ROMA – Ora che se ne parla meno o non se ne parla proprio più perché la scena è stata fatta occupare all’attacco contro la Siria – condotto dagli Usa con l’Inghilterra e con la Francia, cioè con i due Stati il cui colonialismo e la cui sete di petrolio hanno creato le premesse per l’eterna tragedia mediorientale – è il caso di fare alcune osservazioni non polemiche, ma obiettive, sul video che mostra un cecchino prendere di mira e sparare, ferendolo a quanto pare a una gamba anziché uccidendolo, a un palestinese tra i dimostranti di Gaza.
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Dandogli anche del figlio di puttana e gioire alla grande assieme ai suoi commilitoni per la prodezza appena compiuta e per il video che la immortala. Ricordiamo che se quel palestinese è stato “solo” ferito, del numero di chi invece è stato ucciso arrivati a quasi 20 se n’è perso il conto. I cecchini hanno anche provocato più di mille feriti. Il tutto per una manifestazione condotta da persone prive di armi diverse da fionde o pietre o copertoni incendiati e tutte bene aldilà del confine con Israele e quasi sempre anche della “striscia di sicurezza” di 2-300 metri di profondità imposta unilateralmente da Israele. Striscia di terra che, si noti bene, è situata nel territorio di Gaza e non in quello di Israele.
Come sia stato possibile in queste condizioni che tutti i più diffusi mass media (non solo) italiani abbiano parlato di “scontri tra palestinesi e israeliani” è non solo un mistero, per nulla glorioso, ma anche una (altra) macchia del giornalismo: di scontri infatti NON ce n’è stato neppure uno, s’è trattato SEMPRE e SOLO di manifestanti palestinesi da una parte e cecchini israeliani dall’altra, parti rimaste tra loro ben separate quanto meno da svariate decine di metri di distanza. Cecchini che hanno aperto il fuoco ad nutum, cioè a proprio piacimento, con le motivazioni o con le scuse più varie. E inaccettabili. Inaccettabili perché non si è mai visto nessun Paese civile spedire cecchini alla frontiera con un altro Paese per uccidere deliberatamente chi manifestava dall’altra parte del confine, per giunta privo di armi da fuoco e di altre armi degne di tale nome.
Da notare che la mattanza al confine di Gaza è stata condannata anche da un gruppo di ex cecchini dell’esercito di Israele, con una apposita presa di posizione resa nota in Europa solo dal giornale inglese Guardian:
“Noi (sottoscritti), un gruppo di ex combattenti che erano membri di squadre di cecchini, intendiamo esprimere i nostri sentimenti di angoscia riguardo ai recenti incidenti nella Striscia di Gaza. Quando abbiamo sentito di ordini militari che permettono ai cecchini di sparare proiettili veri a dei manifestanti disarmati, ci siamo riempiti di vergogna e di dolore: vergogna per gli ordini privi di ogni giudizio etico e morale e dolore per i giovani soldati che, come sappiamo molto bene dalla nostra esperienza, porteranno sempre con loro le scene che hanno testimoniato attraverso il mirino dei loro fucili”.
Le dichiarazioni di Netanyahu secondo il quale Israele “è in guerra con Gaza” sono francamente incredibili: a parte il fatto che non c’è nessuno stato di guerra della potenza nucleare israeliana con gli straccioni chiusi nella Strisca di Gaza come topi in trappola ormai da anni, se davvero una tale guerra esistesse renderebbe simmetricamente legittimi i bombardamenti, non solo con piccoli razzi dimostrativi Qassam come avvenuto anni fa, e il cecchinaggio anche da parte di Gaza contro Israele.
Parimenti, le dichiarazioni di ministri come Lieberman autore della proposta di “trasferire”, cioè di deportare, all’estero i due milioni di arabi cittadini israeliani, secondo le quali “a Gaza non esiste nessun innocente”, e quindi è legittimo anche il tiro al piccione dei giorni scorsi, è meglio non commentarle: di certo non fanno onore non tanto a chi le ha pronunciate, ma soprattutto non fanno onore a Israele. Non a caso un altro ex capo dei servizi segreti interni israeliani Shin Bet, il mitico ammiraglio Amichai Ami Ayalon, a proposito delle nuova mattanza ha dichiarato: Netanyahu ha vinto, Israele ha perso”.
