“Donato Bilancia. Nella mente del serial killer”. Carmelo Lavorino analizza i 17 omicidi

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“Donato Bilancia. Nella mente del serial killer”: la copertina del libro di Carmelo Lavorino

Donato Bilancia è il serial killer italiano più profilico: 17 omicidi e due tentati omicidi in solo sei mesi, dall’ottobre 1997 all’aprile 1998: otto femmine e nove maschi donne. I giudici che lo hanno condannato all’ergastolo e i loro periti lo hanno ritenuto capace d’intendere e di volere, anche se non hanno individuato i veri moventi degli omicidi, i criteri di scelta delle vittime e dei luoghi. Ultimamente Bilancia ha ottenuto un permesso per andare a visitare la tomba dei genitori.

È inoltre uscito il libro “Donato Bilancia – Nella mente del serial killer”, scritto da un noto esperto Carmelo Lavorino, criminologo investigativo con un curriculum del massimo rispetto: consulente nei processi contro Pietro Pacciani per i delitti del Mostro di Firenze, per i gialli di Via Poma, di Arce, di Cogne, per il rapimento e l’uccisione del piccolo Tommaso Onofri, Lavorino si è interessato di oltre duecento omicidi,. Nel libro il criminologo-investigatore svela e spiega quale sia il “maligno filo rosso logico conduttore dei delitti di Donato Bilancia”.

Professore, quali sono gli aspetti essenziali del suo libro le novità?

Il libro è la proposta-stesura di un modello analitico investigativo sui serial killer, su come individuare e comprendere i loro moventi nascosti tramite lo studio del modus operandi, del loro comportamento sulla scena del crimine e nei confronti della vittima, delle tracce lasciate in ogni momento del delitto, della loro organizzazione per commettere i vari delitti ed attivare le vie di fuga. È uno strumento di studio, didattico e “manualistico”.

È un’analisi completa dei delitti di Donato Bilancia, ed alla fine del suo percorso individua lo schema logico, segreto e comportamentale di questo super serial killer e la sua segreta firma psicologica. È lo studio totale sia dei moventi segreti, concreti e psicologici che lo hanno spinto ad effettuare 17 omicidi, sia della incredibile e variegata serie di vittime che ha mietuto: biscazzieri, orefici, cambiavalute, vigilantes, prostituite e donne che viaggiavano sui treni. Bilancia ha commesso i primi delitti per una sorta di vendetta personale, poi ha iniziato a rapinare e ad uccidere perché aveva bisogno di soldi e godeva nell’uccidere; in seguito ha diretto la sua rabbia e il suo odio contro le donne in genere e contro alcune figure femminili familiari giustiziando le prostitute per “collezionismo maligno”, per poi alzare il tono della sfida e colpire le donne sui treni.

Lei ha criticato le indagini, può spiegarci perché?

Donato Bilancia poteva essere catturato sin dopo le uccisioni dei coniugi Mautrizio Parenti e Carla Scotto, i delitti 2 e 3 per intenderci, commessi il 24 ottobre 1997. Uccise la coppia nel loro appartamento a Genova, in piazza Cavour, e lasciò serrate sui polsi dell’uomo le manette nere che aveva acquistato giorni prima a circa 400 metri di distanza: sulle manette c’erano le sue impronte papillari e il suo Dna: Bilancia era un pregiudicato e quindi schedato…capiamoci. In molti delitti Bilancia ha lasciato testimoni che lo hanno descritto ed hanno permesso un identikit, ha fatto notare la Mercedes scura con la quale scorrazzava per la Liguria. Addirittura, dopo ogni delitto, in preda allo stress, all’emozione ed alla voglia di sfidare tutto e tutti (Bilancia era un giocatore d’azzardo patologico e un serial killer certo di essere protetto da “un’entità superiore”), varcava i caselli stradali senza pagare il pedaggio: così venivamo fotografati lui e la vettura Mercedes.

Sicuramente le indagini per la sua cattura sono state lente, lacunose, scoordinate e prive di fantasia: poteva essere catturato sin dal novembre del 1997, invece è stato individauto solo il 28 aprile del 1998, grazie alle indicazioni del proprietario della Mercedes blu, tale Pino Monello. Carabinieri e poliziotti non si trasmettavano le informazioni per “sano spirito di coroo” (!?), cioè, per gelosia e voglia di protagonismo; c’erano troppo Procure che indagavano per competenza territoriale (Genova, San Remo, Savona, Asti e Verona); non c’era la mentalità della caccia al serial killer. Diciamo che, quando ci sono troppi galli nel pollaio…non si fa mai giorno!

