Dopo quasi 30 anni, l’indagine sulla scomparsa di Emanuela Orlandi può prendere una nuova strada e fare definitivamente archiviare tutte le ipotesi cost fiuitenora. Un colpo di scena è possibile, grazie alla consegna ai magistrati inquirenti del duplicato dei nastri di un vecchio registratore a cassetta. Si tratta delle registrazioni delle due telefonate che feci nel maggio 2002 all’avvocato Gennaro Egidio, legale della famiglia Orlandi. Le nuove tecnologie digitali hanno permesso di trasformare il contenuto di quei nastri in file digitali che possono essere ascoltati e essere fatti ascoltare a eventuali testimoni con grande facilità e comodità.
I nastri sono ancor oggi di una drammatica, quasi raggelante attualità. In quelle conversazioni telefoniche, l’avv.Egidio sembra escludere con grande certezza la teoria che Emanuela Orlandi sia scomparsa, a soli 16 anni, nel fiore della adolescenza, per chissà quali ragioni politiche planetarie e sembra invece ricondurre l’intera vicenda a una dolorosissima storia di una adolescente i cui sogni di primavera hanno incontrato un inverno precoce. Cosa sia esattamente accaduto l’avv. Egidio non lo spiega e non prova nemmeno a spiegarlo. La sua è una decisa esclusione di tutte le ipotesi fantapolitiche hanno accompagnato in questi trent’anni il nome della povera Emanuela. Sul resto però Egidio è vago: o non sa o non vuole andare oltre la consegna del silenzio e del segreto professionale.
Tutta la vicenda resta avvolta da un fumo di mistero, da un bandolo inestricabile, sommersa in un calderone dove continuano a ribollire i più diversi ingredienti: il complotto internazionale, la banda della Magliana, i segreti del Vaticano, i sogni di adolescenti finiti nella rovina.
La nuova fase del caso Orlandi ha una data, sabato 18 febbraio, quando, negli uffici deserti del palazzo di Giustizia, il procuratore aggiunto della Repubblica di Roma Giancarlo Capaldo e il sostituto procuratore Simona Maisto hanno iniziato l’esame di quel materiale. Una loro decisione potrebbe non farsi attendere a lungo.
Nell’ascoltare i file i due magistrati sono stati colpiti da queste parole dell’avvocato Egidio: “…non si può in questi casi dire sequestri di persona”. Nelle telefonate in questione Egidio più di una volta ha infatti ribadito con forza che quella di Emanuela è sì una “sparizione”, purtroppo, ma non un “sequestro”.
Per una singolare coincidenza, proprio in quelle ore, si è affacciato nell’ufficio di Capaldo Pietro Orlandi, che, ignaro di cosa i due magistrati stessero ascoltando, ha sollecitato una qualche conclusione delle indagini sulla sorte di sua sorella, scomparsa il 22 giugno 1983. Un mistero che dura da 29 anni. E che ha visto più attribuzioni, tra loro contraddittorie e inconciliabili.
Fino a metà del 2005 ha tenuto banco la pista del rapimento politico: Emanuela sarebbe cioè stata rapita dai terroristi turchi Lupi Grigi per essere scambiata con Alì Agca, il loro compare condannato all’ergastolo per avere sparato a papa Wojtyla in piazza S. Pietro il 13 maggio 1981.
A un certo punto dilagò la convinzione che anche un’altra ragazza romana sparita di casa prima della Orlandi, Mirella Gregori, fosse stata rapita per gli stessi motivi. Le indagini su questa seconda scomparsa portarono a indiziare del reato di concorso nel sequestro di entrambe le ragazze niente di meno che l’allora vice capo della Vigilanza del Vaticano, ingegner Raul Bonarelli. A metterlo nei guai, dai quali però è uscito indenne, fu l’intercettazione di una telefonata partita da monsignor Bertani, “cappellano di Sua Santità”, per ordinargli di mentire ai magistrati che dovevano interrogarlo anche sulla scomparsa di Emanuela.
