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Navalny, chi era il “russo buono” che piaceva agli americani, analisi di un mito, oppositore da destra del potere autarchico di Putin

Navalny, chi era il “russo buono” che piaceva agli americani (ma che ricordava Trump), analisi di un mito. Aleskeji Navalnyj era russo, dell’Oblast di Mosca, più nazionalista di Putin, considerando che San Pietroburgo, città natìa del nuovo Zar, è considerata più occidentale di Mosca.

da The Social Post

Si opponeva a Putin infatti forte di una ideologia più nazionalista, e meno inclusiva, dell’ex chekista, come vengono chiamati in gergo gli ex KGB. Putin per screditarlo rilanciava le accuse, mai del tutto smentite di razzismo, verso le etnie non propriamente russe abitanti però nella sterminata Grande Madre Russia, la Patria.

Navalnyj quindi non era un democratico liberale, ma un oppositore da destra del potere autarchico di Putin. Voleva una Russia più pura, magari più piccola, ma pura, non influenzata da mire imperiali, che ne inbastardivano la razza. In questo era tipicamente moscovita, città in cui era nato e in cui si era candidato, con un certo successo, a Sindaco, ovviamente non eletto.

Prima militava in Jabloko, partito legittimato nella pseudo democrazia russa, poi ne uscì per dissidio con il leader dirigente, e fondò un proprio movimento, anch’esso leaderistico. Per alcuni versi la sua storia politica e le sue idee, Russia First, ricalca quella di Trump.

Solo che la Russia non è l’America e Biden non è Putin, se no Trump sarebbe già a Guantanamo. Era l’eroe di un certo Occidente solo perché era meno imperialista di Vladimir Putin, e ne era l’unico rilevante, sul piano mediatico, oppositore.

Per l’America lui era il Russo buono, come gli indiani americani, in riserva, o, come è successo a Navalnyj, morto. Putin non è buono per gli Stati Uniti, perché è imperialista come loro, se non vince di nuovo Trump.

Il Navalnyj americano, che dice più o meno le stesse cose, quello se la prendeva con gli azeri o ceceni, lui con i messicani. E che vuole ridurre gli USA nei confini di casa, a farsi i fatti propri, invece di girare per il mondo come degli apprendisti stregoni. 

Il nemico del mio nemico è un mio amico: un detto nato forse dopo Caino e Abele, ma che rappresenta bene come l’Occidente abbia perso la capacità di esaminare gli altri se non con le proprie miopi lenti. Per cui fiaccolata per Navalnyj oggi, niente armi a Zelensky, altro Rus’ di Kiev, domani. Perché costano molto più delle fiaccole. 

PS: Putin è un dittatore, ma russo, ed i russi, di una città più dissenziente di altre, votarono in maggioranza il suo candidato e non Navalnyj quando si candidò a Sindaco di Mosca. Certo non c’erano osservatori internazionali, e sicuramente qualche broglio, ma a Roma spesso è lo stesso, ci saranno stati. Ma se Navalnyj fosse stato largamente maggioritario i brogli non sarebbero bastati.

Pertanto, per quanto despota, Putin ha con sé la maggioranza ancora schiacciante dei russi, che si identificano, a torto o a ragione, per paura o mancanza di solide alternative, in lui. E se pensiamo che i russi abbiano una forte natura liberale, pluralista e democratica non conosciamo i russi né la Grande Madre Russia. Un po’ di letteratura russa non guasterebbe.

da The Social Post

Marco Benedetto

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