Corea del Nord, con i Kim Jong non è la prima volta che gli Usa ci provano, sarà quella buona?

Corea del Nord, con i Kim Jong non è la prima volta che gli Usa ci provano, sarà quella buona?
Corea del Nord, con i Kim Jong non è la prima volta che gli Usa ci provano, sarà quella buona? Nella foto la stretta di mano fra Kim e il neo segretario di Stato americano Mike Pompeo

Corea del Nord. Riuscirà il presidente nordcoreano Kim Jong-un dove nel 2001 hanno fallito con George Bush suo padre Kim Jong-il e l’allora presidente sudcoreano e premio Nobel per la pace Kim Dae Jung? Si ripeterà lo stesso sciagurato copione di 17 anni fa o finalmente i problemi coreani si avvieranno a soluzione?

Per essere la macchietta megalomane e minacciosa descritta spesso e volentieri dai nostri mass media, che l’estate scorsa gli hanno accreditato perfino la volontà suicida di bombardare l’isola e grande base militare Usa di Guam, il presidente nordcoreano Kim Jong-un si è rivelato fin troppo sorprendente.

Oltre che intelligente e capace di una strategia politica flessibile, lungimirante e redditizia. Lo scorso settembre all’assemblea generale dell’ONU il presidente Usa Donald Trump lo ha definito sprezzantemente “Rocket Man”, titolo di una canzone di Elton John: ma a quanto pare Rocket Man gli sta dando scacco matto.

Le sorprese sono iniziate quest’anno, quando Kim ha aperto il 2018 con la proposta ai fratelli separati di Seul di inviare due campioni nordcoreani di pattinaggio sul ghiaccio – Ryom Tae-ok, 18 anni, e Kim Ju-sik, 25  – per partecipare ai XXIII Giochi Olimpici Invernali, in programma in Corea del Sud:  proposta accolta con entusiasmo dal presidente sudcoreano Moon Jae-in, che ha rilanciato proponendo un incontro con Kim, avvenuto con successo il 9 gennaio. Poi, a partire da tale data, il lavorio diplomatico diretto da Rocket Man è sfociato nel recente secondo incontro, a largo raggio, con lo stesso Moon Jae-in in Corea del Sud, incontro servito sia per porre le basi concrete  della pace – e magari della riunificazione delle due Coree – sia per fissare la data, entro la fine dell’imminente maggio, di un rendez vous con Trump. Il presidente Usa all’inizio dello scorso marzo aveva accettato la proposta dell’incontro, portatagli da emissari della Corea del Sud reduci da incontri con Kim al Nord, poi però se l’è rimangiata nel giro di poche ore.

Infine, cambiando di nuovo idea, nei giorni scorsi Trump ha rivelato alla cancelliera tedesca Angela Merkel che “nelle prossime settimane”, cioè entro maggio, incontrerà Kim. Il presidente nordcoreano nell’ultima tappa della sua lunga marcia per fare uscire la Corea del Nord dal ghetto di “Stato canaglia”, come la definì Bush figlio, e dalle annesse pesanti sanzioni, ha messo nel piatto anche il blocco entro la fine di maggio delle attività missilistiche e nucleari militari: perfino promettendo inviti anche alla stampa e agli esperti Usa perché controllino di persona lo smantellamento dei siti usati come poligoni nucleari. Insomma, più Machiavelli che Rocket Man.

Tutto risolto? Si spera di sì, ma non è detto. Già nella seconda metà del 2000 il presidente Bill Clinton, ormai a fine mandato, aveva raggiunto tramite l’allora Segretario di Stato Usa Madeleine Albright un accordo con la Corea del Nord che prevedeva la fine delle ricerche nucleari militari nordcoreane  e la vendita agli Stati Uniti di tutti i missili a media e lunga gittata. Al punto che per il lancio dei propri satelliti artificiali per le telecomunicazioni il governo di Pyongyang si sarebbe servito di razzi acquistati dalla Russia. Per impostare al meglio l’accordo la Casa Bianca chiese e ottenne che l’allora nostro ministro degli Esteri Lamberto Dini volasse anche lui a Pyongyan guidando di fatto il grande progetto di riappacificazione tra le Coree e tra la Corea del Nord e gli Usa.

Le nuove elezioni a novembre del 2000 però non furono vinte dal candidato democratico Al Gore, bensì dal repubblicano George Bush figlio, nonostante avesse preso in totale oltre mezzo milione di voti in meno di Gore e il dubbio su 537 voti della Florida, da ricontare Ma il riconteggio non si fece per decisione della Corte Suprema presa a stretta maggioranza (5 membri contro 4) e per la rinuncia di Gore a proseguire la battaglia legale.

Bush evitò di firmare l’accordo e trattò malissimo sia l’allora presidente della Corea del Sud, Kim Dae Jung, fresco Premio Nobel per la pace, corso a Washington per scongiurare il neo presidente di firmare gli accordi, sia il generale Colin Powell, neo Segretario di Stato, reo di essersi dichiarato sicuro della firma da parte del nuovo inquilino della Casa Bianca. Non contento, Bush arrivò a definire la Corea del Nord uno “Stato canaglia”. Ma Trump lo ha superato: lo scorso settembre con un tweet ha infatti definito canaglia l’intera nazione, vale a dire gli oltre 24 milioni di nordcoreani in blocco:

“North Korea is a rogue nation which has become a great threat and embarrassment to China (La Corea del Nord è una nazione canaglia, sta diventando una grande minaccia e un imbarazzo per la Cina)”.

Trump in visita in Corea del Sud lo scorso novembre ha detto chiaro e tondo che vendere armi,  anche a Seul, serve ad alleggerire il deficit commerciale USA. Entro la fine di maggio sapremo se per Trump è più importante raddrizzare il bilancio vendendo armi o pacificare finalmente l’intera penisola coreana con sollievo (non solo) di tutto l’Estremo Oriente. Per parte sua Kim, ormai più Machiavelli che Rocket Man, ha dimostrato che possedere bombe atomiche ha messo il suo Paese – annesso come colonia dal Giappone nel 1910 e invaso dagli Usa nel settembre 1945 – al sicuro sia da nuove invasioni che da bombardamenti delle sue centrali nucleari. Oltre che in condizione di essere ascoltato a Washington. Per poter finalmente investire molto meno in armamenti e molto di più nello sviluppo.

A quanto pare, avevano quindi ragione gli esperti di Corea del Nord come il docente Reiner Dolores dell’Università di Vienna a sostenere che il programma nucleare serve solo a realizzare forti risparmi sull’armamento classico, diminuendo nel contempo la dipendenza dalla Cina, per investirli nello sviluppo economico e civile. Sviluppo che da qualche tempo ha tutte le apparenze di un discreto boom economico e civile e che diventerà più robusto se la Corea del Nord potrà evitare di continuare a spendere nel nucleare militare.

 

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