Don Gallo: politici drogati di potere, cacciarli come Gesù con i mercanti dal Tempio

Parla don Andrea Gallo, il combattivo “prete da marciapiede” – lui però si autodefinisce “un prete che si è scoperto uomo” – da sempre spina nel fianco della curia genovese: “Aveva ragione il mio amico Giuliano Pisapia a Milano: il vento può cambiare. Anzi, sta cambiando davvero e comincia a soffiare forte. Si illude chi pensa che i giovani ormai si ribellano solo nei Paesi arabi o nella Grecia divorata dai debiti. “Voi la crisi. Noi la speranza” è lo slogan lanciato dai giovani e dai “nuovi resistenti” in questi giorni di manifestazioni e proteste a Genova nella ricorrenza del G8 di dieci anni fa. Uno slogan quanto mai indovinato, perché i giovani si stanno risvegliando dal torpore e dalla sfiducia e con loro buona parte della gente narcotizzata dal berlusconismo. Per dieci anni sono stati scoraggiati, ora si stanno muovendo”.

Don Gallo è il creatore e l’animatore instancabile della Comunità di S. Benedetto al Porto, fondata nel 1975, con sede nella canonica della chiesa della SS Trinità e S. Benedetto, comunità che assiste da anni i bisognosi, i disagiati e gli emarginati di ogni tipo: dai drogati agli extracomunitari, dai disoccupati ai transessuali, insomma quegli “ultimi” ai quali Gesù nel Discorso della Montagna ha promesso che “saranno i primi nel regno dei cieli”. Tra i vari libri scritti da don Gallo ce n’è uno che non a caso si intitola “E io continuo a camminare con gli ultimi”.

Il 18 luglio il “prete da marciapiede” ha compiuto 83 anni e il suo compleanno è stato festeggiato al PalaCep di via Martiri della Benedicta da un migliaio di persone e da personaggi come Gino Paoli, Marco Travaglio, Moni Ovadia e altri ancora. “Purtroppo mancava il mio caro amico cantautore Fabrizio De André, che da tempo non è più di questa terra. Per me Fabrizio era il quinto vangelo e una volta l’ho anche detto al mio vescovo”, sospira don Gallo. Che aggiunge: “A proposito del mio vescovo, cioè del vescovo della mia città, Genova, mi dispiace che non si sia fatto vivo neppure questa volta. Per farmi gli auguri mi ha telefonato una marea di gente, perfino il premio Nobel Dario Fo, ma non il cardinale Angelo Bagnasco…”.

Contento del successo delle manifestazioni?

“Sì, certo. Contento perché il vento è cambiato. Il movimento delle proteste e dei diritti sta rinascendo proprio nella Genova dove dieci anni fa è stato stroncato dalla brutalità repressiva. “Voi la crisi. Noi la speranza” è un seme che sta fiorendo. Ne sono contento e dobbiamo averne cura. I movimenti, e non solo dal ’68, ma anche da ben prima, hanno alti e bassi, possono vincere o essere sconfitti. Il nostro contro la globalizzazione dei ricchi, contro il socialismo a beneficio dei grandi bancheri salvati dal crack con i soldi di chi paga le tasse, dieci anni fa è stato sconfitto. Oggi si è rimesso in piedi e cerca di intercettare altri movimenti e proteste, come quello che si è risvegliato contro la riduzione della donna a carne da pubblicità sempre meno vestita. La donna, che ci dà la vita, è stata ridotta a “testimonial” – si dice così? – di un consumismo ormai fine a se stesso, privo di significato, sganciato da quello che si usa chiamare processo. Testimonial cioè del nostro collasso morale, che sta diventando anche industriale: produciamo quasi solo mutande griffate… Hanno ragione le donne a protestare al grido di “Se non ora, quando?”. Il proverbio dice “aiutati che Dio ti aiuta”. Le donne stanno capendo di nuovo che nessuno regale niente, la parità e la dignità se la devono conquistare e difendendere anche con i denti. La conquieste sono sempre su un piano inclinato: se non si spingono verso l’alto e ci si ferma, rirotolano in basso”.

 A un dibattito lei ha detto che come genovese è anche amareggiato. Perché?”.

