Il mistero di Emanuela Orlandi continua. Dalle carte giudiziarie della seconda inchiesta, conclusa nel 2015 con una archiviazione, emergono nuovi elementi. Forse non bastano a riaprire il caso. Certo bastano a dimostrare che se le indagini in tutti questi anni non fossero state distorte da chiacchiere e demagogia (ricordate Veltroni quando contribuì a riaprire inutilmente le tombe di una chiesa romana per inseguire la pista della Banda della Magliana?) a qualhe risultato concreto sarebbero potute arrivare. Non a ritrovare Emanuela viva ma a individuare il suo assassino.
Dalle carte giudiziarie emerge una pista. Che Emanuela sia stata “rimorchiata” in strada, nel tragitto dalla scuola al bus, da qualcuno che già conosceva “di vista” e che l’aveva agganciata con la falsa promessa di un provino. Una ragazzina di 16 anni, allora come oggi, può essere facile e indifesa preda di false promesse. Si tratta solo di una ipotesi, ma se uno legge bene gli articoli pubblicati da Blitzquotidiano in questi anni, e collega i puntini, forse un’ombra si può vedere sullo sfondo cupo e ambiguo di questa tragedia.
Ricordiamo l’inizio e la fine.
Esattamente 34 anni fa, giovedì 22 giugno 1983, una ragazzina di quasi 16 anni spariva nel nulla nel centro di Roma, a pochi metri da Piazza Navona e dalla sede del Senato della Repubblica. Da allora di lei non si è saputo più nulla. Ipotesi, false piste, ne ha parlato anche il Papa Giovanni Paolo II dal pulpito: nessun esito. Due inchieste giudiziarie finite nel vuoto.
La ragazza scomparsa si chiamava Emanuela Orlandi, bella studentessa di musica abitante in Vaticano, figlia 15enne di Ercole, il postino di papa Wojtyla. Uscita dal conservatorio Ludovico da Victoria, a pochi metri da piazza Navona, Emanuela è sparita mentre, camminando su corso del Rinascimento, si dirigeva verso piazza di Torre Argentina, dove avrebbe dovuto prendere l’autobus 64 per tornare a casa.
Dopo ben 34 anni emergono dalle carte giudiziarie testimonianze che mettono decisamente in crisi l’icona di Emanuela tutta casa, scuola e chiesa e che raccontano invece di una Emanuela ragazza normale e disinvolta.
Emergono testimonianze che se non fossero state ignorate per permettere il dilagare della messinscena del rapimento, prima politico e poi malavitoso, avrebbero probabilmente potuto permettere di capire che fine ha fatto la ragazza. Oltre ad avere probabilmente amicizie maschili giudicate non proprio raccomandabili dai servizi segreti che si sono occupati fella vicenda – ventenni dediti a droghe, abbordaggio di ragazze in zona S. Pietro e anche qualche “marchetta” come prostituti – Emanuela non di rado marinava la scuola e per giunta si firmava da sola le giustificazioni. Falsificando quindi la firma dei genitori. Chi frequentava nei giorni in cui marinava il liceo? Come mai Emanuela di questo far finta di andare a scuola e del relativo perché non ha mai fatto neppure un cenno alle amiche e alle sorelle, contrariamente a quanto di norma accade alla sua età?
Se di queste frequenti giornate di libertà davvero non ne sapevano nulla nessuna delle sue tre sorelle, né suo fratello Pietro, è sintomo che probabilmente si trattava di qualcosa di più delle innocenti scappatelle che più o meno tutti gli studenti adolescenti si concedono. Pochi mesi prima Emanuela aveva partecipato come ospite con altri compagni di scuola al programma televisivo Tandem, della Rai, e la registrazione di quella puntata ce la mostra a suo completo agio, ben contenta di esserci e potersi far notare. È stato lo stesso padre Ercole a raccontare che Emanuela era attratta dal mondo dello spettacolo, soprattutto da quello della musica leggera, e che, anche se fantasticava di fare da grande la hostess, le sarebbe piaciuto diventare famosa. Quando marinava la scuola, per esempio tre settimane prima del giorno della scomparsa, Emanuela si vedeva con qualcuno della Rai o di ambienti contigui? Qualcuno che potrebbe avere incontrato in corso del Rinascimento, magari accettando ingenuamente un passaggio in auto.