Non a caso ci sono organizzazioni israeliane, come BTselem, che incitano i soldati a disobbedire all’ordine di sparare ai manifestanti di Gaza perché si tratta di un ordine illegale. E un rapporto di 71 pagine dell’organizzazione Human Rights Watch, pubblicato dal giornale inglese Guardia, accusa Israele di crimini di guerra con l’uso a Gaza anche di bombe al fosforo bianco.
Tutto ciò premesso, duole constatare che la risposta israeliana alle manifestazioni anche pacifiche palestinesi è SEMPRE caratterizzata da una durezza estrema, la cui legalità è negata anche da molte organizzazioni israeliane, che lascia lunghe scie di morti. Lo ha scritto per esempio chiaro e tondo la giornalista e docente ebrea israeliana Tania Reinhart in un libro che denunciava tale durezza repressiva fin dal titolo, quanto mai esplicito ed emblematico: “Distruggere la Palestina”.
L’autrice rilevava, tra l’altro, come molto spesso i soldati israeliani usino sparare agli occhi e alle ginocchia in modo da creare mutilati o comunque feriti non più fisicamente autosufficienti, in modo da appesantire la vita delle famiglie palestinesi. Se Lieberman ha dichiarato che il cecchino del video “merita un premio”, forse perché a quanto pare ha colpito a una gamba anziché uccidere, Reinhart nel suo libro ha denunciato anche la premiazione del reparto del quale faceva parte il manovratore di uno degli enormi bulldozer addetti alle demolizioni punitive di case palestinesi abitate da parenti di terroristi o presunti tali.
Il manovratore in questione, Reinhart ne ha scritto il nome e cognome e anche il nome del reparto di appartenenza, si vantò con la stampa di avere demolito per giorni e giorni case a Jenin, dopo una manifestazione conclusa con oltre cento palestinesi uccisi, senza dare la possibilità agli abitanti di uscire: “Un colpo di benna di avvertimento e poi chi c’era c’era, io procedevo alla demolizione”.
Quando le proteste e manifestazioni palestinesi avvenivano con lanci di soli sassi – dando vita alla famosa Intifada delle pietre di fine anni ’80 – un video trasmesso in tutto il mondo, compresi i nostri telegiornali della Rai, immortalò i militari che – in base a una ben precisa direttiva – con grosse pietre spaccavano le braccia a un ragazzo catturato mentre ne lanciava alcune. Ma il comportamento più incredibile è emerso dopo un errore dei soldati israeliani compiuto in Libano il 19 dicembre ’94, quando diedero il colpo di grazia sparandogli in testa al proprio comandante, il maggiore Khewaan Hamad, scambiato per un terrorista ferito.
L’errore è emerso solo per il rifiuto dell’omertà di un sergente che dopo le bugie della versione ufficiale si decise a rivelare come stavano i fatti a un giornalista, Mordecai Alon, del settimanale di Haifa, Kol Bo (della catena Haaretz). Il sergente ha rivelato l’esistenza di un’incredibile “procedura di accertamento di morte”. Ha infatti dichiarato che dopo averlo colpito per sbaglio e ancora convinti che il maggiore fosse un terrorista. “Ci siamo avvicinati e abbiamo eseguito l’ accertamento di morte, come ci era stato insegnato in tante esercitazioni: bisogna sparare alla testa del terrorista ferito per accertarsi che sia morto”.
