante ricoperto dall’area metropolitana che, con i suoi 3,8 milioni di abitanti, esprime grande parte della assemblea regionale. Nella ripartizione delle funzioni deve essere quindi valorizzato il ruolo di programmazione generale della regione e la sua funzione legislativa, spesso esercitata in modo timido ed incompleto.

d) La fine delle province per come le abbiamo conosciute fino ad oggi pone il problema della ricollocazione degli attuali comuni della provincia che non ricadono nell’area metropolitana e, più in generale, della organizzazione delle funzioni di coordinamento di area vasta dei nuovi livelli intermedi.

L’attuazione di Roma capitale richiede scelte incisive, capaci di ridisegnare completamente il rapporto tra i vari livelli di governo. Non è possibile risolvere la questione incrementando le funzioni di ogni tassello istituzionale. Per i municipi (“maggiore livello di decentramento delle funzioni dal Comune ai Municipi”). Per le province diverse da Roma (“accrescere le competenze amministrative delle altre Province del Lazio”, con un nuovo conferimento, statale e regionale, di funzioni). Per la nuova area metropolitana (“I Comuni metropolitani formati dai Municipi di Roma e dai Comuni dell’Interland romano che sono parte dell’area metropolitana dotati finalmente di autonomia di budget saranno in grado di poter programmare e realizzare politiche nuove e articolate per le proprie comunità”). Per la stessa provincia di Roma soppressa per cui si prefigura, ante litteram, una sorta di area vasta (“Accanto all’assemblea dei consiglieri della Città metropolitana, ben potrà essere costituito un organo di raccordo dei sindaci dei comuni – inclusi gli ex municipi -, per avere una sede di concertazione interistituzionale che si esprima su i più importanti atti di programmazione”). Per la regione “con la previsione di un nuovo regime speciale (quindi con maggiori competenze legislative e un nuovo Statuto di rango costituzionale come per Sardegna, Sicilia, Valle d’Aosta, Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia) ovvero con l’ampliamento delle forme di autonomia in alcune materie come prevedono le norme costituzionali sul federalismo differenziato (art. 116 Cost.)” .

Questo approccio, di tipo incrementale, non risolve i problemi. Il rischio è quello della paralisi istituzionale in un coacervo di enti in conflitto permanente per affermare (o negare) la rispettiva competenza.

Di fronte a questo scenario si possono delineare due diversi approcci. Il primo, più radicale, prevede poteri regionali per la Capitale, inclusa la funzione legislativa (in analogia con le province autonome di Trento e Bolzano). E la conseguente aggregazione dei territori delle altre province (e dei comuni che non rientrano nella area metropolitana della Capitale), alle regioni limitrofe. Una grande Roma/Regione, magari anche più estesa della attuale provincia, che si configurerebbe come un vero e proprio distretto federale. Questa scelta, rischia per la sua complessità di essere inattuabile, ma risolverebbe il problema di una Regione formata per grande parte da rappresentanti di Roma senza poteri rispetto ai propri rappresentati, governati per molti aspetti dall’area metropolitana.

L’altro approccio, più aderente alla situazione istituzionale esistente, prevede finanziamenti speciali per le funzioni di Roma capitale (con gli strumenti legislativi esistenti, che possono essere aggiornati) e trasferimento, con procedure concertate, (da stato, regione e provincia) delle funzioni indicate dalla legge sul federalismo fiscale. In questo caso, dal punto di vista istituzionale, è necessario: individuare una metodologia per definire il perimetro dell’area metropolitana e ridisegnare le entità interne (municipi e comuni) in modo tale da garantirne l’omogeneità.

