“Se trasferite la tomba, per giunta in un luogo non protetto qual è un cimitero comunale, tanto vale fare prima la famosa ispezione. Anche se è chiaro che non servirà a nulla, meglio farla prima del trasloco perché in seguito, data la piega che ha ormai preso questa vicenda, la tomba potrebbe entrare nel mirino di qualche malintenzionato. Un atto vandalico, facile da realizzare in un cimitero comunale, renderebbe impossibile qualunque eventuale accertamento e ci esporrebbe invece all’accusa di non averlo voluto fare a tutti i costi. Questa benedetta ispezione sarà inutile per le indagini, ma almeno mette la pietra tombale su questo romanzone e sulle strane fantasie che ha alimentato per così tanti anni”.
Questo in estrema sintesi è quel che ha detto il neo procuratore della Repubblica di Roma Giuseppe Pignatone agli inviati del Vaticano, anche se formalmente del Vicariato di Roma, che gli hanno annunciato l’intenzione di trasferire al più presto la bara di Enrico De Pedis, detto “Renatino” (il Dandy di Romanzo Criminale), dalla attuale cripta nella basilica di S. Apollinare al cimitero comunale di Prima Porta. Com’è arcinoto, la vulgata lanciata da “Chi l’ha visto?” nel settembre 1995 vuole a tutti i costi non solo De Pedis autore o comunque coinvolto della scomparsa avvenuta nel giugno 1983 della ragazzina vaticana Emanuela Orlandi, ma anche la sua cripta custode dei segreti della scomparsa se non addirittura del corpo di Emanuela, idea assai controversa visto che è morta ben 7 anni prima di “Renatino”.
Nel corso dei colloqui il procuratore è stato come sempre gentilissimo, ma non ha nascosto un certo disagio per doversi occupare obtorto collo e prima del previsto di una vicenda che non ha ancora avuto il tempo di studiare perché vecchia di quasi 30 anni e priva di qualunque urgenza in una Roma sempre più sotto assedio della malavita, della malapolitica e della corruzione a tutti i livelli.
Le preoccupazioni del procuratore Pignatone riguardo eventuali atti vandalici non sono affatto infondate: da qualche tempo su Facebook non manca neppure chi al grido di “Volere di popolo volere di Dio” straparla di fare irruzione nei sotterranei della stessa basilica di S. Apollinare per sfasciare la cripta di De Pedis e buttarne il contenuto in piazza.
Il 2 aprile la vedova di Enrico De Pedis, Carla, aveva detto: “La prima persona che vuole portar via la salma di mio marito Enrico De Pedis dalla basilica di S. Apollinare sono io. Lo farò appena possibile, quanto prima, spero subito dopo Pasqua. Mi pento di avercela fatta traslare dalla tomba della mia famiglia al Verano solo perché nella basilica di S. Apollinare ci eravamo sposati e quindi per me aveva un significato sentimentale e affettivo. In più si trova a 200 metri da dove lavoro da 30 anni e quindi per me era comodo poter andare a far visita alla tomba di mio marito ogni volta che volevo, senza dover fare chilometri in auto. Mai avrei potuto immaginare la pazzia che ormai è in scena da sette anni e ora è all’acuto. Ma certo non posso spostare nulla se prima la magistratura non decide cosa fare, se aprire o no la bara e fare tutte le verifiche che credono opportuno fare. Sono nella scomoda situazione che qualunque cosa faccio sbaglio e mi può essere rinfacciata. Se non faccio nulla, continua questa incredibile canea. Se faccio qualcosa, mi sparano addosso l’accusa di voler fare sparire chissà cosa. E non manca neppure la giornalista che dice che ormai c’è stato tutto il tempo di fare sparire “tutto” e che perciò non solo è inutile aprire la bara, ma anche dannoso perché si farebbe il nostro gioco: trovandola “pulita” ci verrebbe rilasciata una patente di innocenza. No comment, è meglio. Ho fiducia nella magistratura. Attendo che decidano qualcosa. Qualunque cosa, purché decidano. Poi finalmente i resti di mio marito saranno soltanto miei e usciranno da questa incredibile storia”.
