Enrico De Pedis cremato, ceneri in mare. La vedova: “Aspettavamo dal 2008”

ROMA – Il cadavere di Enrico De Pedis è stato cremato e le sue ceneri sono state disperse in mare. Questo l’epilogo voluto dalla vedova Carla De Pedis dopo più di 22 anni di sepoltura nella basilica di S. Apollinare e polemiche ricorrenti a partire già dal 1995.

Un fratello di De Pedis, Luciano, avrebbe preferito la sepoltura a fianco alla tomba della madre, ma ha prevalso la scelta della signora Carla, troppo provata da anni di accuse e polemiche di tutti i tipi.

Come è noto, l’ultima polemica è nata sette anni fa con la ormai famosa telefonata anonima fatta a “Chi l’ha visto?” da un bugiardo, il quale assicurava che per trovare la soluzione del mistero della scomparsa di Emanuela Orlandi, sparita il 22 giugno del 1983, bastava controllare cosa ci fosse nella bara di De Pedis.

Il controllo è stato infine fatto, e non solo in quella bara: su ordine del nuovo procuratore della Repubblica di Roma, Giuseppe Pignatone, sono stati messi a soqquadro con i martelli pneumatici non solo il minuscolo vano che ospitava i resti di De Pedis, ma anche l’intera cripta sotterranea della basilica e l’annesso cimitero antico con i resti di almeno 600 persone.

Del mistero Orlandi però, come prevedibile, non è stata trovata nessuna soluzione. Anzi, il mistero è stato reso ancora più fitto e ingarbugliato. Non appena fallito il controllo nella bara di De Pedis, infatti, si è nuovamente parlato di pista sessuale: prima puntando il dito contro l’ex rettore della basilica, don Piero Vergari, poi è stata la volta di festini “per diplomatici” organizzati in Vaticano o dintorni da una “guardia svizzera” che in qualche modo potrebbe coinvolgere anche “i preti pedofili” facenti capo alla diocesi di Boston. Quello della fine della povera Emanuela appare destinato a restare un mistero, anche se le ultime ipotesi sembrano dare una risposta coerente, pur con qualche confinamento nella estrema fantasia.

Quale che sarà e se ci sarà una soluzione del mistero, il risultato di queste ultime polemiche è che la salma di De Pedis è stata infine sfrattata da S. Apollinare, esattamente come aveva cominciato a chiedere, con una campagna degna della più bieca destra e assai poco di un esponente politico della sinistra uscita dai lombi del Pci, due anni fa l’ex sindaco di Roma Walter Veltroni e in seguito anche Pietro Orlandi, fratello di Emanuela, supportato dal programma di Raitre “Chi l’ha visto?” e dal gruppo formato su Facebook per organizzare con Pietro le proteste con peraltro scarsissimo seguito davanti la basilica e in piazza S. Pietro. Su Facebook non è mancato chi, applaudito dallo stesso Pietro, è arrivato proporre di fare irruzione nella basilica per buttare di persona in piazza i resti di De Pedis.

Hanno dunque vinto loro? “Assolutamente no”, risponde la vedova Carla De Pedis, e spiega: “Io e i miei cognati Marco e Luciano già quando nel 2008 Sabrina Minardi , subito promossa dalla stampa a “supertestimone”, iniziò a sproloquiare e tutti i mass media ne avvalorarono i racconti che definire fantasiosi è poco, facemmo un comunicato stampa per dire che avremmo traslato i resti di mio marito per cremarlo e disperderne le ceneri in mare. Abbiamo dovuto aspettare due anni per l’assenso del Vaticano e altri due per quello della Procura della Repubblica. E’ chiaro quindi che non sono stati Veltroni, Federica Sciarelli o Pietro Orlandi con i suoi esagitati fans a far spostare la tomba, ma solo la volontà di noi familiari, in primis io. A loro resta semmai la vergogna della persecuzione strumentale contro un morto. Dio abbia pietà di chi si accanisce così contro un defunto”.