Tra i due scenari ipotizzabili il secondo, anch’esso di non facile attuazione, appare più realizzabile e può anche essere interpretato come un primo passo verso innovazioni future più profonde. In altre parole si vuole sottolineare, al di là delle specifiche proposte, da supportare peraltro con robuste analisi quantitative, che la questione relativa all’assetto della capitale, inserita impropriamente, con forzatura dell’ultimo momento, nella legge sul federalismo fiscale, presenta profili di carattere eminentemente istituzionale. Si riconnette al tema della riorganizzazione dei livelli di governo, reso ancora più stringente dalla sostanziale eliminazione delle province e dall’obbligo di gestione unificata delle funzioni per i comuni al disotto di una certa dimensione , e della necessità di una riconsiderazione critica del processo di trasformazione federalista, rimasto incompiuto nei suoi aspetti unificanti, come l’istituzione del senato federale, e oggetto di forzature divaricanti nella dimensione applicativa (eccessiva diversificazione della struttura fiscale nei vari territori e scarsa considerazione dell’impatto dei divari strutturali nel processo di determinazione dei fabbisogni e dei costi standard) .

Quali funzioni per Roma capitale? – In questo ambito va affrontato il nodo delle funzioni pensando, nella loro delineazione, non al comune di Roma (pur importante anche indipendentemente dalla nuova denominazione assunta con il decreto 158 di “Roma Capitale”), ma alla città metropolitana, come si evince anche dall’incipit dell’art. 24 della legge 42, che detta norme su Roma capitale “in sede di prima applicazione, fino all’attuazione della disciplina delle città metropolitane”. Del resto sempre l’art. 24 prevede che le trasformazioni predisposte con i decreti legislativi relativi a Roma capitale saranno automaticamente estese all’area metropolitana romana . Sotto questo profilo può essere utile analizzare le funzioni per Roma capitale declinate dai vari provvedimenti che si sono succeduti fino ad oggi.

La legge 142 del 1990 che, come si è detto, introduce per la prima volta la figura dell’area metropolitana nell’ordinamento enucleava importanti funzioni, da attribuire con le legge regionale : pianificazione territoriale, trasporti, valorizzazione dei beni culturali e dell’ambiente, difesa del suolo, smaltimento dei rifiuti, raccolta e distribuzione delle acque e delle fonti energetiche, servizi per lo sviluppo economico e grande distribuzione commerciale, servizi di area vasta nei settori della sanità, della scuola e della formazione professionale e degli altri servizi urbani di livello metropolitano. Come si nota si tratta di funzioni molto rilevanti, di livello regionale in alcuni casi, indicate per tutte le aree metropolitane previste nell’ordinamento.

Sulla stessa lunghezza d’onda il testo unico delle leggi sugli enti locali che enuclea all’articolo 24 le funzioni degli enti locali per le quali, con legge regionale, è previsto l’esercizio coordinato, fino alla istituzione dell’area metropolitana che, evidentemente, è destinata ad assorbirle direttamente . Dal confronto tra i due elenchi, si possono notare tre differenze, espunte dal più recente corpo normativo: tutela e valorizzazione dei beni culturali, raccolta e distribuzione delle fonti energetiche e soprattutto, i servizi di area vasta nei settori della sanità, della scuola e delle formazione (competenze di natura statale e regionale).

L’articolo 23 della legge 42 individua, come funzioni delle aree metropolitane quelle della provincia , cui vengono aggiunti: la pianificazione territoriale generale e delle reti infrastrutturali; la strutturazione di sistemi coordinati di gestione dei servizi pubblici; la promozione e il coordinamento dello sviluppo economico e sociale.

Le norme su Roma capitale – Roma capitale, oltre ad essere individuata come area metropolitana dalle disposizioni richiamate, è stata oggetto di disposizioni specifiche: la legge 396 del 2000 legge 396 del 1990 recante interventi per Roma, capitale della Repubblica, il citato comma terzo dell’articolo 114, introdotto nel 2001 e il più volte richiamato articolo 24 della legge 42 del 2009 .

