ROMA – Caporetto in Lombardia. I piani c’erano, come i cannoni. Ma nessuno li ha fatti funzionare. Incredibile, ma vero. Hanno sbagliato alla grande, lo hanno anche ammesso candidamente tutti. Eccetto uno che nega sfacciatamente l’evidenza. E un altro che alle parole “ho sbagliato” premette un coraggioso “forse”.
Ma nessuno tra i vari Attilio Fontana, presidente della Regione Lombardia, Giulio Gallera, assessore lombardo al Welfare, Giuseppe Sala, sindaco di Milano, Nicola Zingaretti, segretario nazionale del PD, Giorgio Gori, sindaco di Bergamo, Gian Piero Gasperini, responsabile tecnico dell’Atalanta, cioè della squadra di calcio di Bergamo, Stefano Scaglia, presidente della Confindustria di Bergamo, e Matteo Salvini, segretario della Lega (in realtà di Lega ce ne sono due, ma tralasciamo), nonostante la scia di morti e di danni disastrosi pensa neppure lontanamente di tirarne le conseguenze. Cioè di dimettersi. Ma andiamo per ordine.
Coronavirus e Fontana: Siamo in guerra
“Siamo in guerra! Siamo in guerra!”. Hanno ragione a continuare a ripeterlo soprattutto Attilio Fontana, governatore della Regione Lombardia, e Giulio Gallera, suo assessore al Welfare. Welfare: parola che, NON dimentichiamolo, in italiano significa Benessere e NON Fuffa o Ectoplasma.
Hanno ragione a ripeterlo, perché in effetti si sono comportati proprio come in guerra. Per l’esattezza, come durante la prima guerra mondiale si è comportato il comando responsabile delle artiglierie di grosso calibro. Piazzate sui rilievi, avrebbero potuto spazzare rapidamente – se solo avessero sparato almeno una cannonata – quel manipolo di soldati austriaci al comando di Erwin Rommel – tenente del battaglione di fucilieri da montagna Wurttemberg e futura Volpe del Deserto della seconda guerra mondiale.
Fu Rommel a guidare il dilagare nella valle dell’Isonzo il 24 ottobre 2017 delle truppe austroungariche e tedesche. Le truppe che, nella più assoluta ignavia del silenzio dei nostri cannoni, hanno provocato la più grande disfatta militare italiana. Quella passata alla Storia come l’ingloriosa Rotta di Caporetto. La rottura del nostro fronte difensivo nella dodicesima offensiva dell’Isonzo.
L’apposita commissione parlamentare d’inchiesta appurò che i cannoni non avevano sparato neppure un colpo perché l’intero comando militare italiano era fuggito a gambe levate e a nessuno venne in mente di dare l’ordine di far finalmente fuoco. Uno dei responsabili di quell’ingloriosa macchia patria venne individuato nell’allora tenente generale Pietro Badoglio, capo del XXVII Corpo d’armata e dell’artiglieria rimasta silente perché lui non diede l’ordine si sparare.
Le responsabilità di Badoglio a Caporetto
Le 13 pagine dell’inchiesta che inchiodavano anche lui alle sue responsabilità vennero fatte sparire: troppo nelle grazie dell’allora re d’Italia.
E così Badoglio potè restare in pista anche nella seconda guerra mondiale, diventare maresciallo d’Italia e capo del governo militare dopo la caduta di Benito Mussolini. Ed è stato lui a mollare dall’oggi al domani l’8 settembre 1943 gli alleati tedeschi passando ad allearci con gli angloamericani nostri nemici fino al giorno prima. Con relativa fuga e abbandono di Roma al maresciallo Kesselring.
La caporetto della Regione Lombardia
Anche la Regione Lombardia aveva i suoi cannoni di grosso calibro e il resto dell’artiglieria utilizzabile per sparare contro il nuovo coronavirus quando iniziava a dilagare. Ma anche in questo caso è rimasto tutto fermo. La regione era stata ammaestrata dalla pandemia della cosiddetta influenza aviaria scatenata nel 2005 dal virus H5N1.
Con la Deliberazione del Consiglio Regionale (DCR) VIII/216 del 2 ottobre 2006 la Regione, aveva pertanto approntato il piano di risposta a un’eventuale pandemia influenzale (PPR). Con la successiva pandemia da A/H1N1v, la cosiddetta influenza suina, nel 2009 la Lombardia si è dotata di un apposito Comitato Regionale Pandemico.
