Nella commissione parlamentare d’inchiesta sui casi Emanuela Orlandi e Mirella Gregori comincia a serpeggiare un certo disagio nei confronti di Pietro Orlandi. Disagio provocato in più di un commissario dalla sensazione non del tutto vaga che l’Orlandi stia cercando di ottenere una qualche candidatura elettorale e che su tale argomento ci siano dei pour parler con commissari dei 5Stelle. Convinti che una sua candidatura, per il Comune di Roma o altrove e poi per il parlamento, frutterebbe a lui un seggio e a loro non pochi voti in più.
Specie ora che il Movimento fondato da Beppe Grillo è diventato un monopolio di Giuseppe Conte e manca ormai di dirigenti degni di questo nome, privo di nomi e facce note capaci di attirare un po’ di pubblico nei dibattiti, comizi, comparsate televisive e quant’altro.
Disagio provocato anche dalla facilità e insistenza con la quale lo stesso Orlandi accusa in blocco a vario titolo ben tre Papi – gli ultimi tre – e i magistrati Francesco Lo Voi, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma, e Alessandro Diddi, Promotore di Giustizia del Vaticano.
Come è noto, l’accusa ai tre Papi non esclude neppure la colpa capitale diretta per uno dei tre, vale a dire per Papa Wojtyla. Mentre l’accusa di Pietro Orlandi ai magistrati in blocco, vaticani e italiani, è di “tentativo becero di puntare il dito altrove”.
Altrove, cioè in una direzione che comunque non sia quella che porta oltre le sacre mura, essendo l’Orlandi fissato senza se e senza ma, oltre che senza prove e neppure indizi, sulla responsabilità di non meglio precisate “alte sfere” vaticane nella scomparsa di Emanuela. “Alte sfere” dedite alle pedofilia. E a nulla serve l’obiezione che il reato di pedofilia non esiste se si fa sesso con un minore che ha compiuto 14 anni e che Emanuela i 14 anni li aveva superati, di anni ne aveva infatti 15 e mezzo.
Oltre all’ignoranza, anche dei giornalisti e commissari che non gli fanno mai notare l’uso sbagliato del termine, il parlare di pedofilia è dovuto al fatto che serve a creare scandalo e quindi ad avere più consenso nel lanciare accuse, sospetti e insinuazioni surrettizie.
In una puntata televisiva Pietro Orlandi ha affermato che “all’interno del Vaticano la pedofilia era quasi accettata”. E per dimostrarlo ha citato l’episodio di un dipendente della Gendarmeria, del quale prudentemente non fa il nome, che a suo dire gli avrebbe detto di avere mostrato “due o tre giorno dopo la scomparsa la foto di Emanuela a quei tre o quattro cardinali che sappiamo che con i ragazzini, le ragazzine….” per chiedere loro se ne sapessero qualcosa. Peccato che i cardinali in questione non fossero noti come pedofili, ma avessero invece nomea di essere omosessuali e che il gendarme ha solo chiesto se negli ambienti da loro frequentati avessero sentito parlare di Emanuela o di una ragazza come quella mostrata nella foto.
L’insistenza “vaticana” di Pietro Orlandi procede senza sosta e a tutto spiano senza neppure l’ombra di una prova che non siano i soliti “documenti” triti e ritriti da lui citati ed esibiti ai magistrati da tempo. Documenti evidentemente già accertati come falsi, in particolare dalla grafologa Sara Cordella, a partire dalla “pista inglese” e a finire allo “scambio di messaggi whatsapp” tra chi si sarebbe occupato di far sparire il cadavere di Emanuela a Londra o in Vaticano nel cimitero Teutonico o nella basilica di S. Maria Maggiore o in qualche altro posto che in questo macabro gioco dell’oca verrà reso noto da qualche altra “rivelazione” di pastafrolla. O di panna montata…
Il disagio di alcuni commissari deriva anche dall’avere dato un’occhiata alle pagine create da una quindicina di anni su Facebook da Pietro Orlandi per parlare della scomparsa di Emanuela e chiedere di essere ricevuto dal Segretario di Stato vaticano e in seguito dallo stesso Papa in carica. Il fiume di insulti e diffamazioni lanciate da molti dei 23.100 iscritti e a volte dallo stesso Orlandi in particolare contro magistrati e prelati vaticani e non, oltre che contro i sospettati indicati dalle “rivelazioni” di turno, è tale che potrebbe provocare da un momento all’altro la chiusura di quelle pagine.
