Chi sarà il nuovo Papa? Sarà italiano o straniero? Europeo o no? Occidentale, africano, orientale? Non ne ho la più pallida idea e francamente l’argomento non mi appassiona. Credo sia più utile per tutti capire invece quali sono i problemi che la Chiesa ha davanti. Perché se non li supera alla meglio c’è il rischio che per l’Europa e magari per l’intero Occidente si scatenino nuovi inferni. E non quelli di Dante….
Il problema più grande, anche in termini quantitativi oltre che qualitativi, è l’avanzare a rullo battente della Cina e dell’ Oriente in generale. Realtà ci piaccia o meno destinata comunque a cambiare il mondo a egemonia occidentale, già oggi molto ridotta, e quindi realtà con la quale è necessario sapersi confrontare in modo saggio.
La Cina, è noto, non accetta ingerenze di nessun tipo, politico, sociale o religioso, da parte di nessun Paese e neppure da parte della Chiesa di Roma, cioè a dire dallo Stato del Vaticano. La sua non grande quota di cittadini di fede cattolica è gestita dalla Associazione Cattolica Patriottica Cinese, in pratica la Chiesa cinese, fondata dal governo nel 1957, che rifiuta l’autorità papale e vaticana e provvede anche a nominare i propri vescovi, per un totale finora di 190. La nascita della Chiesa cinese non è dovuta a ostilità del governo di allora, comunista capeggiato da Mao Tze Tung, ma alla rigida posizione anticomunista del Vaticano. Pio XII per scongiurare vittorie elettorali dei comunisti in Italia e più in generale in Europa arrivò infatti a scomunicarli in blocco, cosa che non aveva fatto neppure con i nazisti. Analogamente pretese di dettare legge ai cattolici cinesi minacciando di scomunicarne i vescovi se non avessero obbedito ai diktat del Pontefice. Ovviamente Pechino reagì come ha reagito.
E’ del luglio scorso un articolo comparso sul sito di Radio Cina Internazionale per dare notizia che lo State Administration for Religious Affairs (SARA) ha chiesto al Vaticano di piantarla con la minaccia di scomunicare i due nuovi vescovi ordinati a prescindere dalla volontà e dal parere di Ratzinger e dell’intero Vaticano. Il SARA ha definito la minaccia di scomunica “irragionevole e incivile”. Il dato più interessante dell’articolo mi pare sia la richiesta del governo cinese al Vaticano di tornare “sulla giusta strada del dialogo” e la volontà di discutere tutti i problemi in sospeso, compreso quello dell’ordinazione dei vescovi. Molto abile infine l’osservazione che “la pratica di ordinare vescovi da parte della Chinese Catholic Patriotic Association è necessaria per diffondere il cattolicesino in Cina” ed è la “manifestazione della libertà di religione”.
L’invito a tornare sulla “giusta strada del dialogo” può sorprendere. Ma solo perché ignoriamo completamente la storia dei rapporti Chiesa/Cina. Che sono invece interessanti, qualche secolo fa erano solidi e molto promettenti, ma per la rigidità dei pontefici romani e dell’ Inquisizione venne colata a picco per pura ideologia. Anche allora l’arma agitata da Roma fu la minaccia della scomunica: il nodo del contendere furono gli usi cinesi come il culto dei morti e la venerazione verso Confucio.
E’ abbastanza noto che il gesuita Matteo Ricci, geografo, astronomo e matematico, riuscì ad arrivare in Cina e a guadagnarsi la stima anche della corte imperiale perché padroneggiava la lingua cinese, ne aveva assorbito la cultura tanto da vivere come un mandarino. Ricci nel primo decennio del 1.600 per compiacere l’imperatore e la sua corte decise di pubblicare una versione modificata e dell’atlante “Mappa completa delle miriadi di Paesi della Terra”. Realizzata con Li Zizhao e pubblicata in migliaia di copie, la Mappa aveva infastidito i cinesi convinti che la Cina – non a caso da loro chiamata Zhongguo, cioè Regno di Mezzo – fosse il centro del mondo e non la periferia dell’ Europa. La nuova versione della Mappa era decisamente più cinocentrica.