Il piano è stato aggiornato una prima volta per essere poi aggiornato una seconda volta già nel dicembre 2010, con un dettagliato documento di 13 pagine con 8 di allegati. Come se non bastasse, nel 2015 in occasione della pandemia influenzale SARS è stato anche integrato con le regole di protezione biologica in ambito sanitario.
Negli allegati erano dettagliati con tanto di fotografie e modalità di utilizzo anche tutti i singoli dispositivi necessari. Regole precise e dispositivi particolareggiati. Tutto rimasto sulla carta. Nulla di tutto ciò è stato infatti messo in atto contro il Covid-19. Provocando così una Caporetto sanitaria e la nota strage di medici, infermieri e altri operatori. Tutti definiti in fretta e furia eroi per coprire le responsabilità e le colpe sotto il tappeto della grande retorica.
I piani c’erano…
Tecnicamente detto Piano di Risk Management di Salute Pubblica, era bene articolato tra i vari attori:
a – Medici di famiglia – primi avamposti di salute pubblica e presidi del servizio sanitario nazionale
b – Organizzazione logistica- acquisti, distribuzione e regia
c – Terapia ( domiciliare e/o ospedaliera)
d – Decisioni immediate in determinate condizioni di rischio.
Ma i cannoni e l’artiglieria anche ‘stavolta sono rimasti in silenzio…
Alla stessa stregua non s’è sparato neppure un colpo quando si sarebbe dovuto invece sparare anche le cannonate della chiusura della Val Seriana stroncando così subito l’invasione del coronavirus.
Invece, col suo fitto reticolo di industrie, industriette, capannoni, laboratori, aziende e aziendine varie disseminate nei paesi di Nembro, Alzano Lombardo, Albino, Cene, Clusone, Castione, la Val Seriana a partire da Nembro e Alzano è diventata una vera bomba biologica, definita “focolaio dei focolai”.
Il 28 febbraio la Confindustria di Bergamo aveva lanciato un video dal titolo “Bergamo is running/Bergamo non si ferma”, “per tranquillizzare i partner internazionali delle aziende bergamasche”. E ricordare – anche a Fontana e Gallera – che in quell’area erano presenti 376 aziende con un fatturato di oltre 650 milioni di euro l’anno.
Bergamo is runing, cosa che ha fatto esplodere la pandemia in città. Ma la Regione e i sindaci si sono accaniti contro i singoli runner, vietando che si potesse correre a piedi anche da soli…
…Ma li hanno lasciati nel cassetto
Giulio Gallera assessore al Welfare – cioè, ripetiamo, al Benessere e non alla Fuffa o all’Ectoplasma – dopo oltre un mese di diniego ha candidamente ammesso senza battere ciglio due cose sconvolgenti, che nessuno gli ha contestato a dovere:
– non sapeva che esiste la legge che permette alle Regioni di dichiarare autonomamente le cosiddette zone rosse, legge che avrebbe permesso di chiudere subito in una morsa sanitaria la Val Seriana. Da notare che si tratta della la legge istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale del 1978.
Come Gallera e l’intero vertice della Regione potesse ignorarne l’esistenza è un grande mistero, niente affatto glorioso. Ma è un mistero, neppure questo glorioso, come per un mese intero nessuno dei giornalisti e politici con i quali Gallera si difendeva negando gli abbia fatto notare – perché lo ignoravano anche loro – che la legge c’era e la Regione poteva usarla.
– Quando ha visto che a Bergamo era arrivata una lunga colonna di camion dell’esercito per portar via l’enorme numero di bare con le vittime del Covid-19 dilagato dalla Val Seriana ha pensato che la zona rossa la istituisse il governo da Roma, e infatti il 7 aprile ha dichiarato:
“Quando il 5 marzo sono arrivate le camionette dell’esercito nella bergamasca noi eravamo convinti che sarebbe stata attivata dal governo e non avrebbe avuto senso per noi fare un’ordinanza”.
E così né lui né il governatore Fontana né altri dirigenti della Regione hanno pensato di fare neppure una semplice telefonata a Roma per chiedere conferma…. Anzi, pochi giorni fa Fontana lo ha anche smentito pubblicamente:
”Per Gallera la zona rossa ad Alzano e Nembro potevamo farla noi? Sbaglia”.
Giorgio Gori e la zona rossa
Dichiarazioni quelle di Fontana che hanno contribuito a fare sbottare il sindaco di Bergamo Giorgio Gori quando ospite a Circo Massimo di Radio Capital ha detto chiaro e tondo:
“Io penso che Fontana abbia sbagliato parecchio. In parte credo abbia giustificazione perché in Lombardia l’emergenza sanitaria è stata più violenta che altrove. Ma quando dice che non ha sbagliato nulla mi pare contraddetto dai fatti e anche dell’opinione di molti cittadini lombardi”.
