Coltivazioni bio su terreni comunali inquinati: Milano sa e non fa

Milano, inquinamento dei terreni comunali da piombo “storico”, cioè presente da molto tempo. E inquinamento abbastanza recente da sostanze cancerogene PFAS e C604, in arrivo da scarichi industriali di Alessandria, Piemonte.

Inquinate anche aree comunali che producono cibi garantiti col marchio Bio. Insomma, una fetta del molto vasto Parco Agricolo Sud Milano (47.000 ettari di aree agricole e forestali di 60 Comuni) non è messa benissimo.

E poiché il Comune milanese da almeno due anni sa e non interviene, beccandosi per questo denunce anche da parte di vari cittadini, è più che probabile che l’inquinamento del Parco l’anno prossimo diventi anche tema incandescente nella battaglia elettorale per il rinnovo dell’amministrazione della Regione.

Ha intanto fiutato l’argomento e ha già iniziato a darsi da fare anche con un’apposita audizione a metà giugno  Alessandro Bramati, consigliere di Milano Popolare nel Municipio 5, del cui territorio fa parte una grande fetta del Parco Agricolo. Che diventerà così altro motivo di antagonismo e litigi tra la Regione da una parte, che vorrebbe mettere almeno una mano sul Parco, sulla società Metropolitana Milanese (MM) e sull’Azienda Lombarda per l’Edilizia Residenziale (ALER).

Tre realtà di Milano

E il Comune dall’altra, che con la Città Metropolitana di Milano vuole continuare a tenersi l’amministrazione di tutte e tre quelle non trascurabili realtà.

Per esempio il Parco Agricolo Sud Milano, pur istituito con legge regionale n. 24 del 1990, sostituita dalla legge regionale n. 16 del 2007, è  affidato in gestione alla Città Metropolitana di Milano.

Questa volta, anche se verrà sgomberata per raccogliere facili consensi sottraendoli alla destra, non sarà facile dare la colpa dell’inquinamento alla comunità rom accampata da anni nella zona del Parco Agricolo Milano Sud risultata inquinata in una vasta area da metalli pesanti, in particolare piombo. Vicino al loro accampamento vengono bruciati periodicamente rifiuti di tutti i tipi, dalle gomme usate al mobilio, soprattutto divani, contenenti molta imbottitura in plastica.

Non è chiaro se i roghi, con alte colonne di fumo nero, vengano appiccati dai rom, magari appositamente pagati dagli smaltitori di quei rifiuti. O se vengano appiccati dagli stessi smaltitori. Smaltitori che potrebbero avere scelto quel terreno per indurre l’opinione pubblica a pensare che i responsabili dei fuochi e dell’annesso inquinamento siano i rom della zona. C’è infatti un precedente.

Facebook si gira dall’altra parte

Il leader leghista Matteo Salvini il 2 aprile 2015 ha postato su Facebook un video girato col telefonino che mostrava un rogo di rifiuti e immondizie varie vicino a un campo nomadi. Come titolo e didascalia Salvini aveva scelto le seguenti parole:

“Campo Rom a Milano. Bruciano di tutto in pieno giorno! Viva l’aria pulita e la raccolta differenziata…”. Video che ha raccolto una marea di commenti. Da “Che brucino anche loro come tutta l’immondizia che incendiano!!!”.

A “Bruciateli vivi, brutti vuncioni (sporchi in milanese, ndr)“. Da “Quanto ci manchi DUCE!!!”, con tanto di foto di Mussolini sul tricolore, ad “Amo quel momento in cui sento quel magico odore di zingari alla griglia”.

Il tutto senza che Facebook o la magistratura abbia avuto nulla da ridire.

Guarda caso, un mese dopo, esattamente l’11 maggio, il campo nomadi di via Cornelio Silla, nel Municipio 7,  viene sgomberato d’autorità in attesa di radere al suolo le 70 baracche.

Tipi di inquinamento

Questa volta però la faccenda è più complicata e ci conviene dividerla in due rami: 1) – inquinamento da piombo; 2) – inquinamento da PFAS

1) – Il 19 febbraio 2016 il Comune di Milano firma un contratto di concessione trentennale con la Società Agricola Impresa Sociale srl, creatura dell’Associazione di Promozione Sociale CasciNet, nota più brevemente come Cascinet, erede della storica Cascina Sant’Ambrogio alla Cavriana, costituita da un gruppo di edifici e terreni di particolare interesse storico, culturale, agricolo e sociale. L’insediamento è stato fondato dalle monache del Monastero di Santa Radegonda, fuggite in quella campagna nel 1162 dopo le distruzioni del Barbarossa a Milano.

