ROMA – Angela Camuso ha pubblicato il suo nuovo libro sul filone della Roma criminale e malavitosa, che per lei diventa in blocco banda della Magliana con annessi grovigli più o meno mafiosi e “ovvi” collegamenti con i servizi segreti più o meno deviati. Insomma, per citare un famoso filosofo, “una notte nera in cui tutti i gatti sono neri”. Il nuovo libro si intitola infatti “Mai ci fu pietà”: la banda della Magliana dal ’77 a Mafia Capitale“.
La continuità con i suoi libri precedenti è data dalla prima parte del titolo, vale a dire da quel “Mai ci fu pietà” che è il titolo del primo e del secondo libro, quest’ultimo una edizione ampliata e aggiornata del primo e centrato anch’esso sulla ormai mitica banda della Magliana.
Anche questo fecente parto di quella che è ormai una trilogia sulla Roma caput criminis è scritto con passione e abbondanza di nomi, dati, fatti, misfatti e documentazione, a conferma del grande impegno professionale di Angela Camuso, che si è però basata prevalentemente sulle carte dell’accusa anziché su risultanze processuali e annesse sentenze. Un limite che emerge già dal titolo, che i dati processuali avrebbero consigliato fosse invece “Mai ci fu pietà: dalla banda della Magliana a Mafia Capitale”.
È infatti un dato ormai inconfutabile che il sodalizio criminale detto della Magliana è durato solo pochi anni. Nato da un’idea del detenuto Nicolino Selis, che voleva imitare a Roma la Nuova Camorra Organizzata de “‘O Professore” Raffaele Cutolo, e con i soldi del riscatto del sequestro del conte Massimilano Lante Della Rovere, rapito nel ’77 e ucciso nonostante il pagamento del riscatto miliardario (in lire), il sodalizio maglianese dopo 3-4 anni era già stato ridotto in macerie dagli ammazzamenti reciproci tra i vari capi e capetti tutti decisi a diventare il Numero Uno a spese degli altri. È anche accertato che pentiti e “supertestimoni”, per evitare rappresaglie a se stessi o ai propri cari, hanno addossato a malavitosi ormai morti una serie di delitti, soprattutto i più efferati. Certe fissazioni su alcuni personaggi, decisamente sovradimensionati e senza riscontri processuali, sono francamente incomprensibili se non per motivi pubblicitari.
Se si applicasse il metodo Camuso per esempio anche al cosiddetto dossier Mitrokhin, a salvarsi dall’accusa di essere stati spie al soldo dell’ormai defunta Unione Sovietica sarebbero solo pochi dirigenti dell’allora Partito comunista italiano. E se lo si applicasse alla finanza e alla politica non si salverebbe quasi nessuno dall’accusa di un qualche tipo di interesse illecito, dalla corruzione ai rapporti troppo stretti con mafia, camorra, ndrangheta, sacra corona unita, ecc.
Detto questo, resta che l’ultimo lavoro della Camuso è istruttivo leggerlo. Si segnala recensione di Carmine Castoro su Il Messaggero:
“Il libro dettagliatissimo e multidisciplinare di Angela Camuso, che ha coraggiosamente attinto alla cronaca, alla storia e a centinaia di verbali di interrogatori, sembrerebbe deporre a favore di una “mafia speciale”, particolare, “romana” appunto, che, pur diversa da quella siciliana, calabrese e dalla camorra napoletana, mostra lo stesso volto deforme, un colossale giro d’affari, strategie di attacco pericolosissime e una stratificazione scellerata negli assetti delle istituzioni pubbliche da non poterla minimamente avvicinare ad un gang occasionale.
Il libro della Camuso in questo esercita un fascino ulteriore e sinistro poiché l’autrice considera la Cupola di Carminati una propaggine naturale della banda della Magliana, rivelando così tutte le metastasi, le rigenerazioni interne e i prolungamenti nel tempo di quello che fu un nucleo di criminalità tipicamente romana, aderente a frange dell’estrema destra, ma anche a tutto un viluppo di gente di borgata, spaventata e sfrontata, misera ma scaltra a sufficienza per mettersi al servizio dei poteri occulti, e che vivrebbe, né più né meno, che una sorta di tragico aggiornamento del suo business fra appalti truccati, spartizioni, esecuzioni, racket a 360 gradi”.
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