E anche qualche querela da parte dei magistrati e dei prelati man mano variamente diffamati con accuse di ogni tipo: una tale eventualità metterebbe in grande difficoltà la stessa commissione. L’eventuale querela contro Pietro Orlandi&C da parte di magistrati impegnati nell’inchiesta sulla scomparsa di Emanuela creerebbe per la commissione un cortocircuito disastroso. Di fronte all’insistere con accuse francamente infamanti, come il fare di tutto per evitare in realtà di indagare pur di proteggere il Vaticano, ovviamente colpevole ormai per definizione, o di essersi venduto al Vaticano per diventare presidente del suo tribunale, non è detto che qualcuno prima o poi non perda la pazienza.
Uno degli ultimi commenti di Pietro Orlandi sulla sua pagina Facebook dedicata a Emanuela contiene falsi e contraddizioni che qualche commissario ha notato. Il commento in questione, in risposta a un iscritto che critica la colpevolizzazione del Vaticano (a volte confuso con la Chiesa), è il seguente:
“… colpevolizzarla di indifferenza e omertà direi si può però. Il loro atteggiamento quarantennale mi autorizza a ciò, già il fatto di respingere rogatorie internazionali per ascoltare alcuni prelati qualche dubbio lo pone, o no? …Poi chi sa e tace diventa complice (lo dice anche lo stesso Papa) al pari di chi ha avuto responsabilità diretta e loro (non intendo tutti ovviamente) sanno. Il loro atteggiamento e la loro volontà hanno impedito che alcuni fatti venissero approfonditi e alcune persone ascoltate.
“E non significa nulla dove fu rapita Emanuela per individuare il responsabile, non significa che se Emanuela è stata rapita al centro di Roma i responsabili debbano essere solo persone che frequentavano lo stesso luogo. Il mandante responsabile di un rapimento può stare anche dall’altro capo del mondo. Quindi dire che “il vaticano non deve essere colpevolizzato perché Emanuela è stata rapita a Roma “è sbagliato perché finché non si trova il responsabile, tutti possono essere sospettati di responsabilità. Poi basterebbe comprendere a fondo e onestamente cosa avvenne nel famoso incontro in procura tra Capaldo Giani e Alessandrini e gli strascichi di quell’incontro che evidenzia l’ammissione da parte del Vaticano di essere a conoscenza dei fatti”.
E’ falso che il Vaticano ha respinto tutte le rogatorie della magistratura italiana. Ho infatti pubblicato già nel mio terzo libro sul caso Orlandi – Triplo inganno, edito nel settembre 2014 – le risposte alle rogatorie e i brogliacci delle telefonate stilati dai poliziotti italiani che il Vaticano aveva autorizzato a installarsi nel suo centralino telefonico per controllarne il traffico. Non è vero neppure che il Vaticano abbia “impedito che alcuni fatti venissero approfonditi e alcune persone ascoltate”: semplicemente, essendo il Vaticano uno Stato sovrano come l’Italia e non un quartiere di Roma, gli approfondimenti e gli ascolti di alcune persone ha preferito li conducesse il proprio personale e non la magistratura italiana. Cosa normalissima nei rapporti tra Stati quando si tratta di indagini giudiziarie. E se gli interrogati non avevano nulla da dire non gli si poteva mettere in bocca e a verbale ciò che non avevano detto.
La denuncia di scomparsa di Emanuela è stata fatta dagli Orlandi il 23 giugno 1983 solo ed esclusivamente alla polizia italiana. Il Vaticano quindi NON aveva titoli per aprire legalmente un’inchiesta giudiziaria e condurre indagini, che oltretutto avrebbero dovuto svolgersi in territorio italiano. Così come neppure oggi ha titoli per condurre legalmente indagini per omicidio e occultamento di cadavere, reati che si sappia avvenuti non in Vaticano (lo stesso Pietro Orlandi tra le molte sue piste adombra la possibiltà che Emanuela sia morta a Londra). La magistratura vaticana può condurre indagini solo ed esclusivamente per eventuale favoreggiamento di quei reati.