“Perché sento la mia città, Genova, ancora impaurita, divisa, ostile alla memoria o indifferente. E trovo deludente, molto deludente, che non ci sia stato per esempio al liceo Pertini, devastato dalla polizia dieci anni nei giorni del G8, una sorta di incontro testimonianza di verità e di riconciliazione con le personalità e i reponsabili di allora, cioè con il ministro dell’Interno Claudio Scajola, che è pure ligure, l’arcivescovo di Genova Dionigi Tettamanzi, il capo della polizia Giovanni De Gennaro, il sindaco Giuseppe Pericu, gli esponenti del Genoa Social Forum, dei Cobas, dei partiti, ecc. Avremmo potuto fare una due giorni di verità e giustizia. E per la riconciliazione le autorità di polizia avrebbero potuto almeno chiedere scusa. Oltre a tutto il resto, comprese le violenze alla scuola di polizia Diaz, il 20 luglio di dieci anni fa è pur sempre morto un ragazzo, Carlo Giuliani, per un proiettile ufficialmente sparato da un carabiniere. Un gesto di ricerca della verità e giustizia, di riconciliazione, come il chiedere scusa, sarebbe stato quanto mai prezioso”.

Nei suoi discorsi ha parlato di resistenza. Resistenza al neoliberismo.

“E’ in atto una reazione neoliberista che punta alla disgregazione sociale e alla riduzione dei lavoratori in forza lavoro, da pagare un tanto al chilo con contratti che non sono contratti, ma solo demolizione della dignità delle figura del lavoratore. Si disgrega anche il concetto di cittadinanza, riducendo vergognosamente i diritti, le certezze e i punti di riferimento. A questa reazione si deve rispondere con la decisione e forza necessaria. C’è chi la chiama “alternativa”. Ma per essere tale deve prima di tutto essere resistenza. L’alternativa democratica al fascismo l’Italia se l’è conquistata con la Resistenza, ne è stata una conseguenza, un frutto. Che ora vogliono far marcire e portarci via. Questa è gente pronta a privatizzare perfino l’acqua”.

 Sì, ma sono stati sconfitti.

“Ma dico io, come gli è venuto in mente? L’acqua è la fonte della vita. Nasciamo con la rottura delle acque del ventre materno e viviamo mangiando ciò che l’irrigazione con l’acqua ci permette di avere. A questi signori io vorrei fare una domanda, una sola”.

Quale?

“Vi salterebbe mai in mente di privatizzare le madri? L’acqua è la madre di tutti noi. Ma questa è gente che se a un certo punto non li mandi a casa è capace di privatizzarti pure l’aria. E poi parliamoci chiaro: le privatizzazioni di società floride come l’azienda statale dei telefoni non mi pare abbia prodotto miracoli, eccetto lo straordinario debito che ha oggi la Telecom. La privatizzazione per quattro soldi dell’immenso patrimonio dell’Eni ha arricchito un sacco di gente. Ora dobbiamo privatizzare anche l’Eni? Cosa ci resterà, alla fine? Solo gli occhi per piangere? Mica siamo fessi, così non si può andare avanti”.

Ma il governo promette riforme.

“Come no! Ne sento parlare dal ’68, quando hanno cominciato a reprimere anziché dare risposte riformiste. Lo Statuto dei Lavoratori è una riforma che abbiamo conquistato sul campo, con le lotte operaie, ma stanno cercando di svuotarla. La verità è, come dimostra questo fuoco d’artificio di inchieste giudiziarie una più incredibile dell’altra, che oggi il potere, arrivato al delirio berlusconiano, non si accontenta neppure di essere regale, monarchico, ma pretende di fare tutti i comodacci suoi come il potere assoluto pre rivoluzione francese. Questi sono drogati del potere, bisogna assolutamente disintossicarli. La droga del potere e del suo abuso è una droga terribile, altro che cocaina o eroina, ed è l’unico caso in cui sono proibizionista.

Anche la sinistra promette riforme.

“Allora siamo a posto… Purtroppo è arduo parlare di destra e di sinistra. Questi politici che stanno al governo e al parlamento sono mercanti che insozzano il Tempio della politica. Bisogna cacciarli via, tutti, compreso Giorgio Napolitano favorevole alla guerra in Libia, così come Gesù ha cacciato i mercanti dal Tempio di Gerusalemme. C’è il Primo Stato, quello dei potenti che ormai si credono come i nobili francesi del ‘700, lo Stato cioè dei bunga bunga di vari tipo e delle varie P2, P3, P4 e chissà cos’altro. C’è il tentativo di portare la Chiesa ad essere il Secondo Stato, per puntellare il primo garantendo i voti dei cattolici in cambio di altri inammissibili privilegi e magari, chissà, farla ridiventare il Primo Stato come sogna qualche nostalgico. E c’è il tentativo di ridurre le masse al Terzo Stato. Avanti così, rischiamo di arrivare addiruttura pre Habeas Corpus: a Genova dieci anni fa ne abbiamo avuto un assaggio per tutti, ma gli immigrati extracomunitari ne avevano già una certa esperienza. Ma oggi il Terzo Stato vuole ricominciare a contare qualcosa, ha rialzato la testa. Poche settimane fa la valanga di sì ai referendum e i nuovi sindaci di Milano e Napoli, emblemi di un Nord e Sud parimenti oppressi dal Primo Stato, oggi la kermesse di Genova”.

