ROMA – Il mistero di via Poma è ancora tale. L’assassino che 24 anni fa, in via Poma a Roma, uccise a coltellate Simonetta Cesaroni, ad appena 21 anni, è ancora senza nome. La Corte di Cassazione ha confermato l’assoluzione per l’imputato Raniero Busco che in primo grado era stato condannato a una pesante pena detentiva, 24 anni di carcere.
Abbiamo intervistato il criminologo e docente Carmelo Lavorino, considerato il maggior esperto in assoluto di questo caso giudiziario rimasto avvolto nel mistero. Carmelo Lavorino è stato fondatore ed è direttore della rivista di criminalistica, criminologia, invetigazione e intelligence “Detective & Crime”. Esperto in analisi e investigazione della scena del crimine, criminalista e investigatore, dirige il Centro Studi Investigazione Criminale (CESCRIN)”. Lavorino ha collaborato con l’avvocato Paolo Loria, difensore di Brusco, ed era stato consulente dell’avvocato Raniero Valle, padre di Federico Valle, accusato e prosciolto dall’accusa di essere lui l’assassino.
Carmelo Lavorino sul delitto di via Poma ha pubblicato un centinaio di articoli su riviste specializzare e tre libri: Via Poma: Inganno strutturale, Via Poma: sulle tracce dell’assassino, Via Poma: il sangue dell’assassino.
Via Poma, tutto da rifare. Chi è l’assassino secondo lei?
Un soggetto che ha il gruppo sanguigno A con dqalfa 4/4, che usa la mano sinistra, territoriale del condominio con riferimenti al portierato e/o all’ufficio dove lavorava Simonetta, che ha avuto tempo e opportunità di uccidere Simonetta e poi farsi aiutare da qualche complice a cancellare le tracce, a pulire e depistare. Un soggetto con un complice pulitore della scena, il quale era a conoscenza che l’arma del delitto era il tagliacarte di Maria Luisa Sibilia, tanto che, dopo averlo lavato, pulito ed asciugato, lo ha rimesso al suo posto.
Un soggetto che dopo il delitto non ha avuto alcun rimorso, tanto che ha lasciato il corpo della ragazza in posa sguaiata, a gambe aperto (segno dell’odio e del disprezzo che non lo abbandonavano), tanto che è stato il suo complice a chiudere gli occhi a Simonetta e a coprirle il ventre con il top di pizzo sangallo.
In effetti la prima parte del suo profilo restringe molto la cerchia dei sospettati.
C’è di più! Maria Luisa Sibilia, una dipendente dell’ufficio, si era assentata per ferie ed era tornata proprio quella mattina del 7 agosto 1990, ma alle ore 11 non trovava il tagliacarte. Poi la notte il taglacarte è stato rinvenuto dalla Polizia sulla sua scrivania. Questo significa che la persona che lo rimesso a posto conosceva la proprietaria del tagliacarte e della scrivania relativa, ma che non era a conoscenza che la mattina il tagliacarte era scomparso. Questo restringe maggiormente il numero dei soggetti da puntare.
Come fa a dire che l’assassino ha il gruppo sanguigno A e gli alleli 4/4? che ne sa lei? E perché gli inquirenti non lo sanno?
Sul telefono della stanza di Maria Luisa Sibilia è stata repertata una traccia molto lieve di sangue, abbene, questo sangue è di gruppo A con dqalfa 4/4, e non è quello di Simonetta che è di gruppo 0 dqalfa 4/4. Gli inquirenti caddero nell’equivoco e confusero A con 0, così ritenendo che il sangue sul telefono fosse della vittima e non dell’assassino.
Ho la certezza che il sangue sia di gruppo A, quindi dell’assassino, perché esiste una perizia del 1990 a firma del prof. Angelo Fiori ed altri e perché la sentenza di assoluzione di Busco, quella dell’appello, mi dà ragione anche in questo.
Come fa a dire che l’assassino è mancino o ha l’uso prevalente della mano sinistra?
Perché lo schiaffone a mano aperta sulla tempia destra della vittima, la ferita al collo che entra da destra e fuoriesce a sinistra, la ferita bifida (a coda di rondine) sono tali che SOLO una mano sinistra poteva produrle, non certamente una mano destra. E come ben si sa, in un momento di rabbia si usa la mano naturale e/o quella che funziona.
Come sono andate le cose secondo lei, qual è stata la dinamica dell’omicidio?