Lei ha parlato di schema comportamentale di Bilancia e di firma psicologica. Può ampliare i concetti?

Bilancia uccideva per una serie di motivazioni e moventi complessi, che vanno da questioni personali di vendetta, al bisogno di soldi, al gusto della sfida e del rischio, a problemi sessuali e psicologici, al piacere eccezionale nel sentirsi onnipotente e dominatore con quella pistola Smith & Wesson, a questioni tattiche e strategiche relative la mortale a poker che aveva intrapreso contro i “suoi cacciatori” (inquirenti e malavita); all’odio contro i genitori in quanto tali, contro la figura femminile materna, al disprezzo contro il padre, all’odio esaperato contro la cognata Ornella Cocorocchio che lui reputava essere l’origine di tutte le sue disgrazie; al macabro collezionismo di prede prostitute di nazionalità differente: albanese, ucraina, ecuadoregna, nigeriana, italiana e croata.

In questo contesto macabro e tenebroso di uccisore a catena Bilancia seguiva delle regole invisibili, eccone alcune: se prelevava la vittima a Genova la portava in macchina a Cogoleto vicino la casa estiva dei suoi genitori e lì le uccideva; se le prelevava nel Savonese le uccideva in un luogo che conosceva molto bene a Pietra Ligure. Ed ancora, poiché il 19 marzo 1987 il fratello Michele si era suicidato buttandosi sotto un treno assieme al figlioletto Davide di quattro anni, per “fare un dispetto” alla moglie Ornella Cocorrocchio che aveva ottenuto l’affidamento del bambino, Donato Bilancia uccide due persone il giorno prima e quello dopo la ricorrenza della fatidica data: la prostituta Ludmilla Zybckova il 18 marzo 1998, il cambiavalute Enzo Gorni il 20 marzo: questo perché Bilancia amava profondamente il nipotino maciullato dal treno. Nelle donne che Bilancia uccide sui treni il 12 e il 18 aprile, rispettivamente Elisabetta Zoppetti e Mariangela Rubino, identificava la cognata Ornella; in tutto ciò la scelta dei treni è altamente simbolica. Se poi teniamo conto che il viado che tenta di uccidere il 24 marzo alla Barbellotta aveva due nomi d’arte, Lorena (angramma di Ornela) e Ornella, il cerchio si chiude sui fantasmi mentali di Bilancia che inconsciamente uccideva la cognata.

Cito altri due aspetti importanti della firma psicologica di Bilancia: 1) esplodeva un numero di colpi contro le vittime secondo la rabbia che gli procuravano, cioè, più gli resistevano e più colpi lui sparava; 2) metteva in posa le vittime di sesso femminile dopo averle uccise, per poi abbandonarle con disprezzo, dopo però avere rubato nelle loro borsette soldi e qualche souvenir.
Sicuramente Bilancia uccideva per il gusto di uccidere, per denaro, per sfidare e per depistare i suoi cacciatori, per odio contro le donne, per motivi di collezionismo di vittime, per motivi sessuali: un serial killer organizzato, sterminatore, esecutore di vendetta, missionario, che ci aveva preso gusto, per motivi di dominio e onnipotenza, per sottomere le vittime, per profitto.

Bilancia può essere recuperato? Potrà usufruire di permessi?

I serial killer non possono essere recuperati a prescindere dalla motivazione che li ha spinti a uccidere, perché sono dominati dall’istinto di morte e dalla coazione a ripetere: sono un pericolo permanente per la società e devono restare in carcere per tutta la vita senza sconti e/o premi. Difatti, tutti i criminali seriali che hanno usufruito di agevolazioni, sconti di pena e permessi hanno colpito senza pietà e, in questo contesto, i serial killer sono i peggiori.

Donato Bilancia non sfugge a questa regola, anzi, essendo un serial killer del tipo complesso, organizzato e prolifico, è enormemente pericoloso, lasciamo stare poi le questioni pentimento, perdono, ravvedimento et similia. Non reputo che un serial killer possa essere “redento”, “compreso”, “perdonato” e “reinserito nella società”, a prescindere dalle motivazioni e dallo stato psichico che lo hanno indotto a uccidere.

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