Ci si potrebbe scrivere un romanzo, anzi un romanzone. Titolo: “Quel pasticciaccio brutto di Avetrana“, riecheggiando quello di via Merulana immortalato da Carlo Emilio Gadda. Un pasticciaccio affollato, con ben 15 imputati di reati vari, dall’omicidio all’istigazione a mentire, con avvocati accusati di avere minacciato testimoni e suggerito ai propri assistiti i vari scaricabarile che hanno trasformato il caso in un guazzabuglio.
L’ultimo capitolo in scena in ordine di tempo sono le dichiarazioni spontanee di Sabrina e Michele Misseri lunedì 17 ottobre al nuovo Giudice dell’Udienza Preliminare (GUP), Pompeo Carriere, seguite dalla requisitoria dei pubblici ministeri, il sostituto procuratore Mariano Buccoliero e il procuratore aggiunto Pietro Argentino.
Il capitolo decisivo, ma comunque difficilmente conclusivo, sarà scritto al più tardi il 28 novembre, quando scadranno i termini per la carcerazione preventiva di Sabrina e il GUP dovrà avere deciso se convalidare o no l’accusa di avere ucciso, in combutta con sua madre Cosima Serrano, la giovanissima cuginetta Sarah Scazzi.
Nel frattempo un colpo di scena potrebbe esserci il 5 novembre, quando il perito che riceverà l’incarico nell’udienza del 20 ottobre dovrà dire al giudice se è di sangue la macchia trovata sulla Opel Astra Station Wagon di Cosima. Poiché però è stato un avvocato di Sabrina, Nicola Marseglia, a chiedere di cristallizzare come incidente probatorio, non più smentibile quindi, il risultato delle analisi del perito, è piuttosto difficile che lo abbia fatto se la sua assistita avesse il timore che possa trattarsi del sangue di Sarah.
Colpo di scena molto improbabile, dunque, se non impossibile.
Nel frattempo gli innocentisti gioiscono, ma i colpevolisti non piangono. Il 26 settembre infatti la prima sezione penale della Cassazione ha, come è noto, fatto le pulci alle tesi accusatorie della Procura della Repubblica di Taranto, chiedendo di rimotivare meglio le accuse alle due donne perché “i gravi indizi non sono chiari” e non mancano “le omissioni e le questioni inconciliabili logicamente non sufficientemente affrontate”.
I mandati di cattura emessi a suo tempo sono stati annullati, ma la Cassazione anziché disporre la scarcerazione delle due imputate ha ordinato che a vagliare la loro posizione e a decidere cosa fare sia un altro GUP: il rinvio a giudizio per omicidio è perciò sempre possibile.
A rendere più confuso il pasticciaccio di Avetrana è arrivata l’ammissione dei carabinieri del Reparto Investigazioni Scientifiche (RIS): dopo un anno di indagini non sono riusciti a trovare nessuna traccia del delitto né in casa né nel garage né nelle auto dei Misseri. Buio completo anche sull’arma del delitto: sono state passate al setaccio tutte le cinture e i vari tipi di corde trovate in casa, nel garage e nelle auto degli zii di Sarah, ma nessuna appare utilizzata per strangolarla. Impossibile quindi chiarire la dinamica, la meccanica e le responsabilità del delitto.
Intanto Michele Misseri, lo zio di Sarah prima arrestato come reo confesso e poi scarcerato come innocente, continua a ripetere il solito ritornello: “Sarah l’ho uccisa io, da solo, mia figlia Sabrina e mia moglie Cosima non c’entrano niente”. Per quanto possa parere assurdo, Sabrina si trova con due mandati di cattura, uno che riguarda anche il padre, scarcerato però dopo otto mesi perché ritenuto innocente, e l’altro che riguarda anche la madre, in galera come la figlia.
I colpevolisti, con in testa il procuratore capo della Repubblica di Taranto, Franco Sebastio, però non piangono. La Cassazione, oltre a non scarcerare madre e figlia, ha ritenuto provato che la povera Sarah è stata vista con certezza attorno alle ore 14, dal testimone Antonio Petarra, mentre si dirigeva proprio verso casa Misseri, in via Deledda.
Il che significa che anche per la Cassazione Sarah in quella casa vi è entrata viva e ne è uscita morta, oppure vi è transitata già cadavere: uccisa nell’Opel Astra della zia andatale incontro per farla salire in auto con la forza e parcheggiata per qualche minuto in garage in attesa di decidere dove e come farne sparire le spoglie. Altro motivo di conforto per i colpevolisti è la decisione della Cassazione di lasciare il processo a Taranto, rigettando così la richiesta dei legali dei Misseri di trasferirlo altrove.
Di tappa in tappa la vicenda, oltre a Sabrina, Cosima e Michele, ha collezionato altri 12 imputati. Carmine Misseri e Mimmo Cosma, rispettivamente fratello e nipote di Michele, sono accusati di concorso nell’occultamento del corpo di Sarah, avrebbero cioè aiutato il congiunto a trasportarlo in contrada Mosca con la sua Seat Marbella e a gettarlo nel pozzo-cisterna dove lo ha in seguito fatto ritrovare. o di cadavere.
Il fioraio Giovanni Buccolieri ha prima testimoniato e poi ritrattato di avere visto Cosima costringere con la forza sua nipote a salire nella sua Opel Astra. Tre parenti e due amici del fioraio, la cognata Anna Scredo, il cognato Antonio Colazzo, la suocera Cosima Prudenzano, Michele e Giuseppe Galasso sono accusati di avere avvalorato, mentendo, la ritrattazione del fioraio.
Infine, quattro avvocati, tre ex difensori di Sabrina e un ex difensore di suo padre Michele: Vito Russo, la moglie Emilia Velletri e Gianluca Mongelli – i primi due sono stati interdetti dalla professione – sono accusati di intralcio alla giustizia e distruzione di atti giudiziari, mentre il penalista Francesco De Cristofaro è accusato di infedele patrocinio, cioè di avere tradito il suo cliente con comportamenti illeciti a suo danno.
Se gli inquirenti non riusciranno a sbrogliare la matassa del ping pong tra marito, moglie e figlia, il romanzone del pasticciaccio brutto di Avetrana rischia di avere un finale come quello del processo che nel 1966 portò in primo grado all’assoluzione a Roma dei coniugi egiziani Claire e Yussuf Bebawi. Il 16 gennaio di due anni prima, 1964, avevano ucciso nel suo appartamento in via Lazio 9 il libanese Faruk Chourbagi (a volte scritto Gourbagi), da tre anni amante di Claire.
Pur essendo assolutamente certo che Faruk era stato ucciso da almeno uno dei due coniugi, i giudici non riuscirono a stabilire con certezza quale. E quando in secondo grado capirono che erano entrambi colpevoli e li condannarono a 22 anni di prigione, pena confermata in Cassazione, era ormai troppo tardi: gli assassini erano scappati in Egitto, senza possibilità di estradizione.
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