Un’inchiesta del giornale israeliano Haaretz del marzo 2009 denunciò l’usanza di soldati di farsi stampare dal negozio Adiv di Tel Aviv T-shirt con la scritta “confirming the kill” (verifica di aver ucciso), con l’invito a sparare un colpo di pistola alla testa alle proprie vittime. Haaretz denunciò anche la mania delle T-shirt con stampato “One shot, two kills” (un colpo, due morti) sotto la foto di una donna palestinese incinta centrata in un mirino di fucile. Un cecchino dell’esercito volle una maglietta con la foto di una madre palestinese in lacrime accanto al cadavere del proprio bambino ucciso e con la scritta in bell’evidenza “Better use Durex” (meglio usare il preservativo Durex).
Quando dal lancio delle pietre si passò poi all’uso di armi da parte degli abitanti di Gaza, gli israeliani passarono alla politica degli “omicidi mirati” che consisteva nell’assassinare con ogni mezzo possibile – anche con bombe sganciate da aerei e telefonini manomessi per esplodere a comando – i palestinesi di Gaza giudicati terroristi in modo insindacabile dal servizio segreto Mossad, senza badare troppo a chi si trovasse vicino alla vittima da colpire, familiari o passanti casuali.
Per uccidere il palestinese al-Din Shahada, ritenuto non si sa su quali basi dal Mossad un terrorista di Hamas, il 22 luglio 2002 un caccia israeliano sganciò una bomba da una tonnellata, uccidendo anche 15 civili innocenti e distruggendo varie abitazioni contigue alla casa della vittima designata. I criteri di giudizio del Mossad e del ministro della Difesa Lieberman lasciano oltretutto a desiderare. Yaser Murtaja, il giornalista ucciso da un cecchino nei recenti “scontri” al confine di Gaza secondo Lieberman era un militante di Hamas che stava raccogliendo materiale di intelligence con un drone. A parte la mancanza di ogni prova, drone compreso, Murtaja aveva ricevuto di recente poco meno 12.000 dollari dall’agenzia di aiuti americana USAID, che non regala certo soldi ai terroristi.
Insomma, pare proprio che sia nato in terreno fertile e che abbia fatto scuola il pensiero di docenti stimati dal governo del calibro di Arnon Soffer, dell’Università di Haifa, pensiero gridato da The Jerusalem Post il 10 maggio 2004: “Perciò, se vogliamo restare vivi, dobbiamo uccidere, uccidere e uccidere. Tutto il giorno, ogni giorno [….]. Se non uccidiamo, cessiamo di esistere”. E’ così che il giornalista ebreo israeliano Gideon Levy scrive su Haaretz che ormai la maggioranza degli israeliani è accecata dall’odio per i palestinesi.
“La base, l’elettorato, la maggioranza vogliono il male. E Netanyahu gli ha dato il male. Nessuna elezione cambierà questo meccanismo. La vera tragedia non è Netanyahu, ma il fatto che in Israele qualsiasi espressione di umanità è un suicidio politico. Da Gaza a Tel Aviv corre un filo fatto di malvagità e razzismo. In questi luoghi gli israeliani non pensano di avere di fronte altri esseri umani: considerano gli eritrei e gli abitanti di Gaza degli esseri inferiori”.
A tutto ciò si deve aggiungere, oltre alla continua confisca di terreno palestinese nei Territori, ormai ridotti a piccole macchie di leopardo tra loro separate, per fare spazio agli insediamenti di coloni, anche quanto segue: – la possibilità legale di arrestare per sei mesi alla volta – con il cosiddetto “arresto amministrativo” – rinnovabili all’infinito qualunque palestinese e senza l’obbligo di dover specificare i motivi dell’arresto; – la distruzione per rappresaglia legale di case e piantagioni proprietà di famiglie di presunti terroristi, che non solo secondo i pacifisti israeliani conta ormai migliaia di case demolite e lo sradicamento di centinaia di migliaia di alberi di olive e aranci.
Troppo facile dare tutta la colpa a Israele. Il problema è, oltre al deciso e bellicoso appoggio statunitense, l’atteggiamento passivo o latitante dell’Europa, che sta alla finestra recitando le solite litanie buoniste, ma in concreto non fa nulla per costringere i contendenti a farla finita. E una volta per tutte!