Non è facile enucleare le funzioni specifiche della capitale e quantificare le risorse necessarie per il loro adempimento, distinguendole da quelle dell’area metropolitana. In astratto si dovrebbe stabilire ciò cui Roma deve adempiere in quanto capitale, dalle competenze legate al suo essere area metropolitana (rispetto alle quali va considerata analogamente alle potenziali altre nove). La distinzione è molto complessa. Come misurare l’impatto sul tessuto urbano delle sedi diplomatiche, della presenza della Santa Sede, delle manifestazioni nazionali che nel corso dell’anno sfilano nella capitale, delle ricorrenze di carattere nazionale? Come distinguere, tra il milione di persone (pari alla popolazione dell’Umbria) che quotidianamente entrano nella città, coloro che accedono all’area metropolitana (come avviene ad esempio a Milano) e coloro che giungono a Roma in quanto capitale? La citata legge 336 del 1990, rifinanziata periodicamente con la decisione di bilancio, ha destinato a Roma, fino al 2009, una somma mediamente intorno ai 200 milioni annui. Sarebbe utile approfondire la questione con analisi quantitative, per meglio misurarne l’impatto, anche se il grado di indeterminatezza è destinato probabilmente a rimanere molto elevato.

Secondo la legge per Roma capitale “sono di preminente interesse nazionale gli interventi funzionali all’assolvimento da parte della città di Roma del ruolo di capitale della Repubblica e diretti”, con alcune semplificazioni rispetto al testo originario: alla riqualificazione del tessuto urbano e sociale della città; alla conservazione e valorizzazione del patrimonio monumentale, archeologico e artistico; alla assicurazione di una più efficace tutela dell’ambiente e del territorio, anche attraverso il risanamento dei fiumi Aniene e Tevere e del litorale, alla realizzazione dei parchi naturali, sportivi e per il tempo libero nonché interventi di recupero edilizio, di rinnovo urbano e di riqualificazione delle periferie, ivi comprese le opere di carattere igienico-sanitario; all’adeguamento della dotazione dei servizi e delle infrastrutture per la mobilità urbana e metropolitana anche attraverso la definizione di un sistema di raccordi intermodali e di navigabilità del Tevere; con la sistemazione della sua portualità la riorganizzazione delle attività aeroportuali nonché il potenziamento del trasporto pubblico su ferro con sistemi integrati ed in sede propria, sotterranea e di superficie; alla qualificazione delle le università e dei centri di ricerca esistenti e alla realizzazione di nuove strutture per la scienza e la cultura; alla costituzione di un polo europeo dell’industria dello spettacolo e della comunicazione e realizzare il sistema congressuale, fieristico ed espositivo anche attraverso il restauro, il recupero e l’adeguamento delle strutture esistenti; ed infine alla adeguata sistemazione delle istituzioni internazionali operanti in Italia e presenti a Roma.

Si tratta di competenze molto simili rispetto a quelle enucleate nei provvedimenti relativi alle città metropolitane. Riemerge la conservazione del patrimonio artistico, prevista dalla coeva legge 142, e si aggiungono la qualificazione delle Università e dei centri di ricerca e la sistemazione delle istituzioni internazionali, oltre alla costituzione di un polo dello spettacolo, estensione delle attività culturali previste dal testo unico del 2000. Peculiarità che ancora oggi si addicono al ruolo della Capitale.

Infine il più volte richiamato articolo 24 della legge 42 del 2009 attribuisce a Roma, oltre a quelle spettanti al comune, le seguenti funzioni amministrative: concorso alla valorizzazione dei beni storici, artistici, ambientali e fluviali, previo accordo con il Ministero per i beni e le attività culturali; sviluppo economico e sociale di Roma capitale con particolare riferimento al settore produttivo e turistico; sviluppo urbano e pianificazione territoriale; d) edilizia pubblica e privata; organizzazione e funzionamento dei servizi urbani, con particolare riferimento al trasporto pubblico ed alla mobilità; protezione civile, in collaborazione con la Presidenza del Consiglio dei ministri e la regione Lazio; ulteriori funzioni conferite dallo Stato e dalla regione Lazio, ai sensi dell’articolo 118, secondo comma, della Costituzione.