Cascinet firma un contratto di rete con l’azienda agricola La Vitalba. Il contratto di rete è un tipo di contratto, introdotto nell’ordinamento giuridico italiano nel 2009, che permette di realizzare raggruppamenti di imprese per la collaborazione reciproca. La Vitalba svolge attività agricola biologica in una parte dei terreni di Cascinet e in soli due anni ha raccolto 300 sostenitori, una 60ina dei quali oltre a partecipare anche ai lavori  ne acquista i prodotti agricoli.

Analisi dei terreni

Con uno scrupolo encomiabile e che non è da tutti La Vitalba ha fatto analizzare il terreno. E, risultati di laboratorio alla mano, attestanti inquinamento da metalli pesanti, in articolare piombo, nel suolo attorno alla roggia Vettabbia, nel 2020 ha comunicato tutto al Comune chiedendogli di appurare le caratteristiche specifiche del terreno nelle sue varie zone, eseguendo cioè la caratterizzazione del suolo, e di bonificarlo in base ai risultati. 

E così che dopo un anno, nell’aprile 2021, il Comune segnala alla Città Metropolitana la probabile contaminazione.

La Città Metropolitana conferma che quel terreno è inquinato, inquinamento probabilmente storico, avvenuto cioè in un tempo non recente, e rimanda la palla a Palazzo Marino decretando che a dover eseguire la bonifica è il Comune. L’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente (Arpa) conferma il decreto: il responsabile della obbligatoria caratterizzazione dei terreni e dell’eventuale bonifica è proprio il Comune.

Sono passati due anni, ma senza nessuna iniziativa

Motivo per cui La Vitalba ha fatto causa contro il Comune e Cascinet per la contaminazione dei terreni concessi in uso e per i danni commerciali, dei quali chiede il risarcimento. Nel processo si infilano con loro denunce la parte lombarda dell’Associazione Italiana per l’Agricoltura Biologica (AIAB) e alcuni consumatori: rivendicano il diritto alla salute e all’ambiente, l’AIAB chiede anch’essa il risarcimento dei danni di immagine subiti dall’intera associazione biologica.

Se non si interviene, c’è il rischio che l’inquinamento si estenda oltre che nel parco della Vettabbia, parte del Parco Agricolo Milano Sud e come vedremo meglio già inquinato di suo con il PFAS, anche nei terreni di Casa Chiaravalle e in quelli del progetto europeo Open Agri con Cascinet. Casa Chiaravalle è la più grande proprietà immobiliare sequestrata alla mafia a Milano ed è stata trasformata in centro che ospita donne vittime di violenza.

La Casa comprende nove ettari coltivati a frumento, due strutture immobiliari di due piani ciascuna, casette indipendenti, capannoni agricoli e zone incolte. Il progetto Open Agri è finanziato con 6 milioni di euro per le coltivazioni bio.

Il Comune si è limitato a chiedere all’Università Statale le caratteristiche di fertilità del terreno del progetto Open Agri  tacendo completamente il fatto che fosse inquinato.

Un comunicato del Comune

Un’altra cosa strana è che il 14 febbraio 2020 Palazzo Marino fa pubblicare sul quotidiano “Il Giorno” un comunicato stampa su un potenziale inquinamento delle aree del Parco Agricolo e in particolare dei  terreni destinati al ricco progetto Open Agri. Il comunicato parla di coinvolgimento di associazioni ambientaliste e tranquillizza la popolazione.

L’avvocata Veronica Dini, legale dell’AIAB e dei consumatori che hanno adito le vie legali contro il Comune si dice molto preoccupata “per l’inerzia e l’indifferenza del Comune di fronte a un rischio ambientale e sanitario che interessa un’area molto vasta del territorio agricolo cittadino. Il Comune non ha avviato neppure la caratterizzazione delle aree. Spiace anche che CasciNet e l’Università si ostinino a proporre progetti su quelle aree, come se nulla fosse”.