Il gesuita Martino Martini, arrivato in Cina nel 1643 sulla scia del dilagare dei portoghesi in Oriente, aiutò l’imperatore Longwu della dinastia Ming, che lo nominò mandarino, a fronteggiare militarmente gli avversari mancesi della dinastia Quing. Esperto di balistica, preparazione della polvere da sparo e della fusione dei cannoni, Martini venne soprannominato Mandarino Polvere di Cannone. Martini riuscì a convincere papa Alessandro VII ad accettare sia pure con riserva che i cinesi convertiti al cristianesimo potessero continuare i loro riti per i morti e per Confucio senza essere scomunicati.
Il gesuita belga Ferdinand Verbiest venne nominato nel 1669 dall’imperatore Kangxi presidente dell’Ufficio delle Matematiche e portò a termine la riforma del calendario cinese iniziata con il gesuita tedesco Adam Schall von Bell. E l’imperatore Kangxi emanò un decreto di libera predicazione del cristianesimo che ricorda molto da vicino l’analogo editto di Milano con il quale Costantino nel 313 aveva sdoganato il cristianesimo dichiarandolo “religio licita”. La penetrazione del cattolicesimo era favorita dalla crisi di rigetto anche da parte delle elite cinesi nei confronti del buddismo, nel cui clero abbondava la corruzione e una eccessiva rilassatezza dei costumi.
I missionari gesuiti erano convinti che per favorire la penetrazione del cristianesimo in Cina si dovesse essere tollerati e rispettosi di culture antiche e radicate come quella cinese e più in generale asiatiche, ed erano anche convinti che le pratiche invise a Roma fossero solo riti civili, non religiosi. Di parere diametralmente opposto i missionari francescani e domenicani. Fu così che nel 1713 Papa Clemente XI pubblicò la bolla “Ex illa die”, con la quale condannava i riti cinesi ed esigeva a tutti i missionari residenti in Cina il giuramento di rispettare la condanna romana.
La bolla “Ex quo singulari” di Benedetto XIV, pubblicata l’11 luglio 1742, proibì addirittura ogni discussione sui riti cinesi e annessa condanna di Clemente XI, costringendo così gli imperatori Yongzheng e Qianlong a porre un freno alla libertà di predicazione del cristianesimo. E la soppressione della Compagnia di Gesù decisa il 21 luglio 1773 da Papa Clemente XIV non fece altro che convincere i cinesi che i gesuiti avessero mire politiche e fossero quindi davvero pericolosi per l’unità della Cina.
A togliere l’obbligo del giuramento e a consentire ai cattolici cinesi la partecipazione ai riti tradizionali è stato Pio XII nel 1939, anno di inizio della seconda guerra mondiale. Ma con la politica delle scomuniche ai comunisti in blocco e ai vescovi cinesi non disposti a obbedire senza fiatare al Vaticano si è ottenuto solo il rigetto dell’autorità del Papa e la nascita nel 1957 della Chiesa Patriottica Cinese.
Anche Oltretevere dovrebbero convincersi che l’epoca delle cannoniere e del colonialismo è finita e che con la Cina non si può fare come ha fatto Wojtyla con la Polonia. La Cina non solo non fa più parte del Terzo Mondo e neppure dei Paesi in via di sviluppo, ma è in corsia di sorpasso economico e militare degli stessi Stati Uniti. Accorciare le distanze anche in fatto di religione non può che essere utile a tutti. La iattura peggiore sarebbe imitare in Cina la via polacca di Wojtyla.
Ecco perché chiunque sia il prossimo Papa speriamo sia in grado di cimentarsi realisticamente col problema del cattolicesimo cinese.
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