Le analogie tra i due provvedimenti sono molto forti: lo sviluppo e la pianificazione del territorio, il patrimonio culturale, l’edilizia, i trasporti, il turismo, la protezione civile.

La potenza della metropoli capitale – Da questa rapida rassegna si evince che il legislatore nazionale ha, in questo ultimo ventennio, enucleato un insieme ampio e stabile di funzioni per la capitale intesa come area vasta, che non ha subito particolari modificazioni nel corso del tempo. Una buona base per passare alla fase attuativa di un progetto rimasto per troppo tempo in fase di incubazione. L’occasione che non deve essere sprecata non solo per dare alla Capitale l’assetto adeguato, ma anche per sviluppare adeguatamente la regione Lazio.

Per uscire positivamente da questo dibattito è necessario che ciascun livello di governo superi il riflesso condizionato, pienamente legittimo, di conservare o ottenere dall’altro, a seconda del caso, il massimo delle competenze. Si creerebbe in tal modo una situazione di stallo che lascerebbe immutato lo status quo, fornendo ai cittadini l’ennesima prova dell’incapacità della politica a trovare equilibrate soluzioni ai problemi.

Recenti studi mostrano che la Capitale (il discorso è estendibile in generale alle metropoli) può essere il volano dello sviluppo non solo della Regione Lazio e della intera area centrale .

Guardando alle dinamiche demografiche, la regione Lazio detiene un primato: la sua popolazione è cresciuta tra il 2003 ed il 2010 di oltre 520 mila unità con una variazione percentuale di +10,06%, maggiore rispetto a quella registrata nello stesso periodo nel Centro Italia. Tale incremento non si deve tanto alla crescita demografica della città di Roma quanto a quella della sua provincia. La diffusione insediativa a partire da Roma tracima nel territorio prima provinciale poi regionale arrivando finanche alle altre regioni del Centro Italia. Si determina un’area insediativa a valenza regionale e ruolo centrale definita dall’interazione, di norma indicata come pendolarismo, tra un polo centrale (Roma) e le municipalità dell’intorno. L’area funzionale romana a cui si fanno riferimento recenti studi (Roma nel Centro Italia Mappe e sentieri del rapporto tra Roma e il territorio) è composta da 239 comuni, 4,9 milioni di abitanti nel 2010, circa 1,8 milioni di residenti occupati e 1,7 milioni di addetti. Attorno a quella romana ci sono altre tre aree funzionali che in qualche misura gravitano su questa: quella di Terni, di Frosinone e de L’Aquila. Pur avendo una loro autonomia, sono aree che fanno da tramite con le altre aree funzionali del Centro Italia: quella di Firenze, di Napoli e di Pescara. Un territorio esteso e popoloso, secondo solo a quello di Milano per popolazione, per residenti occupati (2,3 milioni) e per addetti (2,4 milioni) caratterizzato da tanti legami interni, da dinamiche residenziali omogenee, fuori delle suddivisioni amministrative (Regione, Province).

E’ necessario quindi uscire dalla sterile contrapposizione, che ha spesso caratterizzato, in modo bipartisan, le politiche regionali tra Roma e il resto della regione, rappresentata spesso nel ruolo di Cenerentola. La capitale può dare molto alla regione e, come si è visto, all’insieme dell’area centrale. Questa è la logica con la quale va affrontato il tema della riorganizzazione istituzionale: una capitale corrispondente ad una vasta area metropolitana, cui vengono conferite robuste funzioni di gestione e coordinamento nei settori a suo tempo individuati dalla legge 396 del 2000 (Interventi per Roma capitale) e ribaditi nell’articolo 24 della legge 42 del 2009.