Eppure il Comune come se nulla fosse di recente ha rinnovato i contratti con gli agricoltori della zona. La Vitalba intanto per un senso di responsabilità coltiva un terzo di ciò che potrebbe ed evita di coltivare l’insalata. E Casa Chiaravalle anziché alle coltivazioni si è data all’ippica: senza bonifica, al posto delle coltivazioni ha scelto maneggi per equitazione e cavalli.

E poiché il Comune non ha fatto nulla ecco che ci sono altre due conseguenze.

– La prima è che è bloccato il trasferimento dalla darsena al Parco della Vettabbia della foresta galleggiante progettata da Stefano Boeri in collaborazione col marchio Timberland e inaugurata l’8 giugno.

– La seconda è che Davide Longoni, il re del pane di Milano, ha dovuto bloccare il suo grande progetto di Casa del Pane e dei Luoghi perché avrebbe dovuto sorgere in zona Chiaravalle.

Niente casa del pane

Peccato, perché Longoni, per alcuni addirittura “il panettiere degli dei”, produce e tratta “il pane come fosse vino”. Vale a dire, Longoni panifica per “intercettare sapori diversi che richiamano a precise origini e metodi di lavorazione accurati”.

2) – Dal giugno 2006 la roggia Vettabbia, le cui acque sono utilizzate per irrigare buona parte del Parco Agricolo, è sospettata di inquinamento. Quell’anno un gruppo di cittadini ha indotto il consigliere del Municipio 5 Luca Gandolfi a chiedere spiegazioni scritte all’assessore all’Ambiente del Comune di Milano. Che l’11 maggio ha risposto:

“A) la Roggia Vettabbia è alimentata da 31 pozzi che prelevano acqua di prima falda e attualmente 29 sono i pozzi funzionanti;

B) nei mesi scorsi 7 pompe sommerse di questi pozzi hanno subito dei guasti, ai quali il Servizio Idrico ha tempestivamente posto rimedio con interventi manutentivi, garantendo in generale il funzionamento di almeno 26 pozzi;

C) per quanto concerne il temporaneo cambiamento di colore dell’acqua si possono solo avanzare ipotesi; tra queste anche le conseguenze di alcuni lavori eseguiti dall’Area Acque Reflue di MM (ex fognatura) che hanno comportato la fermata, nel periodo febbraio-marzo, di tutti i pozzi che alimentavano la Roggia. Alla riattivazione dei pozzi la prima ondata d’acqua potrebbe aver dilavato alcuni depositi fangosi accumulatisi nel letto della roggia;

D) infatti, la Direzione del servizio Idrico Integrato, dopo un sopralluogo eseguito dal personale dell’Area Acque Reflue nei primi giorni di aprile, ha assicurato essersi trattato di un fenomeno transitorio e che l’acqua ha ripreso la sua naturale limpidezza”.

 All’inizio di quest’anno la faccenda ha preso però tutt’altra piega. Il 12 gennaio la testata online Il Salvagente, che si definisce “leader nei Test di laboratorio contro le truffe ai consumatori”, lancia un altro allarme:

“La novità non è tanto che nelle acque di Milano ci siano sostanze perfluoroalchiliche, i cosiddetti inquinanti per sempre, alcuni dei quali cancerogeni e interferenti endocrini, fatto poco noto ai cittadini ma che l’Arpa Lombardia conosce già dal 2020, quando ne ha denunciato la presenza. Quello che preoccupa è che tra i Pfas trovati nel monitoraggio più recente dell’Agenzia regionale per la protezione ambientale, c’è anche il C6O4”.

Sono anni che comitati locali e ambientalisti protestano e chiedono lo stop della produzione. Niente da fare. E i risultati dei test inducono Il Salvagente a scrivere che “gli strumenti messi in atto dalla proprietà del polo chimico di Spinetta non sarebbero sufficienti a evitare la contaminazione di falde idriche e corsi d’acqua”.

Il 21 gennaio Il Fatto Quotidiano rincara la dose:

“Pfas emergenza nazionale, serve una legge. Pochi controlli, studi mai fatti, Regioni disinteressate: il dossier della commissione Ecomafie”.

La comunità rom probabilmente sarà sgomberata col rullo dei tamburi e la grancassa. Ma che il loro sgombero non risolva neppure di striscio la faccenda dell’inquinamento, anzi degli inquinamenti al plurale, è chiaro ed evidente. 

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