Corte Costituzionale: “Figlio abbandonato ha diritto di sapere chi è la madre”

di Pino Nicotri
Pubblicato il 28 Novembre 2013 - 06:29 OLTRE 6 MESI FA
 Corte Costituzionale: "Figlio abbandonato ha diritto di sapere chi è la madre"

Corte Costituzionale: “Figlio abbandonato ha diritto di sapere chi è la madre”

ROMA –  Era ora! E se ne dovrebbe parlare di più. Nei giorni scorsi la Corte costituzionale ha aperto un prima breccia in un muro che merita di essere demolito, anzi raso al suolo. Un muro che s’è opposto e si oppone ancora a quello che chiaramente è un diritto universale dell’uomo e che come tale dovrebbe figurare anche nella famosa Dichiarazione dei diritti universali dell’uomo: conoscere l’identità dei propri genitori.

Compreso il caso di chi è stato rifiutato dalla madre alla nascita, non riconosciuto quindi neppure dal padre, e perciò chiuso in un befrotrofio, come accadeva fino a tempi recenti, o dato in affido e in adozione, come accade oggi. Per quanto aggiornata e resa meno greve, la materia è stata definita nel 1983 con la legge 184. Il cui articolo 28 al comma 7 non prevede che la magistratura su richiesta del figlio possa, sia pure col vincolo della segretezza, interpellare la madre naturale per sapere se intende mantenere o revocare la sua scelta iniziale di non far mai trapelare il prorpio nome.

La pronuncia della Consulta è dovuta all’iniziativa di una donna della provincia di Catanzaro nata nel 1963 e adottata all’età di sei anni. La donna ha scoperto di non essere figlia dei genitori adottivi solo quando ha deciso di separarsi e divorziare dal marito, cioè nel corso della relativa procedura giudiziaria. In seguito si è resa conto che ignorare chi fossero i genitori e i parenti naturali le ha impedito, tra l’altro, le possibilità dell’anamnesi relativa a costoro tutte le volte che sarebbe stata utile per curare meglio le malattie. Nel caso in precedenza avesse fatto le anamnesi riferendosi ai genitori adottivi e relativo parentado è evidente che può essere stata danneggiata nelle cure, e nella salute, dal fatto che si trattava di anamnesi riguardanti persone che nulla avevano a sparire con lei sotto il profilo genico ereditario.

La Consulta con la sentenza citata – n. 278 dell’anno in corso, relatore il giudice Paolo Grossi – ha di fatto dichiarato incostituzionale proprio il comma 7 dell’articolo 28 chiarendo che resta immutato il diritto all’anonimato della madre che non abbia riconosciuto il figlio, ma che questi ha

“anche il diritto a conoscere le proprie origini e ad accedere alla propria storia parentale”. Diritto, si badi bene, che “ costituisce un elemento significativo nel sistema costituzionale di tutela della persona, come pure riconosciuto in varie pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo. E il relativo bisogno di conoscenza rappresenta uno di quegli aspetti della personalità che possono condizionare l’intimo atteggiamento e la stessa vita di relazione di una persona in quanto tale”.

Insomma, il diritto della madre non può estinguere il diritto del figlio, si tratta di due diritti che devono potersi equilibrare, senza che l’uno eslcuda l’altro. Per la Consulta l’illegittimtà costituzionale è insita nella “irreversibilità del segreto” perché lede gli articoli 2 e 3 Costituzione e pertanto “deve conseguentemente essere rimossa” in quanto “una volta intervenuta la scelta per l’anonimato, infatti, la relativa manifestazione di volontà assume connotati di irreversibilità destinati, sostanzialmente, ad ‘espropriare ‘ la persona titolare del diritto da qualsiasi ulteriore opzione”. L’aver rinunciato alla genitorialità sul piano giuridico, spiega quindi la sentenza, non implica “anche una definitiva e irreversibile rinuncia alla genitorialità naturale”.

A mio parere resta però un problema: resta disatteso un altro diritto del figlio, vale a dire quello che concerne il padre. Una donna che rifiuta il figlio, destinato così all’affido e all’adozione, con la legge attuale, pur corretta con la sentenza recente, cancella il diritto del figlio a sapere chi sia suo padre. E il diritto del padre a sapere in seguito chi sia suo figlio e dove mai si trovi. Oltretutto, di solito una donna si risolve alla dolorosa scelta del rifiuto del figlio proprio perché il padre non ne vuole assolutamente sapere di assumersi le proprie responsabilità.

Ma qui c’è da resitrare un altro nondo, di non facile soluzione. Sono noti i casi di cronaca in cui una donna si rivolge al magistrato perché sia pure in ritardo di decenni costringa il padre, una volta accertatane la paternità magari con l’esame del DNA, ai propri doveri anche pregressi. Il caso che più ha fatto scalpore di recente è quello della signora che ha avuto figli dell’editore Carlo Caracciolo e che una volta morto ha chiesto che i suoi figli accedessero a quote della notevole eredità.

Come è possibile che un figlio rifiutato alla nascita possa un giorno chiedere al giudice il nome della propria madre naturale, ma non quello del proprio padre naturale?

Spesso in Italia si invoca il diritto alla privacy abbastanza a vanvera, per esempio quando qualcuno ha accampato la strana pretesa che i videocitofoni fossero aboliti per evitare di sapere chi mai ci suona il campanello di casa. Con questo modo di ragionare si dovrebbero abolire le targhe delle auto, perché permettono di risalire al proprietario della vettura almeno in caso di incidente per il comune cittadino, ma per la pubblica amministrazione sempre in caso di multa o comunque violazione del codice della strada. Non è il caso di rendere obbligatoria per tutti la registrazione di quella particolare targa personale che si chiama DNA? Sarebbe oltretutto molto utile in caso di problemi sanitari, così come lo è il sapere il gruppo sanguigno di chi ha bisogno di una trasfusione.

 Idem per le impronte digitali. Poiché la Costituzione prevede l’eguaglianza di tutti i citatdini di fronte alla legge, perché mai le impronte digitali vengono prese agli accusati di un reato grave e ai pregiudicati, ma non a tutti gli altri cittadini? L’assurdo è che per entrare in una filiale di banca è spesso necessario poggiare un dito su un lettore ottico che registra l’impronta digitale, anche se non il nome di chi entra nella filiale, ma “solo” l’orario dell’ingresso: il che comunque è sufficiente per identificare in caso di bisogno a chi appartengono tali impronte. Quali sarebbero i pericoli per le libertà dei cittadini italiani, cioè per la democrazia, e per la loro privacy, quale sarebbe le violazione della Costituzione se venisse registrata (anche) la “targa” chiamata impronta digitale? Non sarebbe invece una misura utile per risolvere celermente tutta una serie di delitti? Con enorme giovamento di quella trascurata Cenerentola che si usa chiamare Giustizia.

Può darsi che io stia sbagliando, forse anche di grosso. Ma credo sia comunque il caso di discutere, nell’epoca che ci vantiamo di definire della “globalizzazione” e dell’eliminazione di molti confini, se non sia opportuno che di ogni cittadino esista il registro del gruppo sanguigno, delle impronte digitali e del DNA. Non sarebbe forse anche nel suo interesse oltre che nell’interesse dell’intera società?