Questa vicenda e questo epilogo mi ricordano il processo alla salma di papa Formoso. Morto nell’896, l’anno dopo per volontà di papa Stefano VI ne dissotterrarono la salma per processarla per indegnità varie e lasciare infine che la plebaglia scatenata la gettasse nel Tevere. Papa o pregiudicato, Formoso o De Pedis, le empietà verso un defunto sono indegne delle persone e delle società civili.

“Preferisco non fare commenti. Piuttosto, mi sarei aspettata le scuse di “Chi l’ha visto?” una volta constatato che la sua campagna di sette anni contro mio marito, e quindi di fatto anche contro la dignità mia e dei miei cognati, era basata sulla telefonata di un bugiardo, un goliarda o un buontempone preso imprudentemente sul serio. Mi sarei aspettata delle scuse anche per la frase ”sepolto con le mani ancora insanguinate” pronunciata pure a “Chi l’ha viso?”. Pronunciata però senza mai indicare la fonte di questa e delle altre clamorose frottole. Mio marito non solo è morto incensurato, con tutti i documenti in regola e validi, passaporto, carta di identità utile anche per l’espatrio e patente, ma è stato ucciso proprio perché non ne voleva sapere più di certe frequentazioni. Quando ci siamo sposati, nel 1988, mi aveva promesso che saremmo potuti andare in giro a testa alta, senza doverci vergognare di nulla, noi e i figli che progettavamo di fare. Lo hanno ucciso dopo meno di due anni proprio perché stava mantenendo la promessa fattami. E se non avessi deciso io di farlo seppellire nella basilica dove ci eravamo sposati e andavamo a Messa ogni domenica nessuno mai avrebbe neppure saputo nulla di lui e nessuno ne avrebbe fatto il personaggio da romanzo chiamato Dandy. E’ un rimprovero che a volte mi faccio”.

Pietro Orlandi nega di avere mai chiesto l’apertura della bara.

“Ha poco da negare, anche se ormai hanno notato in molti che si contraddice spesso, anche in modo grave. Lo scorso 10 maggio su Facebook un certo Mauro Valentini a proposito della bara di mio marito ha scritto: “Dobbiamo andare ad aprirla noi?..adesso basta!”. E Pietro Orlandi gli ha risposto “Mi hai tolto le parole di bocca”. Più chiaro di così!”.

Cosa ha influito di più sulla sua decisione di cremare i resti e disperderli in mare?

“Enrico ed io amavamo entrambi il mare e al mare abbiamo passato periodi felici. Ecco perché la dispersione in mare. Per il resto, sono stufa di recarmi in ufficio e vedere facce curiose che vorrebbero saperne di più su quest’uomo sepolto con “le mani insanguinate”. Sono stanchi i miei cognati Luciano e Marco che, mentre girano per i tavoli dei loro ristoranti, sentono che le stesse persone sedute ai tavoli vorrebbero saperne di più su questo caso.

E’ inutile ripetere che mio marito è deceduto con il certificato penale privo di condanne di qualunque tipo, assolto infine anche per il reato per il quale da giovane aveva dovuto scontare una condanna a sei anni di carcere. Inutile ripetere che aveva tanto di passaporto, carta d’identità valida per l’espatrio e patente, tutti documenti in regola.

Nella serie del film “Romanzo criminale” andato in onda su Sky il famoso Dandy sposa Sabrina Minardi. Quello è il film, quello è il Dandy da non confondere con il signor Enrico De Pedis, mio marito”.

Come ha vissuto la decisione della magistratura, dopo ben 17 anni di tentennamenti, di aprire il sarcofago e la bara di suo marito?