Pietro Orlandi accusa il Vaticano per ritardi nell’avere aperto le indagini giudiziarie senza volersi rendere conto che la responsabilità di un tale ritardo è invece sua, o comunque dei suoi familiari. Lui infatti la denuncia della scomparsa di Emanuela si è deciso a sporgerla in Vaticano solo nel 2017, cioè con ben 24 anni di ritardo. E solo perché un membro della Gendarmeria lo ha letteralmente preso per il bavero per urlargli in faccia: “Perché anziché diffamarci continuamente non ti decidi a presentare denuncia di scomparsa anche qui in Vaticano?”.
E se le piste lanciate in seguito dallo stesso Orlandi, come quella delle ossa umane rinvenute sotto il pavimento della Nunziatura di via Po – vecchie di secoli e secoli – o della asserita sepoltura di Emanuela nel cimitero Teutonico, interno al Vaticano, si sono rivelate dei bidoni, a chi dare la colpa se non a chi gliele aveva suggerite?
Orlandi in quella sua risposta afferma che “finché non si trova il responsabile, tutti possono essere sospettati di responsabilità”, perfino Papa Wojtyla come ha dichiarato in televisione, ma se tra i sospettabili viene nominato suo zio Mario Meneguzzi ecco che Orlandi lancia accuse pesantissime – anche contro i magistrati – di miserabile pretesto per non indagare nella giusta direzione. Che ovviamente ormai per definizione deve essere per forza quella delle “alte sfere” vaticane.
Per quanto poi riguarda il continuare a dire “basterebbe comprendere a fondo e onestamente cosa avvenne nel famoso incontro in procura tra [il magistrato italiano] Capaldo, Giani e Alessandrini [i due massimi dirigenti della Gendarmeria] e gli strascichi di quell’incontro che evidenzia l’ammissione da parte del Vaticano di essere a conoscenza dei fatti”, è strano che Pietro Orlandi insista a non voler rendersi conto che l’episodio è talmente evanescente, più che altro un discorso da bar, che Capaldo non solo non lo ha citato nella sua requisitoria, ma non lo ha neppure mai comunicato né alla collega Simona Maisto, che lo affiancava nell’inchiesta, né al suo superiore.
Cioè a quel Giuseppe Pignatone, Procuratore della Repubblica, che nelle pagine Facebook amministrate da Pietro Orlandi viene accusato senza tanti complimenti di essersi venduto al Vaticano: di avere cioè archiviato d’autorità l’inchiesta di Capaldo per poter avere in premio la poltrona di Presidente del Tribunale d’Oltretevere.
Il 7 marzo dell’anno scorso Pietro Orlandi nel programma DiMartedì, si è spinto a dichiarare che “ci fu una trattativa tra Vaticano e Procura di Roma per la restituzione del corpo di mia sorella”. Il Vaticano tramite i suoi inviati Domenico Giani e Costanzo Alessandrini avrebbe cioè tranquillamente ammesso, al magistrato che conduceva l’indagine, la propria responsabilità nella scomparsa e nella morte di Emanuela!
La trattativa sarebbe consistita nella “restituzione”, strano termine decisamente fuori luogo, del cadavere se Capaldo si fosse deciso a far traslocare dalla basilica di S. Apollinare la sepoltura di Renato De Pedis, l’immancabile “boss della Banda della Magliana”. Trasloco che comunque Giani e Alessandrini non potevano non sapere che né Capaldo né la magistratura italiana avevano il potere legale di ordinare. Prova, questa, inconfutabile che l’asserita trattativa non può esserci stata.
Se fosse vero che Giani e Alessandrini avevano promesso a Capaldo addirittura la “restituzione” del cadavere di Emanuela, il magistrato avrebbe dovuto se non arrestarli seduta stante almeno mettere al corrente di tale promessa la sua collega Maisto e il suo capo Pignatone. E avrebbe poi dovuto metterla nero su bianco nella requisitoria.
Il non avere fatto nulla di tutto ciò, preferendo invece tacere, significherebbe che Capaldo ha commesso almeno il reato di omissione in atti d’ufficio se non anche quello di favoreggiamento verso il colpevole o i colpevoli della scomparsa di Emanuela (immancabilmente tutti vaticani). E non conta nulla che Giani e Alessandrini non solo non hanno mai confermato il racconto di Orlandi, ma lo hanno smentito quando la Segreteria di Stato li ha convocati dopo la divulgazione a mezzo stampa della versione orlandiana del loro incontro col magistrato Capaldo.
Non conta nulla perché tutto ciò che contraddice le piste vaticane man mano lanciate come fuochi d’artificio viene bollato come falso: tutte bugie per proteggere le “alte sfere” d’Oltretevere.