Coronavirus, appello a Mattarella: medaglia d’oro ai medici morti sul campo

ROMA – Per conto della Federazione dei Medici di Medicina Generale, su richiesta della Segretaria Lombarda dottoressa Paola Pedrini, l’avvocatessa Paola Maddalena Ferrari, a metà marzo, ha redatto una diffida notificata anche a tutte le Procure della Repubblica lombarde.

Così l’avv. Ferrari  e la dott.ssa Pedrini hanno accusato, documenti alla mano, la Regione Lombardia di tragica “sottovalutazione della pandemia”.

Adesso, oltre a specificare meglio punto per punto le accuse, l’avv. Ferrari lancia al Presidente della Repubblica una petizione. 

Chiedi a tutti gli operatori del settore sanitario, non solo ai medici e agli infermieri, morti per avere curato senza le adeguate protezioni i malati di Covid-19 venga concessa la medaglia d’oro al valor civile.

DOMANDA – Lei ha inviato alla Regione una diffida in qualità di legale del sindacato della Federazione Medici di Medicina Generale (FIMMG). 

Ciò significa che i medici di tale sindacato, cioè i medici di base, vale a dire i non ospedalieri, hanno dei rilievi e/o della accuse da fare alla Regione.

Quali sono i singoli punti e come ha risposto a ciascuno la Regione?

RISPOSTA – In una situazione di pandemia annunciata, i medici di medicina generale che erano i più esposti verso il territorio non sono stati adeguatamente formati e protetti.

Non si trattava di normali mezzi necessari per visitare il singolo paziente.

Si trattava di strumenti coordinati destinati ad attuare un piano di protezione del territorio.

Organizzazione, dispositivi adeguati ed in misura sufficiente, politiche territoriali effettive.

I dispositivi di protezione non sono stati acquistati e forse neppure pensati, nessuno si è posto il problema. 

Sarebbe bastato prendere il piano della pandemia del 2009 e le indicazioni che furono date alle strutture in occasione del rischio SARS ( regione Lombardia nota 2015 n. 4975) dove venivano descritte per filo e per segno i dispositivi di sicurezza che andavano acquistati.  

D – Copia dell’esposto è stata inviata a tutte le Procure della Repubblica delle singole città lombarde.

Ci sono procure che hanno preso qualche iniziativa?

Che hanno cioè cominciato a indagare?

R – Sì. Le procure stanno indagando in molte direzioni.

D – Mi risulta che anche i medici ospedalieri intendono presentare esposti e/o denunce singole e collettive.

Questo per essere stati costretti a lavorare senza nessuna protezione specifica. Con danno anche mortale per sé, per i pazienti e per i familiari e parenti di tutti.

R – Alcuni esposti sono già sul tavolo delle procure.

Altre saranno presentate a giorni.

Soprattutto da parte delle famiglie dei sanitari deceduti.

E’ necessario dire che l’Inail è intervenuto immediatamente per lavorare le denunce di infortunio dei lavoratori dipendenti delle strutture pubbliche o private.

Un problema grosso sarà quello dei deceduti tra i medici di famiglia che non hanno protezione. Sarà un tema che occuperà le aule di giustizia civili e penali

D – Ho anche sentito parlare dell’intenzione di avviare una class action contro la Regione e altri enti.

R – Sì. E’ difficile però una class action in quanto questa presuppone situazioni identiche dal punto di vista giuridico e di fatto.

In questo caso le situazioni sono tutte simili ma non identiche ma sicuramente ci saranno cause anche di gruppo.

D – Il piano pandemico che esiste in Regione fin dal 2009, cioè da ben 11 anni, in cosa consisteva? E perché è rimasto nei cassetti?

R – Con la Deliberazione del Consiglio Regionale (DCR) VIII/216 del 2 ottobre 2006 la Regione Lombardia si dotò del proprio piano per la risposta ad un evento di pandemia influenzale (PPR).

Tale evento si caratterizza come la diffusione a livello mondiale della malattia.

Senza che ciò significhi necessariamente una maggior gravità o pericolosità del virus, come è appunto il caso dell’A/H1N1v.

Aggiornato poi nel 2009.