Mi baso sull’analisi della scena del crimine, sulle tracce, sulle evidenze medico legali, sulla logica e sugli indicatori del crimine. Le propongo la ricostruzione più probabile dell’aggressione mortale a Simonetta Cesaroni.
• L’assassino è di fronte a Simonetta, le spalle verso la finestra. Simonetta è priva della maglietta e dei pantaloni, è senza il corpetto che si è tolto spontaneamente, difatti, le è stato deposto sul ventre almeno 45 minuti dopo l’omicidio ed è risultato privo di tagli e di sangue.
• Simonetta col suo comportamento e con le parole ferisce l’uomo in modo profondo, umiliante, affilato e devastante: la rabbia salta da zero a mille.
• La mano sinistra dell’aggressore scatta verso la tempia destra di Simonetta che cade afflosciandosi, sbandando il corpo e roteando il capo. Sbatte il capo e il fermacapelli si rompe in due parti, la molla scivola via.
• La prima azione dell’assassino è avventarsi contro e sulla ragazza, le sfila le mutandine e s’insinua fra le sue gambe, tentando, sperando, ansimando un approccio sessuale. Ma fallisce, nessuna erezione. L’ira e il desiderio di vendetta lo dominano.
• Con le gambe stringe con forza i fianchi della ragazza, così le procura le due strisce ecchimotiche sulle spine iliache con lievi abrasioni. Le ha abbassato il reggiseno, le stringe il capezzolo sinistro (non sappiamo come e con cosa) .
• Il pensiero dell’aggressore va al peggio: se Simonetta rinviene lo denuncia e lui è sputtanato, rovinato e finito. Allora esplode il suo Es, selvaggio ed arcaico, contenitore delle pulsioni indicibili del suo istinto.
• Scorge il tagliacarte sulla scrivania di Carboni, quel tagliacarte che Maria Luisa Sibilia in mattinata non aveva trovato. Alza la mano sinistra, lo prende e dà il via al rituale omicidiario di 29 colpi, mirando i colpi verso quattro zone altamente simboliche e cambiando posizione per infliggere i colpi: al petto per uccidere e troncare la vita; al volto per deturpare la bellezza femminile che lo ha fatto invaghire, agli gli occhi per punirli perché in vita erano vispi e maliziosi; al ventre perché simbolo di maternità: al pube per la sua valenza simbolica sessuale e oggetto del contendere.
• I colpi sono tutti sferrati con intento di tacitazione ed eliminazione del testimone pericoloso, per sfregio, per volontà di deturpare e annullare la bellezza “maledetta” e la femminilità della sua vittima, per uccidere ed eliminare il problema, per vendetta.
• Per sferrare i quattordici colpi all’inguine e al ventre, l’assassino ha dovuto spostarsi alla sinistra del corpo (alla destra sarebbe stato impossibile perché c’erano la scrivania e la sedia) e così iniziare il disfacimento e la violazione del ventre di Simonetta (annullamento simbolico della maternità e della sessualità con conseguente punizione), sino a spingersi a colpire l’interno della vagina, vera punizione simbolica dell’organo sessuale. Ecco il percorso ritualitico del furore assassino dell’aggressore: la punizione, lo sfregio, la penetrazione sanguinaria, l’eliminazione della propria sconfitta, la dimostrazione di dominio.
• Dopo la serialità dei colpi, l’assassino comincia a tornare in sé e per istinto tenta, goffamente, illogicamente e puerilmente, di asciugare il sangue che sta fuoriuscendo dal corpo.
• Ha di fronte un cadavere, deve fare i conti con la morte, con la legge, con la giustizia.
• Prende la maglietta e i pantaloni di Simonetta, li mette sul sangue che sta formando la gora, ne assorbe in parte, comincia l’opera di asciugamento e pulizia, come se lavasse e asciugasse un pavimento dall’acqua, non dal sangue.
• Il sangue di Simonetta continua a fuoriuscire.
• L’aggressore entra in crisi, in stato quasi crepuscolare.
• La calma di morte, il silenzio e il sangue che sgorga aprono varchi nella sua coscienza: l’assassino inizia a essere consapevole di ciò che ha fatto.
• Passa qualche minuto, poi, l’aggressore rientra in sé. Va nella sala di Maria Luisa Sibilia e telefona al complice e chiede aiuto.
• Inizia quel segmento buio di attività frenetiche, analitiche, previsionali e organizzative da parte della combinazione criminale (assassino e complici) che decide il depistaggio con tutti gli annessi e connessi. Viene così attivata la fase di presa distanza dalla scena del crimine, di alterazione della scena e di messinscena, di inquinamento delle prove, della scena e delle risultanze: viene attivata la procedura volta a “farla franca” con tutte le risorse e nel migliore dei modi, situazione oggettiva permettendo.