Per entrambi i casi la teoria dei rapimenti è stata demolita dallo stesso avvocato degli Orlandi. Infatti a dirmi che non di rapimenti s’è trattato, ma di scomparse corredate da montature e depistaggi, a favore del Vaticano, è stato lo stesso Egidio, che fin dal 1983 aveva seguito le indagini perché entrambe le famiglie delle ragazzesi erano rivolte a lui.
Però questo per molti anni .non è stato proprio preso in considerazione e inquirenti e mass media hanno privilegiato teorie più romanzesche
Poi dal settembre 2005, grazie a una telefonata anonima alla redazione del programma televisivo ”Chi l’ha visto?”, c’è stato l’innamoramento generale per tutt’altro canovaccio: il rapimento non era più opera di Agca e dei suoi turchi, ma della cosiddetta banda della Magliana, assai più vicina a noi e più spaventevole nei suoi ripetuti crimini. Anzi, il rapimento sarebbe stato opera personale di tale Enrico De Pedis, detto Renatino, ucciso nel 1990 perché s’era tirato fuori dalla malavita e dal 2005 in poi eletto a furor di popolo televisivo “capo della banda della Magliana” grazie anche al grande successo del romanzo e della serie televisiva intitolati “Romanzo criminale”. Il personaggio soprannominato “il Dandy” era infatti ritagliato sulla figura, debitamente romanzata, di “Renatino” De Pedis.
Fa nulla che De Pedis non abbia subìto, da vivo, nessuna condanna giudiziaria che lo colleghi alla banda e che, anzi, i “maglianesi” lo abbiano accoppato perché di crimini non ne voleva più sapere da un bel pezzo. Come è arcinoto, a scatenare le fantasie e le proteste più improbabili è stata la citata telefonata anonima fatta nel settembre 2005 a “Chi l’ha visto?”. Come un indovinato spot pubblicitario, quella telefonata ha rilanciato con clamore la vecchia faccenda della sepoltura di “Renatino” nei sotterranei del palazzo di S.Apollinare e della annessa omonima basilica. Una faccenda, si noti bene, di una banalità assoluta e già chiarita dal magistrato Andrea De Gasperis nel 1995, cioè ben dieci anni prima di quella “soffiata” anonima, come del resto ho scritto più volte.
Perfino un politico come Walter Veltroni non ha saputo resistere alla tentazione di accodarsi, per farla propria, alla protesta contro la sepoltura di De Pedis. La nuova vulgata, improvvisamente supportata come d’incanto da un miracoloso ripensamento della “supertestimone” Sabrina Minardi, pretende che De Pedis abbia rapito Emanuela su ordine del molto chiacchierato monsignor Marcinkus. Rapita perché? “Per dare un segnale alla banca del Vaticano, lo Ior”. Strano, perché il capo dello Ior era lo stesso Marcinkus e non si vede quindi perché mai avrebbe dovuto far rapire qualcuno per mandare un segnale a se stesso.
Quando nel 2002, su richiesta della casa editrice Kaos, cominciai a raccogliere materiale per un libro sulla scomparsa della Orlandi, non mi ci volle molto per capire che i due “rapimenti politici”, quello di Emanuela e quello di Mirella, erano una montatura. Basti pensare che i “rapitori” non hanno mai, assolutamente mai saputo esibire nessuna prova di avere davvero in mano le due ragazze. Una montatura quindi anche piuttosto sgangherata. Talmente sgangherata che temevo di sbagliarmi: forse avevo capito male. Forse s’era trattato davvero di rapimenti e io non lo capivo.
La mia sorpresa fu grande, enorme, pari forse a quella recente dei magistrati Capaldo e Maisto, quando mi rivolsi direttamente allo stesso avvocato degli Orlandi e dei Gregori, Gennaro Egidio, e mi sentii spiegare da lui che avevo capito bene, anzi benissimo. Non si trattava di rapimenti o sequestri: “…non si può in questi casi dire sequestri di persona”. Da notare che con queste affermazioni Egidio rinnegava in un sol colpo le varie dichiarazioni rese a suo tempo, quando la tesi del rapimento, almeno per Emanuela, la avvalorava anche lui. Ad ascoltare le sue ammissioni del 2002 sembra quasi l’abbia avvalorata suo malgrado, prestandosi passivamente a un canovaccio tracciato da altri.