Ma anche Gori senza battere ciglio ha ammesso la sua parte di responsabilità per un’altra bomba biologica, quella della partita Atalanta Valencia giocata a Milano, allo stadio Meazza di S. Siro, il 19 febbraio. Intervenuto alla trasmissione ‘Stasera Italia’ di Barbara Palombelli s’è sbottonato, ammettendo anche lui che nel commettere errori ha pesato la volontà di privilegiare il business:
“Faccio autocritica per questo. Abbiamo tutti sottovalutato la gravità di quello che stava arrivando. Predicavamo ai cittadini prudenza, di mantenere un metro di distanza, ma anche di continuare a vivere la loro vita perché vedevamo i fatturati dei negozi e degli alberghi precipitare ed eravamo preoccupati. Questo equilibrio era sbagliato evidentemente, però in quel momento era difficile fare la cosa giusta”.
S’è sbottonato, ma è rimasto al suo posto. In un’intervista al giornale sportivo spagnolo Marca ha ammesso che la partita disputata allo stadio Meazza può essere considerata la “partita zero” che ha dato il là alla rapida diffusione del tanto in Italia quanto in Spagna. Però per giustificarsi aggiunge una affermazione che contraddice almeno un po’ quanto dichiarato alla Palombelli:
“Nessuno sapeva che il virus stesse già circolando tra noi”.
Chi si scusa ma resta al suo posto
Anche il presidente della Confindustria bergamasca Stefano Scaglia ha ammesso che “Bergano is running/Bergamo non si ferma” è stato un errore. Un suo errore, quindi. Ma lui è rimasto dov’era: sulla poltrona bergamasca della Confindustria.
Se “Bergamo is running/Bergamo non si ferma”, non si ferma neppure Milano. Che al running preferisce l’aperitivo in piazza, una cena in pizzeria e un più semplice e meno internazionale “Milano non si ferma” per un video mega pubblicitario. Ma la sostanza e il messaggio del video meneghino sparato non solo in rete e in tutti i social dal 27 febbraio è lo stesso di quello bergamasco.
Così come la giustificazione di Sala è simile a quella di Gori, ma meno credibile a causa della data, otto giorni dopo la infausta partita di calcio. E se Gori ammette di avere sbagliato, Sala è più cauto. Ha sbagliato? “Forse”.
Milano non si ferma e Nicola Zingaretti corre in aiuto spendendosi con adeguata pubblicità per un aperitivo antipanico in piazza “alle 19 con i giovani presso il Pinch Ripa di Porta Ticinese 63” e alle 20.30 con una bella cena in pizzeria a Bollate.
Risultato: il 7 marzo Zingaretti è malato di Covid-19. E dichiara che combatte, “niente panico”. Per poi farsi un po’ di pubblicità andando a raccontare il 24 giugno i giorni della sua malattia a Non è l’Arena, il programma domenicale di Massimo Giletti su LA7.
Fontana non ammette nulla
L’unico che non ammette nulla, neppure con la prudenza di un forse, è Attilio Fontana. Tetragono a tutto, nella Lombardia più devastata delle altre regioni dal Covid-19, e che un giornale inglese mostra in quali vari Stati l’ha esportato. Intona un karma ripetitivo e sempre auto assolutorio: “Non abbiamo sbagliato in niente”, neppure per quanto riguarda la strage di anziani impestati nelle loro strutture residenziali dagli infetti piazzati chissà perché da loro.
Tetragono alle critiche e ai dubbi, Fontana il 22 aprile dichiara “Rifarei tutto”. Il 13 maggio rincara la dose e si vanta pure: “Contagio? Rispetto ad altre regioni lo abbiamo contenuto bene ”. Per infine riautocelebrarsi il 22 maggio ripetendo: ”Contagio? Rispetto ad altre regioni lo abbiamo contenuto bene”.
Peccato che a rischiare di guastare la festa autocelebrativa arrivi in queste ore la dichiarazione del Gruppo Italiano per La Medicina Basata sulle Evidenze (GIMBE). Che per quanto riguarda i dati più recenti diffusi dalla Regione Lombardia riguardo i nuovi casi di Covid-19 avverte:
“Dati aggiustati per evitare nuove chiusure”.
Affermazione alla quale il Pirellone ha reagito annunciando querele.