 Però intanto è arrivata anche la mazzata della manovra economica, la legge finanziaria.

“Forse vuol dire, più esattamente, la macelleria sociale approvata in fretta e furia anche dalla cosiddetta sinistra. A pagare sono sempre i poveracci, mi chiedo a cosa sono servite le manovre “lacrime e sangue” come quella del ’92 e dell’ingresso nell’euro se siamo sempre da capo. Se abbiamo una classe politica così incapace da pretendere lacrime e sangue ogni dieci anni, per giunta diminuendo i diritti, i servizi pubblici e la qualità della vita, allora si tratta davvero del Primo Stato. Che deve essere mandato a casa. Ma sarà dura…. Quesi sono peggio delle zecche e delle sanguisughe. Sono proprio dei drogati del potere, non ci stanno con la testa. Questa non è una crisi politica, ma una crisi di sistema. Un sistema che nel mondo sta spolpando il pianeta, fino a minacciarne la sopravvivenza, e che in Italia s’è mangiato il futuro dei giovani. Dall’unità d’Italia ad oggi questi giovani sono le prime generazioni che vivono e vivranno non meglio, come è successo a tutti noi, ma peggio dei loro genitori e nonni.”.

 Don Alex Zanotelli era al suo fianco a lanciare l’allarme, qui a Genova, anche per quanto riguarda la situazione del pianeta e il pericolo di guerre.

“Quello che dice padre Zanotelli purtroppo è vero, ed è importante. Lui sa bene come la sua Africa sia devastata dai conflitti alimentati con armi prodotte in gran parte anche in Italia: bisogna assolutamente combattere contro le industrie degli armamenti, perché hanno tutto l’interesse a continuare a produrre armi sempre più sofisticate e mostruose. Per tenere in piedi queste industrie, che con i loro profitti sono in grado di corrompere chiunque, continuiamo a inventarci e a fare le guerre, spesso con le motivazioni più ipocritamente sfacciate. “Guerra umanitaria” è la motivazione più ipocrita e sfacciata di tutte. E se non si riesce a scatenare, almeno fino ad ora, una bella guerra con armi nucleari, ecco che si ripiega sulla “guerra al terrorismo” e sullo “scontro di civiltà” come scusa buona per continuare ad ingrassare le industrie degli armamenti per costringere i Paesi o i continenti “nemici” a dissanguarsi nella folle corsa a dotarsi anche loro di armi sempre più micidiali e costose per tentare di essere alla pari con noi. Questo è un modo diabolico, davvero satanico, per continuare a dominare il pianeta. E’ una guerra mondiale non dichiarata, ma che produce una marea di vittime perché troppi soldi vengono investiti negli strumenti di morte anziché in quelli per la vita. Non a caso muore di fame un bambino in sempre meno secondi. Una decina di anni fa moriva di fame un bambino ogni otto secondi, poi ogni sette, quindi ogni sei, oggi ne muore uno ogni quattro secondi! Senza contare quelli che crepano perché non hanno i soldi per le medicine. Questa non è una guerra mondiale permanente? Ogni quattro secondi muore di fame un bambino mentre spendiamo 120.000 dollari in armamenti! Ogni minuto il mondo spende 3 milioni di dollari in armamenti, e nello stesso minuto muoiono di fame 45 bambini. Il mondo è un paradiso per pochi che lo rendono un inferno per troppi”.

 Che coincidenza: don Gallo è nato il 18 luglio, lo stesso giorno di Nelson Mandela. Che effetto fa?

“Lui ha 93 anni, dieci esatti più di me. Perciò l’effetto che mi fa è che, Dio volendo, dovrò darmi da fare ancora almeno per altri dieci anni”.

 E che effetto fa avere 83 primavere?

“Finché posso essere d’aiuto e non un peso, un bell’effetto”.

 Il ricordo più brutto?

“Più d’uno, la perdita delle persone care e degli amici, l’ingiustizia che imperversa ovunque. Ma ho in me sempre questa volontà e speranza di resurrezione che mi spinge a non restare fermo al dolore”.

Il ricordo più bello?

“Tanti. Compresa la giornata del 18 luglio”.

 

I commenti sono chiusi.

Gestione cookie