Interpretate come un segno di stanchezza, le parole di Carla De Pedis sono state colte al volo in Vaticano per liquidare finalmente un problema per risolvere il quale ci si era rivolti anche all’ex sindaco di Roma ed ex vice primo ministro del governo Prodi, Walter Veltroni. Il problema è che il papa Ratzinger ha deciso da tempo di andare a visitare per omaggiarlo il gioiello scolastico teologico dell’Opus Dei a Roma, vale a dire l’Università della Santa Croce, che però si trova nel palazzo di S. Apollinare, la cui cappella è da qualche secolo proprio l’omonima basilica nella quale dal 1990 dorme il suo sonno eterno il sempre più scomodo De Pedis. Da vivo è stato assolto con formula piena in tutti i processi, di ogni ordine e grado, ed è quanto meno statisticamente impossibile che si sia comprato tutte le sentenze, comprese quelle della Cassazione. Da morto invece, è stato condannato a diventare il Dandy, vale a dire il feroce gangster e capo banda – ovviamente della Magliana…. – protagonista del best seller “Romanzo criminale” e delle omonime serie tv. “Sua Santità vuole venire, ma finché c’è l’imbarazzo di quella salma non è opportuno che venga”, ha fatto sapere più volte alla dirigenza dell’Università dell’Opus Dei don Georg Genswein, segretario particolare di Ratzinger. Anche l’ex portavoce di papa Wojtyla, Joachìn Navarro Valls, uomo dell’Opus Dei, ha con discrezione sconsigliato la visita “finché c’è quel brutto problema”.
Ma in Vaticano hanno sbagliato valutazione. Gli avvocati della vedova e dei due fratelli di De Pedis, contattati dalla Gendarmeria vaticana il 24 aprile, hanno risposto con cortesia, ma con fermezza: la salma si può spostare, certo, ma solo dopo che la magistratura ha messo la parola fine al noto tormentone o controllando cosa c’è nella bara o dichiarando che “Renatino” con la scomparsa della Orlandi non ha nulla a che spartire”. Visto che i due fratelli di De Pedis gestiscono ognuno una trattoria, viene facile la battuta che in Vaticano hanno fatto i conti senza l’oste. Come che sia, la reazione in Vaticano e in Vicariato è stata furiosa: “Vogliono la guerra? La avranno!”, ha sbattuto i pugni sul tavolo un consigliere del cardinale Agostino Vallini, vicario del papa per la diocesi di Roma.
Ed ecco che guarda caso qualche parola del colloquio con Pignatone finisce sui giornali e in tv come fosse una sua dichiarazione alla stampa per proclamare che ormai lui, e non altri, ha deciso: “La bara prima la si apre, poi la si trasferisce”. Il tutto in tempi stretti, prima della fine di maggio. In Procura restano esterrefatti quando leggono che Pietro Orlandi, il fratello di Emanuela, ha addirittura dichiarato: “Quando apriranno quella cripta voglio esserci anch’io”. Oltretutto, non si capisce a che titolo pretenda o speri di esserci. Il succeso di adesioni della petizione al papa, organizzata stranamente con 28 anni di ritardo, perché dica cosa sanno in Vaticano della sorte di Emanuela e il continuo comparire in tv hanno forse convinto Pietro, cittadino vaticano, di essere nel Belpaese a guida Tv un personaggio di grande potere. Mal che vada, può scapparci una candidatura alle prossime elezioni romane e laziali. L’idea di mettere in lista Pietro Orlandi piace infatti a Veltroni, da sempre fautore delle candidature delle “vedove di” e dei “figli di”, intesi come figli e vedove di vittime della mafia e del terrorismo. Finora la figura del “fratello di” gli mancava.
Come abbiamo scritto il 24 aprile, la guerra dichiarata a parole dal Vicariato non è affatto detto che sia un blitz o una passeggiata. Meglio perciò mettere mano anche ad altre armi: i maligni sussurrano infatti che Oltretevere stanno cercando di capire che cifra far mettere sul piatto dal Vicariato per tentare di comprarsi velocemente il sì incondizionato dei congiunti di “Renatino”.