Egidio non lo dice esplicitamente, ma – come il lettore ha modo di ascoltare dalla sua stessa voce – è chiaro che secondo lui, addentro alla vicenda in lungo e largo per anni e anni, quello di Emanuela è un caso come tanti altri casi tragici accaduti ad altre ragazze più o meno della sua età. Da Santa Maria Goretti a Erica Claps, da Desirée Piovanelli a Sarah Scazzi, la cronaca purtroppo non è avara di casi simili: nessuna di loro è stata rapita, né per motivi politici né per motivi finanziario malavitosi, eppure…
Quando nel 2003 ho pubblicato nel mio primo libro sul caso Orlandi un piccola parte, solo il succo, delle affermazioni di Egidio, debitamente virgolettate, mi aspettavo che i magistrati di allora e almeno i familiari di Emanuela volessero saperne di più. Oltretutto gli Orlandi erano al corrente del mio libro perché ero stato più volte a casa loro in Vaticano e lo stesso padre di Emanuela, Ercole, dopo averne letto le bozze mi aveva dato l’ok. Invece non è successo niente, silenzio assoluto, neppure quando ho pubblicato, nel 2008, il mio secondo libro sempre sul caso Orlandi, con lo stesso virgolettato, edito questa volta da Baldini Castoldi Dalai. Per un bel pezzo ho tenuto pronti per gli inquirenti i nastri con le registrazioni delle mie telefonate a Egidio, ma nessuno mi ha cercato. A un certo punto non mi ricordavo neppure più dove le avessi archiviate, quelle registrazioni, per metterle al sicuro.
Tempo fa ho ritrovato quei nastri. Nel riascoltarli mi sono venuti i brividi. Ho travasato le registrazioni dal nastro in un registratore digitale, le ho fatte trascrivere da un professionista e ho consegnato il tutto – file e trascrizioni – al dottor Capaldo. Ho consegnato anche un terzo file con annessa trascrizione, di una telefonata con un testimone, il vigile urbano Alfredo Sambuco. E’ il testimone considerato fondamentale, assieme al poliziotto Bruno Bosco, per costruire la scena del “rapimento” di Emanuela Orlandi tramite “adescamento”. L’adescamento sarebbe stato portato a termine davanti a palazzo Madama, sede del Senato italiano, da un automobilista che, stando alle dichiarazioni di Sambuco agli atti delle indagini, mostrava “campioni di prodotti di bellezza marca Avon” a una ragazzina che si vuole sia la Orlandi. Sambuco quel giorno era di servizio proprio davanti a palazzo Madama, ma, quando gli ho parlato, con me ha negato di avere mai fatto il nome della Avon e ha sostenuto che deve averglielo attribuito qualcuno a sua totale insaputa.
Nel frattempo Egidio è deceduto, nel settembre 2005, per la grave malattia che lo aveva già colpito quando ha parlato con me. Di Sambuco, in pensione quando gli ho parlato, ho perso le tracce e quindi non so se possa essere interrogato almeno lui. Perciò non so se il mio piccolo contributo fornito ai magistrati potrà imprimere una significativa evoluzione alla inchiesta. In linea di massima, le parole ritrovate di Egidio, sia pure post mortem, dovrebbe rendere più difficile che si continui a parlare di rapimento.
In ogni caso, dato che le polemiche sono sempre attuali, è utile rendere noto pubblicamente il fatto che a negare si sia trattato di rapimento, tanto per Emanuela quanto per Mirella, è lo stesso avvocato delle due famiglie. Il legale ha seguito i due casi fin dall’inizio e per molti anni. Sentiamo la sua voce.
La prima telefonata di Nicotri a Egidio.
La seconda telefonata di Nicotri a Egidio.
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