Nel 2015 fu integrata dalla nota citata sopra che indicava le regole di protezione biologica in ambito sanitario che andavano predisposte in occasione della Sars.

Era sufficiente aggiornarlo e/o almeno applicarlo in questa circostanza.

D – Perché la Regione nel 2006 ha pensato di dotarsi di un piano pandemico e chi ne sono gli autori?

R – Una pandemia non si affronta con strutture che si organizzano da sole. E’ necessario un piano preciso e coordinato tra gli attori del sistema:
         a –     Medici di famiglia – primi avamposti di salute pubblica e presidi del servizio sanitario nazionale
         b – Organizzazione logistica- acquisti, distribuzione e regia
         c –     Terapia ( domiciliare e/o ospedaliera)
         d –     Decisioni immediate in determinate condizioni di rischio.
Si tratta di un piano di Risk Management di salute pubblica.

D – Mi risulta che il piano venne aggiornato il 22 dicembre 2010 su proposta dell’assessore regionale del Comitato Pandemico Regionale, con un documento di 13 pagine di cui ben 8 di allegati.

Esisteva il piano, ma esistevano anche i protocolli per poterlo applicare nelle singole strutture sanitarie?

R – Sì, 1uel piano fu ulteriormente integrato con la nota operativa 2015 n. 4975, a firma del Dr. Walter Bergamaschi che aveva per oggetto: “indicazioni operative per la valutazione, scelta e corretto utilizzo dei dispositivi per la protezione individuale da rischio biologico in ambito sanitario”, dettagliata con tanto di fotografie e modalità di utilizzo dei singoli dispositivi necessari.

D – Ho alcune testimonianze di medici, sia di base che ospedalieri, di infermieri e altro personale.

Come quello delle cooperative addette alle pulizie, alla preparazione dei cibi, ecc., costretto a lavorare senza protezione alcuna.

E addirittura richiamato in servizio anche dopo episodi di febbre alta e tosse che potevano far pensare avessero contratto il Covid-19 e fossero rimasti contagianti.

Tant’è che, cosa vergognosa di fronte al mondo intero, molti ospedali sono stati trasformati in focolai di infezione.

Idem per quanto riguarda le residenze per anziani, che infatti sono stati falcidiati in massa.

R – Ho testimonianza di medici di famiglia che si sono posti in quarantena volontaria non appena seppero del contagio di loro pazienti.

Non li hanno sottoposti a tampone fino a quando sono divenuti sintomatici.

Nel frattempo avevano contagiato familiari e conviventi.

D – Ho testimonianza anche di medici di famiglia contagiati, ma che non hanno ottenuto anche il tampone per persone della famiglia.

R – Quando ci si rese conto che l’epidemia era scoppiata, ben prima della sue emersione, venne chiesto di tamponare tutti i medici ed il personale sanitario e di supporto.

Non lo fecero nella convinzione che servisse solo se sintomatici. Sappiamo tutti che questa decisione fu sbagliata e necessitava, invece, di un approcci prudenziale.

Un dovere di protezione necessario per evitare il danno.

La proporzione tra infettati in ambito sanitario, ampiamente sottostimati e gli altri cittadini è talmente alta che basta fare stimare che un sanitario ne possa contagiare tre per  avere una possibile ragione dei numeri lombardi.

D – Eppure il presidente della Regione Attilio Fontana ha dichiarato che rifarebbe tutto quello che ha fatto in questi mesi che nelle case di riposo per gli anziani la Regione non ha commesso nessun errore.  

R – Dire che la Regione e le Aziende Territoriali Sanitarie (ATS) non hanno sbagliato nulla mi pare azzardato.

Se non avessero sbagliato nulla non ci sarebbe stato il numero enorme di morti che c’è stato ed il numero di operatori infettati (4585 operatori sanitari su 34907 totali alle data del 26 marzo).

La decisione di porre i Covid in strutture destinate ai fragili era ad altissimo rischio.

Tutti, e in particolare il presidente dell’Ordine dei medici di Bergamo, sostengono che i numeri dei contagi erano ampiamente sottostimati.

Se i presidenti degli Ordini stanno criticando nel merito una scelta che stai attuando in una situazione già fuori controllo, almeno ti devi porre una domanda: “E’ ancora adeguata quella mia scelta?”.