Il secondo decreto su Roma capitale: una occasione da non perdere – Dalla emanazione del decreto 151/2010 è stato avviato, tra gli enti territoriali del Lazio, un percorso per cercare di dare soluzione alle numerose criticità lasciate aperte sul punto dalla legge 42/2009. Sulla definizione delle funzioni da attribuire, nonostante il richiamato elenco dell’art.24, è subito emerso con evidenza che (al di là del fondamento giuridico) avrebbe creato notevoli problemi il trasferimento diretto a Roma capitale, tramite decreto legislativo, delle funzioni costituzionalmente assegnate alla Regione (analogo problema si pone, in misura minore, per le funzioni di competenza della Provincia). Pertanto si è pervenuti ad una intesa (sancita da un protocollo tra gli enti territoriali interessati, siglato il 20 ottobre 2011 tra regione Lazio e comune di Roma) in base alla quale sarebbero trasferite, attraverso il decreto legislativo, solo le funzioni dello Stato a Roma capitale. Con specifica legge regionale, successiva, che la Giunta si impegna a presentare al Consiglio regionale entro 90 giorni dalla approvazione del secondo decreto legislativo su Roma capitale, sarebbero quindi trasferite le funzioni regionali (nonché, con un processo parallelo, quelle della Provincia). Il processo è stato avviato da apposite commissioni attivate negli enti territoriali interessati e avrebbe nel “comitato tecnico paritetico” previsto dal richiamato protocollo di intesa un momento unitario per la ricognizione delle funzioni da trasferire.

Lo schema di decreto approvato dal Governo Monti (atto 425) recepisce il lavoro effettuato degli enti territoriali del Lazio e indica nella legge regionale (da approvare entro 90 giorni) lo strumento per il trasferimento delle funzioni regionali a Roma capitale. Lo schema di decreto individua inoltre uno specifico raccordo istituzionale in “un’apposita sessione nell’ambito della Conferenza Unificata, di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n.281, presieduta dal Presidente del Consiglio dei Ministri o da un Ministro da lui delegato, composta dal Sindaco di Roma capitale, dal Presidente della Regione Lazio e dal Ministro competente per materia e, per le materie di competenza della Provincia di Roma, dal Presidente della medesima” per sovraintendere al trasferimento delle funzioni. La Conferenza viene inoltre aperta, per tutte le materie di competenza, al sindaco di Roma capitale. Si crea in altre parole, per Roma capitale (oggi comune di Roma, domani la nuova area metropolitana) una situazione intermedia tra le Regioni (e le provincie autonome di Trento e Bolzano), che partecipano organicamente alla Conferenza, e gli altri enti locali, che ne sono esclusi (ed hanno la propria Conferenza che si riunisce insieme a quella delle regioni ed al Governo nella Conferenza unificata).

Lo schema di decreto trasferisce a Roma capitale alcune funzioni statali: le funzioni e i compiti amministrativi relativi alla valorizzazione dei beni culturali, ambientali e fluviali opportunamente specificate; le funzioni di competenza del Ministero per i beni e le attività culturali relative al Teatro dell’Opera di Roma; le funzioni e i compiti amministrativi di cui all’articolo 40 del decreto legislativo n. 112 del 1998, concernenti il coordinamento dei tempi di svolgimento delle manifestazioni fieristiche di rilevanza internazionale e nazionale, promosse sul territorio romano; le funzioni e i compiti amministrativi di cui all’articolo 58 del decreto del presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, riguardanti l’istituzione e gestione di uffici di rappresentanza, di informazione e di promozione all’estero di Roma capitale; funzioni e compiti in materia di protezione civile, relativi alla emanazione di ordinanze per l’attuazione di interventi di emergenza in relazione agli eventi di cui all’articolo 2, comma 1, lettere a) e b), della legge 24 febbraio 1992, n. 225, al fine di evitare situazioni di pericolo, o maggiori danni a persone o a cose e favorire il ritorno alle normali condizioni di vita nelle aree colpite da eventi calamitosi. Come mostra questa prima ricognizione si tratta di un trasferimento di adempimenti amministrativi, interessante sotto il profilo dei contenuti, ma timido rispetto alle procedure, che restano eccessivamente multilivello. Più utile per una capitale moderna ed efficiente è superare la logica del ritaglio di competenze, che permea lo schema di decreto, e trasferire blocchi omogenei di materie, riservando a livelli superiori forme penetranti di controllo sui risultati.