“Il 14 maggio, quando è stata aperta la tomba, con il suo corpo talmente in buono stato da poterlo identificare subito con le impronte digitali, è stato per me un giorno terribile. Il mio dolore però non interessa a nessuno dato che per la volgata assurta a Verità io “sono la moglie del boss”. Lui, però, mio marito, boss lo è diventato soltanto nel 1993 (3 anni dopo il suo decesso) con l’operazione Colosseo, nata sulle ipotesi del magistrato Otello Lupacchini. Ipotesi, smentite dalle verifiche della magistratura giudicante. Nel 2000 la Corte di Cassazione ha fatto crollare il teorema Lupacchini, ma di questo ne parla soltanto lei, Nicotri, nel suo libro “Cronaca criminale”. Tutti gli altri fanno finta di niente… De Pedis è stato “assolto come non appartenente alla Banda della Magliana” quando era in vita, e poteva difendersi. E’ stato infatti assolto da tale accusa nel 1988, tant’è che ci siamo sposati nello stesso anno. Non è uscito cioè dalla scena giudiziaria come gli altri grazie alla cosiddetta “sentenza Carnevale”, emessa un anno dopo, nel 1989. Il giudice della Cassazione Corrado Carnevale venne soprannominato l’Ammazzasentenze perché annullò vari processi e condanne di primo e secondo grado, con grande scorno di magistrati e giornali. Ma mio marito non ha avuto nulla a che spartire con le sentenze di Carnevale. Certi giornalisti una mezza verifica, prima di gettare fango, l’hanno mai fatta? Ma facciamo pure finta che mio marito fosse stato un criminale: perché tutta questa bella gente che si dice cristiana nega con tanto accanimento la possibilità che si sia riscattato cambiando vita grazie a don Vergari? Che ne sanno loro dell’influenza di don Vergari su Enrico? Gesù diceva “Chi è senza peccato scagli la prima pietra”. Quanta ipocrisia! E quanto doppiopesismo… Pur di tenere in piedi il baraccone delle accuse hanno incensato perfino uno come Antonio Mancini, condannato in via definitiva per cinque omicidi e che in una intervista a Il Fatto Quotidiano si vanta di averne uccisi anche di più. Lo stesso Mancini che è provato in sede giudiziaria di avere mentito contro mio marito già negli anni ’90, quando per uscire di galera ha tentato di appioppargli l’uccisione del giornalista Mino Pecorelli pur di assecondare chi voleva in realtà arrivare a colpire Giulio Andreotti, il cui pupillo, il senatore Claudio Vitalone, era il fratello di Vilfredo, a quell’epoca avvocato difensore di mio marito. Guarda caso, il solito Andreotti è stato tirato in ballo anche dalle “rivelazioni” di Sabrina Minardi, che infatti blatera di valige piene di miliardi di lire portati a cena a casa di Andreotti da lei insieme con De Pedis, latitante ma invitato a cena da quel politico”.

Lei mi pare abbia le idee chiare anche su come e perché Sabrina Minardi a un certo punto entra in scena e cambia completamente versione rispetto quando detto in interviste del 2006.

“La cosa più strana poi è che proprio io ho dato una spinta alle indagini nate nel novembre 2009 dalle “rivelazioni” della Minardi. Don Piero Vergari mi fece vedere lo strano fax arrivatogli a casa: “Ho urgente bisogno di mettermi in contatto con Lei. Dottoressa Sabrina Minardi”. Con tanto di numero di telefonino. Ho pensato bene di consegnare subito io stessa il fax ai magistrati della Procura Giancarlo Capaldo e Simona Maisto. Dopo due giorni convocarono la Minardi, che iniziò il suo meraviglioso raccontino, compresi i cadaveri in una betoniera, i miliardi per cena da Andreotti, una bambinella di pochi anni uccisa con un colpo in testa per puro divertimento e il suo essere stata “per dieci anni l’amante di De Pedis”.

Non ne è stata l’amante?

“Non so se Enrico abbia avuto con lei una storiella, come molti altri compreso un dirigente di polizia, il fatto però è che, in base a quanto la stessa Minardi ha raccontato, si sono conosciuti nell’82. Facciamo un po’ di conti: nell’84 Enrico viene nuovamente arrestato, esce nell’88, viene assolto dalle nuove accuse e mi sposa. E’ la stessa Minardi a dire che dal dolore perché non sposava lei decise di emigrare in Brasile. E che ha rivisto mio marito solo uno o due giorni prima che lo uccidessero. Dove stanno quindi i “dieci anni”? Al massimo sono stati due, dall’82 all’84. Anni durante i quali però io ed Enrico già vivevamo assieme e poiché non ha mai passato neppure una notte fuori casa la vedo dura per una amante degna di questo nome. A parte il fatto che Enrico, come qualunque altro uomo non ridotto alla fame, non si sarebbe certo tenuto come amante una donna che, come la stessa Minardi ha ammesso, di mestiere faceva la prostituta sia pure d’alto bordo, oggi si direbbe una escort”.