Come che sia, ecco emergere dalle carte giudiziarie del mistero Orlandi – cartella n. 437759 della nuova inchiesta nata nel 2008 e archiviata nel 2015 – una testimonianza che mette decisamente in crisi l’immagine canonicizzata della ragazza vaticana. Secondo altre testimonianze, da qualche mese Emanuela era diventata molto svogliata, tanto da essere rimandata in due materie, latino e francese. Ed è proprio da una sua compagna di classe, Silvia Vetere, che emerge il ritratto di una Emanuela ben diversa dalla solita icona. Oltre a marinare non di rado la scuola e a firmarsi da sola le giustificazioni falsificando la firma dei genitori, ecco comparire – sorpresa nella sorpresa! – una Emanuela anche un po’ “figlia dei fiori”, come venivano anche definiti gli hippy dell’epoca.
Interrogata alle ore 10:10 dell’11 novembre 2008 negli uffici della Squadra Mobile di Roma dagli ufficiali di polizia giudiziaria Angelo Mongelli e Mauro Cau, la sua compagna di classe Silvia Vetere mette a verbale le seguenti dichiarazioni:
“A D.R. Emanuela era una ragazza piuttosto svogliata ed andava piuttosto male a scuola tanto che i professori gli chiedevano cosa avesse intenzione di fare e lei rispondeva che aveva intenzione di cercarsi un lavoro.
A D.R. Non credo assolutamente che fosse una ragazza “facile” ma certamente non aveva voglia di studiare.
A D.R. Era una tipa molto semplice, non si truccava né notai in lei alcun cambiamento negli ultimi anni. Forse potrei definirla un po’ “figlia dei fiori” per il modo di vestirsi.
A D.R. Ricordo che quando fui sentita all’epoca dichiarai che Emanuela si era assentata da scuola, aveva “fatto sega” come si suol dire intorno al 30 maggio precedente la sua scomparsa, ma non so assolutamente cosa fece in quel giorno. Comunque per Emanuela assentarsi frequentemente in questo modo non era inconsueto e ricordo anche che si firmava da sola le giustificazioni.
A D.R. Non ricordo se tali assenze si intensificarono nell’ultimo periodo prima della scomparsa”.
Insomma, Emanuela, ormai una bella ragazza di quasi 16 anni, era come suo pieno diritto una giovanissima come tutte le sue coetanee, e in quanto tale faceva anche cose, come il marinare la scuola, delle quali in famiglia almeno ufficialmente nessuno sapeva nulla. Com’era prevedibile, risulta quindi decisamente forzata l’immagine di Emanuela sempre tutta ligia al dovere e sempre tutta casa, chiesa, liceo e scuola di musica. E se è vero, come lui afferma vantandosene, che suo fratello Pietro possiede copia di tutti gli atti giudiziari, se ne può dedurre che sulla testimonianza della Vetere – e su altre che vedremo tra poco – o non li ha letti o ha sempre preferito tacere, sia nelle molte apparizioni in tv sia nelle molte interviste. Perché questa omissione? Per non incrinare l’immagine fasulla di Emanuela “martire della Chiesa in senso stretto”, come più volte Pietro ha dichiarato? Comprensibile. Non è invece affatto comprensibile che magistrati, poliziotti, carabinieri e servizi segreti non abbiano mai voluto approfondire la pista di cosa facesse Emanuela e con chi quando marinava di nascosto la scuola.
Diceva dunque il vero l’avvocato Gennaro Egidio, all’epoca legale della famiglia Orlandi da ben 19 anni, quando nel 2001 ci spiegò che non s’era assolutamente trattato di rapimento e che Emanuela, oltre ad averne anche troppa di libertà, era una delle tipiche “ragazze d’oggi”.
Come se non bastasse, non si può escludere che la ragazza del Vaticano frequentasse anche ragazzi decisamente non raccomandabili, come per esempio quelli più grandi di lei di cui parla un documento dei servizi segreti civili, all’epoca in sigla SISDE, riportato dal giornalista Tommasi Nelli nel suo libro Atto di dolore. Ecco cosa scrive Nelli a proposito di quei ragazzi:
“Nell’inverno del 1983 Emanuela Orlandi e le sue più strette amiche del quartiere, a casa di una di loro e in almeno due occasioni, erano entrate in contatto con alcuni ragazzi più grandi in quel momento a Roma perché impegnati nel servizio di leva. Questi ventenni godevano però di cattiva reputazione in quanto dediti ad abbordare ragazze nella zona di piazza San Pietro, a consumare stupefacenti e, in almeno un caso, a prostituirsi. Questo annotò il SISDE in un documento del luglio 1983, da me rinvenuto nell’istruttoria del giudice Priore sui mandanti dell’attentato al Papa”.
Ha ragione Nelli: se si fosse indagato su piste meno fantasiose, più usuali e concrete anziché andare a caccia di farfalle sotto l’arco di Tito del rapimento a tutti i costi, forse il mistero Orlandi sarebbe stato risolto. E anche rapidamente. Ma l’atto di dolore non lo vuole recitare nessuno….