• L’obiettivo di questa sapiente, dosata, abile e professionale opera di alterazione della scena, di messinscena, di depistaggio, di manipolazione della verità è far apparire quel che non è per nascondere quel che è stato.
• Chi deve fare opera di rassettameno, di depistaggio, di cancellazione delle impronte della combinazione criminale può farlo con calma e nel massimo della sicurezza.
• Qualcuno chiude gli occhi a Simonetta, non ce la fa a vederla con gli occhi sbarrati, attoniti: atto di matrice psicologica, atto di negazione psichica, atto di chiusura, di pietas. Se fosse stato di disprezzo, il top sarebbe stato buttato, lanciato, fatto precipitare.
• Poi, almeno 45 minuti dopo il delitto, la stessa persona che ha pulito la scena o qualcun altro le dispone sopra il ventre il top di pizzo sangallo.
• La borsetta viene rovistata per motivi strumentali, logistici, di pianificazione e di conoscenza, per avere il controllo della situazione.
• I vestiti di Simonetta sono portati via per motivi strumentali, autosicurezza, per eliminare le tracce del pulitore sugli stessi, per privare il quadro investigativo di ottimi dati informativi, per far credere che si tratta di soggetto feticista.
• I monili sono portati via dopo essere stati selezionati con cura (non è stato preso l’orologio) per far credere che si tratta dell’opera di un ladro, per confondere le acque, per motivi strumentali.
• Vengono prese le chiavi di Simonetta e con queste la porta viene chiusa a tre/quattro mandate, dall’esterno. Questo è il capolavoro della combinazione criminale che suggella la propria opera e lascia l’impronta di un’azione stilistica di alto livello. Difatti, nonostante si sia trovata di fronte a un cadavere imprevisto, al sangue, all’azione criminale omicidiaria, alla presenza ingombrante di Simonetta che non poteva essere nascosta, la combinazione criminale intende lasciar credere che, se l’aggressore non avesse avuto le chiavi di Simonetta, non avrebbe potuto chiudere, quindi non è un territoriale dell’AIAG e/o del portierato. Non si tratta di atto di chiusura psicologica e con la scena, ma una scelta forzata dalle circostanze per dimostrare che sono state usate proprio le chiavi di Simonetta, ergo, che chi ha chiuso ne era sprovvisto. In tal modo viene dimostrata la triade imprescindibile: “chiavi di Simonetta + chiusura della porta a tre/quattro mandate + non territorialità ambientale dell’assassino”. Se la porta non fosse stata chiusa a tre/quattro mandate e se le chiavi di Simonetta fossero rimaste nella borsetta, il primo pensiero investigativo sarebbe stato: “È entrato con chiavi proprie, è uscito di fretta, è un territoriale: portierato o ufficio”.
• Prima della chiusura della porta a quattro mandate la combinazione criminale commette l’errore finale: il lavaggio dell’arma del delitto, il tagliacarte di Maria Luisa Sibilia, con la sua successiva collocazione sul tavolinetto accanto alla scrivania della stessa Sibilia.
Quali errori sono stati commessi nell’inchiesta di Via Poma?
Moltissimi. Primo fra tutti non avere preso le temperature ambientali e quelle del cadavere, avrebbero dovuto annotarle ogni 30 minuti: in tal modo sapremmo l’orario della morte con l’approsimazione di 30 minuti, combinando i dati forensi con l’ultimo pasto di Simonetta e le dichiarazioni della sorella.
Il secondo errore è stato quello di non comprendere che l’assassino aveva usato la mano sinistra.
Poi ci sono gli errori di fissazione investigativa solo sul portiere Pietrino Vanacore, di non avere seguito altre piste, di non avere seguito un protocollo investigativo coerente e logico.
In seguito sono arrivati i sospetti su Federico Valle prima e Raniero Busco dopo, sfociati in innamoramento del sospetto e della tesi. Ipotesi con autoconvincimento riverberante che ha indotto gli inquirenti a non seguire MAI le mie indicazioni – fra cui la questione del sangue sul telefono, del tagliacarte e dell’assassino mancino – , ed ecco i risultati.
Gli stessi errori li hanno commesso i legali dei familiari di Simonetta che si sono accodati sempre e comunque alle ipotesi degli Inquirenti…
Secondo lei l’assassino sarà mai catturato?
Se seguono le mie indicazioni sì!
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