La si poteva fermare in un attimo. In una condizione di rischio altissima, la decisione di porre i malati Covid in strutture assistenziali andava verificata.

D – Verificata come?

R – Avrebbero dovuto essere ricoverare quai malati in strutture e padiglioni dedicati e separati.

Se metti i malati di Covid anche solo su piani diversi da quelli occupati da non malati di Covid devi verificare che tutto ciò che viene a contatto con quei piani sia trattato in modo separato (pulizie, consegne pasti, sanificazione delle lenzuola, sanificazione stoviglie, personale d’assistenza ecc.).

Nessuno di questi passaggi è stato rispettato.

Non è stata verificata ex ante l’effettiva qualità della struttura, non è stato verificato se le indicazioni venivano seguite alla lettera, non è stato controllato neppure dopo le prime avvisaglie.

La sicurezza c’è o non c’è. Si pianifica, si applica e si controlla.

D – I medici uccisi dal Covid sono ormai più di 200, e a loro va aggiunto il personale sanitario non medico.

Se si fosse trattato di carabinieri o poliziotti uccisi in servizio sarebbe già stato dichiarato il lutto nazionale.

E oltre alla retorica sarebbero piovuti anche riconoscimenti concreti, a partire giustamente dalle medaglie.

Non sarebbero mancati gli aiuti alle famiglie.

Cosa verrà dato alle famiglie del personale ucciso dal Covid-19 per mancanza di adeguate protezioni?

Cosa verrà dato da parte degli enti e delle aziende ospedaliere, da parte della Regione e da parte dello Stato?

R – Purtroppo oltre 200 solo tra i medici (non si contano, infermieri, operatori socio sanitari e personale pulizie o supporto).

L’Inail è già intervenuto, ma probabilmente partiranno anche cause specifiche.

Come detto sopra il problema saranno i medici di famiglia che non hanno protezioni ed assicurazioni.  

D – Per evitare critiche e accuse, tappando la bocca ai “disfattisti”, molti gridano “Siamo in guerra! Siamo in guerra!”.

Un motivo in più perché a tutti i membri del personale – sanitario e non – caduti al fronte in questa guerra, e definiti eroi da tutti, venga concesso la medaglia d’oro, ovviamente al valor civile anziché militare.

Con annesso riconoscimento economico alle famiglie, vedove, vedovi e orfani.

R – Non siamo in guerra, siamo in una situazione di pandemia ampiamente annunciata. In guerra i soldati li mandi armati. Durante questa pandemia i soldati sono andati a mani nude.

D – Stando così le cose, non è il caso di fare un appello al presidente della Repubblica, cominciando subito a raccogliere il più possibile firme di adesione, perché conceda tali medaglie?

La regola prevede che sia il ministro dell’Interno a proporne la concessione e che sia il presidente della Repubblica a deliberarla.

Ma in una situazione così drammatica e con un tale sacrificio di vite umane il ministro sarebbe certamente quanto mai sensibile ai desiderata del presidente e al bisogno di giustizia e di riconoscimenti concreti per gli eroi caduti.

Non è pensabile che si fermino anche loro alla retorica.

R – Sì, è una iniziativa che va presa. Abbiamo un testo pronto, che chiedo venga diffuso.
Oltre a questo, è necessario però che gli errori diventino azioni. Si ripensi la medicina territoriale come un valore da difendere, magari riformare ed adeguare ma inestimabile.

Si ripensi al valore informativo dei dati sanitari accentrati sotto la supremazia dello Stato.

Un fascicolo sanitario che deve diventare un sistema di telemedicina e televisita diffuso.

La politica non si può assolvere. Troppi morti. Troppi feriti sul campo.

Ora serve che le persone perbene comprendano che il servizio sanitario nazionale è un valore di tutti, deve tutelare le persone.

Nessuna esclusa.

Questo non vuol dire che la sanità privata non debba esistere.

In ambito sanitario tutto serve ed alcune sono strutture di eccellenza internazionale.

Ma, mai come in questa situazione, ci si è accorti che proteggere l’ultimo è proteggere tutti.
 

 

 

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