Per dare corpo a questi intenti è utile irrobustire il decreto inserendo alcune questioni ormai mature. In primo luogo la partecipazione al CIPE di Roma capitale. Una capitale ha bisogno di infrastrutture materiali e immateriali capaci di adeguare dinamicamente al proprio ruolo i servizi offerti al Paese. Per questo appare utile inserirla nel processo decisionale nazionale che determina le decisioni di investimento, il CIPE, con specifico riferimento alla concertazione tra livelli di governo prevista dalla legge obiettivo. Si prevede in pratica la estensione dei già previsti livelli di partecipazione e decisione per regioni e province autonome a Roma capitale, nei casi in cui le infrastrutture e gli insediamenti produttivi in discussione riguardino il proprio territorio. In questo modo, senza limitare le prerogative degli altri livelli di governo, si valorizza il ruolo della capitale, contribuendo ad attuare anche il disposto costituzionale (art. 114, comma 3).

Un altro elemento utile, facilmente definibile con l’aggiornamento dall’art. 3 della legge 396 del 1990, consiste nell’indicare il sindaco di Roma capitale come soggetto coordinatore per la conclusione degli accordi di programma nel caso in cui questi si riferiscano ad interventi che insistono sul territorio della Capitale, prefigurando la istituzione della area metropolitana romana, cui potranno essere devolute funzioni di area vasta.

Altra questione è quella relativa al trasporto pubblico locale. Nella futura area metropolitana romana il trasporto pubblico locale rappresenterà una delle funzioni più rilevanti, come accade per tutte le metropoli. E’ importante quindi prevedere il trasferimento diretto, senza passaggi intermedi, dei fondi necessari per la gestione e lo sviluppo del TPL. In questo modo si risolve un problema che nel recente passato è stato la causa principale delle crisi di cassa del comune di Roma e si introduce un forte elemento di razionalizzazione.

Infine la cessazione della gestione commissariale e la conseguente riunificazione nella gestione ordinaria della finanza di Roma capitale che crea la premessa per reperire le risorse necessarie per finanziare gli interventi necessari allo svolgimento del ruolo di capitale.

Per quanto concerne le funzioni regionali lo schema di decreto ha scelto, recependo l’intesa del 20 ottobre 2011 tra Comune di Roma e Regione Lazio, di demandare alla legge regionale il conferimento. Una scelta importante che, nel ribadire le prerogative costituzionali regionali, affida alla regione un compito molto rilevante da svolgere guardando all’interesse generale prima richiamato. E’ stata avviata una prima ricognizione delle 163 funzioni (raggruppate in 30 ambiti omogenei) che potenzialmente possono essere oggetto di trasferimento. Il criterio utilizzato (che dovrebbe essere seguito anche a livello nazionale) è molto ampio e, in una fase successiva, dovranno essere individuate le risorse finanziare ed il personale addetto allo svolgimento delle funzioni trasferite per delineare le adeguate forme di riallocazione.

Restano alla Regione le funzioni relative alla politica agricola e industriale, all’ambiente e fonti di energia, alla gestione dei rifiuti. La prima ricognizione delle funzioni regionali trasferibili è stata effettuata sulla base di due criteri guida: trasferire le funzioni per blocchi omogenei, per ridurre al minimo la tecnica del ritaglio; trasferire le funzioni che hanno un impatto diretto con l’utenza finale, per riservare alla regione compiti di programmazione e coordinamento.