“Ci siamo abituati. Con il caldo dell’estate e con la scarsità di temi di cronaca riesplodono a raffica gli scoop e le rivelazioni fasulle su mio marito, Enrico De Pedis, sulla sua tomba nella basilica di S. Apollinare, e ovviamente sul “rapimento” di Emanuela Orlandi altrettanto ovviamente ormai attribuito chissà perché al mio povero Enrico. Prima o poi questo calvario finirà. Ma il danno maggiore non lo abbiamo noi parenti, che pure siamo condannati a soffrire come bestie, bensì l’intera società italiana: assistere senza far nulla e anzi compiacendosi a questo insensato tiro al piccione rende più ingiusta questa storia. E abìtua l’Italia alla menzogna”.
A parlare è la signora Carla De Pedis, vedova di Enrico, detto “Renatino” nonostante fosse alto e robusto e non si chiamasse Renato. Ormai, da quando hanno avuto successo il romanzo “Romanzo criminale”, scritto interpretando liberamente la storia della cosiddetta banda della Magliana, e le serie tv da esso ispirato, Renatino è diventato “il Dandi”, l’elegantone e boss criminale del romanzo e delle fiction, nonostante sia sempre stato assolto in tutti i processi eccetto una condanna a quattro anni per rapina compiuta quando aveva 20 anni.
Solo vari anni dopo che era stato ucciso, nel ’90, hanno avuto inizio le accuse più varie da parte dei pentiti, accuse che a volte si sono rivelate false e i pentiti a volte siano stati smentiti dai fatti, demoliti nei processi di appello, bollati come inattendibili dalla Cassazione e almeno in un caso perfino condannati per calunnia.
La giostra s’è messa in moto ancor più alla grande da quando nel 2005 una telefonata anonima alla trasmissione tv “Chi l’ha visto?” ha lanciato insinuazioni sul perché De Pedis è sepolto nella basilica di S. Apollinare, nonostante fossero ben 10 anni che la magistratura aveva appurato che quella sepoltura non aveva nulla di losco e neppure di strano. Dopo ben sei anni di altre “rivelazioni” una più fasulla dell’altra, tant’è che sul piano giudiziario non hanno prodotto nulla, ogni tanto qualcuno rilancia il gioco. Nei giorni scorsi è avvenuto a ritmo serrato ben cinque volte di fila.
La prima volta è stato quando un sedicente ex 007 del Sismi, nome in codice Lupo, ha telefonato a un programma di TeleRoma per lanciare la centesima pista fasulla del “rapimento” Orlandi: “Emanuela è stata rapita dai servizi segreti, è viva ed è segregata in un manicomio di Londra”. Bum! Tutti di corsa a Londra, a setacciare “manicomi”, che peraltro in Inghilterra non esistono, e affini. Nulla di fatto, ovviamente. Eccetto una serie di manovre per tentare un mega lucro tramite mega bidone, manovre delle quali sono mio malgrado testimone diretto e sulle quali mi riservo di fare chiarezza quando sarà il caso.
Finito a cuccia il Lupo ex 007, è stata la volta di due famosi personaggi romani finiti in galera con parenti e sodali: prima Enrico Nicoletti e dopo qualche giorno Giuseppe De Tomasi, detto Sergione per la notevole stazza. I loro pregressi rapporti, degli anni ’80, col giro della “banda della Magliana” sono stato usanti come rilancio della stessa banda, quasi stesse assediando nuovamente Roma. Nel frattempo l’omicidio di un certo Flavio Simmi, del cui padre i giornali dicono abbia avuto anche lui amicizie “maglianesi”, anche se mai accertate in tribunale, lo si è voluto vedere come una clamorosa ripresa a mano armata del vecchio Romanzo criminale, vale a dire un ritorno alla grande della “banda della Magliana”. Come se a Roma non fosse mai esistita e non esistesse ancora oggi nessun’altra criminalità se non quella della “banda” immortalata da libri, film e fiction. A conti fatti, è l’apoteosi della filosofia politica di Berlusconi: parlate, parlate, ditelo e ripetetelo in tv, che dai e dai la gente ci crede e tutto diventa vero….
Sull’onda di questo allarme, una giornalista del Messaggero di Roma ha pensato bene di parlare con il rettore, cioè col parroco, della basilica di S. Apollinare, don Pedro Huidobro Vega, custode quindi anche della cripta dove riposa De Pedis. Don Pedro ha espresso la sua meraviglia per l’abbondanza di turisti del macabro, gente che vorrebbe visitare e fotografare la cripta di De Pedis così come si va ad Avetrana per vedere i luoghi che hanno a che vedere con l’uccisione della povera Sarah Scazzi.
Tant’è bastato perché in una pagina della cronaca di Roma comparisse un articolo dal titolo piuttosto forte: “Sat’Apollinare, appello del rettore: via la tomba di Renatino De Pedis”. Appello che però leggendo l’articolo non c’è, c’è solo una generica lamentela per i turisti del macabro.
“Però c’è l’affermazione che abbiamo pagato 500 milioni di lire per farci seppellire lì mio marito”, spiega Carla De Pedis: “Una balla colossale, come io e i due fratelli di Enrico abbiamo già spiegato e dimostrato al magistrato”. Dopo un attimo di pausa, la vedova De Pedis riprende: “Io alla mia età continuo a farmi il sedere quadro come impiegata e i fratelli di Enrico sudano da matti per mandare avanti le loro trattorie. Avessimo avuto tanti di quei quattrini da poter regalare mezzo miliardo per una tomba, beh, ma allora mica saremmo così scemi da lavorare tutta la vita, pure da vecchi! Io me la sarei svignata al mare da un secolo”.
“E a proposito di balle”, conclude la signora Carla, “non capisco come fanno a insistere a dire che le perizie hanno accertato come Giuseppe De Tomasi sia l’autore della telefonata di “Mario” fatta per depistare gli Orlandi pochi giorni dopo la scomparsa di Emanuela. Fosse vero, De Tomasi avrebbe avuto qualche guaio giudiziario in più. Ma questo è niente: di recente ho letto su Internet l’articolo di un giornalista che ricorda una cosa che taglia la testa al toro. In quei giorni De Tomasi era in carcere, arrestato su ordine del magistrato Otello Lupacchini. Impossibile quindi che potesse telefonare”.
Prima di accomiatarsi, Carla De Pedis si pone una domanda: “Ma perché tutti alla verità preferiscono “la macchina delle bugie”?”.
Già, perché?
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