Torniamo al fax da lei consegnato ai magistrati.

“Minardi tempo dopo ha scritto un libro con una giornalista che, guarda caso, scrive che aveva tanto cercato di contattare don Vergari, inviandogli anche dei fax. Che ne poteva sapere la Minardi del numero di fax di Vergari? Mi pare legittimo sospettare che quel numero glielo abbia dato la giornalista. Che ha rintracciato la povera Minardi nel reparto “Malattie mentali” di un ospedale romano e in un periodo in cui questa entrava e usciva da comunità di recupero per drogati. Quando hanno iniziato a scrivere il libro a quattro mani Minardi era ricoverata… Si può sospettare che fosse facilmente suggestionabile? Non so da chi, ma suggestionabile.

Torniamo al presente. Alla cremazione e dispersione delle ceneri: anziché far restare la salma di suo marito dov’era o sistemarla in cimitero accanto ai resti di sua madre.

“Ho deciso di far cremare la salma di mio marito perché sono stufa di tutto questo fango e di provare tanto dolore nel generale divertimento aizzato da tv e giornali. A me sarebbe piaciuto riportarlo al Verano nella tomba della mia famiglia o riportarlo a sua madre. Ho pianto molto per questo. Purtroppo però la cattiveria è tale che ovunque venga seppellito Enrico non avrà mai pace. Il vandalismo della gentaglia come quella che su Facebook minacciava il blitz in S. Apollinare metterà sempre a rischio qualunque soluzione. Non si può vivere in queste condizioni, con il patema di vandalismo e ferocia d’altro tipo. Ma a prescindere da tutto questo, io la mia decisione l’avevo già presa nel 2008 e ci stavo pensando già da prima: le persone amate una volta morte vivono nei nostri ricordi e nei nostri cuori, non nelle bare. Proprio per questo il 5 giugno i miei avvocati Lorenzo Radogna e Maurilio Prioreschi hanno fatto una istanza alla Procura di Roma per avere il nulla osta al trasferimento del feretro di mio marito. Il giorno dopo, 6 giugno, la stessa Procura ha risposto testualmente: “La salma di Enrico De Pedis è da ritenersi nella totale disponibilità della vedova”. Aggiungendo: “Nulla osta da parte di questa Procura della Repubblica al trasferimento della stessa salma verso altro luogo di sepoltura o alla sua cremazione”. Mancava soltanto questa nota per procedere alla traslazione e conseguente cremazione, ora finalmente avvenuta. Gli altri, da “Chi l’ha visto?” della Rai a “Quarto Grado” di Mediaset, dal Corriere della Sera fino a una infinità di siti Internet, si tengano il “Dandy”, le loro bugie, il fango e le battutine “la moglie del boss” per mettere in dubbio le mie parole e deridere i miei sentimenti. Con le sue ceneri liberate in mare, io mi tengo invece il ricordo di mio marito, che non era il Dandy, ma il signor Enrico De Pedis. Ho ridato la libertà anche a lui, non più prigioniero della maldicenza altrui in quella tomba della quale ho richiesto la riesumazione per far contente tante bocche di sciacalli rimaste però a bocca asciutta. A furia di balle su giornali e tv sulle “bombe atomiche irachene” sono riusciti a invadere l’Iraq, facendo una guerra e una marea di morti. Ma le atomiche non le hanno trovate…. Per il semplice motivo che non c’erano! Figuriamoci se non riuscivano a far credere che Enrico fosse il Dandy, se non peggio. Si sono fatti tutti in quattro, a partire da Veltroni, per accontentare papa Ratzinger, che ha preteso lo sfratto della salma di mio marito per poter finalmente andare a benedire, senza polemiche inopportune, l’Università della Santa Croce nel palazzo accanto alla basilica e proprietà assieme ad essa dell’Opus Dei. Però anche in questo caso l'”atomica”, cioè i resti della povera Emanuela, non c’era”.

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