ROMA – Entro la fine di gennaio l’inchiesta giudiziaria sul mistero di Emanuela Orlandi dovrebbe essere conclusa, a meno che la manifestazione di piazza lanciata da Pietro Orlandi il 14 gennaio, giorno della nascita di Emanuela nel 1968, non riuscirà a forzare la mano al Vaticano e ottenere la pubblicazione di documenti inediti che sarebbero custoditi nelle casseforti pontificie.
La manifestazione, autorizzata dalla questura, consisterà in un sit-in in piazza Pio XII, vicina a piazza S. Pietro.
Non sarebbe la prima volta che l’inchiesta sulla scomparsa di Emanuela Orlandi viene rilanciata. Più volte i magistrati sono stati costretti negli ultimi due o tre anni a rinviare la chiusura dell’inchiesta a causa di “rivelazioni” e “novità” che poi erano delle bufale o comunque piste inconsistenti o senza sbocco. Ora i magistrati sono indecisi se chiedere o no al Vaticano, con una rogatoria internazionale, l’invio di un dossier del quale hanno avuto notizia qualche tempo fa. Di che si tratta?
Si tratta del dossier sulla scomparsa di Emanuela Orlandi che a suo tempo Papa Ratzinger chiese al suo fido segretario particolare don Georg Gaenswein per esserne bene informato. La richiesta nasceva non da semplice curiosità, ma per potersi regolare e sapere come eventualmente rispondere alle insistenti richieste di Pietro Orlandi e dei suoi seguaci su Facebook, sempre più convinti che il Vaticano sappia e nasconda la verità.
Finora s’era saputo solo che Ratzinger su tale “affaire” ha sempre taciuto su consiglio del capo dei ghost writer papali, il prelato veneto Giampiero Gloder, che riteneva meglio lasciar cadere le domande di Pietro onde evitare di alimentare in qualche modo le convinzioni del fratello di Emanuela. Questa la raccomandazione di Gloder:
“Il fratello della Orlandi sostiene fortemente che ai vari livelli vaticani ci sia omertà. Il fatto che il Papa anche solo nomini il caso può dare un appoggio all’ipotesi”.
Tale nota era contenuta tra le centinaia di documenti fotocopiati e consegnati al giornalista Gianluigi Nuzzi dal maggiordomo del Papa Paolo Gabriele, convinto di aiutare così Ratzinger contro i suoi nemici. Come è noto, il maggiordomo è stato scoperto, licenziato, arrestato, processato e condannato il 6 ottobre 2012 a 18 mesi di detenzione. Per poi essere infine perdonato il 22 dicembre dello stesso anno e scarcerato.
Qualche mese fa i magistrati sono venuti a sapere in via confidenziale che
“durante il processo la segreteria di Stato e la Gendarmeria del Vaticano erano semplicemente terrorizzate dall’idea che Paolo Gabriele avesse fotocopiato anche il dossier preparato con estrema cura da Gaenswein”.
Il dossier comunque non risulta tra le fotocopie consegnate a Nuzzi e neppure tra quelle trovate nell’appartamento in Vaticano dell’ex maggiordomo. Segno che non è stato fotocopiato. Negli ultimi tempi però i magistrati si sono chiesti il perché di tanta paura che ce ne fosse invece in giro una copia. Inevitabile l’ipotesi che il dossier contenesse l’intera verità su cosa è successo e per mano di chi alla ragazzina vaticana scomparsa il 22 giugno dell’ormai lontano 1983.
C’è però un problema, anzi due. Il primo è che è piuttosto problematico chiedere – con una rogatoria internazionale – la consegna di un documento senza sapere indicare con precisione come si è venuti a sapere che esiste. Il secondo è che tutte le rogatorie internazionali inviate in Vaticano dai magistrati italiani che si sono occupati del caso Orlandi e dell’attentato a Wojtyla hanno avuto risposte dal sapore di reticenza o poco convincenti. Il rischio è quindi di un’altra perdita di tempo, di allungare cioè i tempi dell’inchiesta del caso Orlandi in attesa di una risposta che, data l’esperienza, non c’è speranza sia soddisfacente.
Qualcuno sostiene che Papa Francesco costringerebbe invece la burocrazia vaticana a rispondere con la consegna dell’intero dossier. Ma è francamente difficile pensare che il pontefice – ammesso che il dossier sia esistito e se esiste ancora non sia stato prudentemente distrutto – possa davvero consegnare la verità sulla fine di Emanuela se c’è di mezzo qualche personaggio vaticano, peggio ancora se della curia. Lo scandalo sarebbe troppo grande e la sua deflagrazione rovinosa per il Vaticano e la Chiesa. Anche se probabilmente la sua popolarità ne guadagnerebbe molto, salirebbe alle stelle.
È d’altronde legittimo ipotizzare che il dossier preparato per Ratzinger sia stato letto anche da Papa Francesco, visto che don Georg è rimasto in Vaticano con la carica di Prefetto della Casa Pontificia e visto che anche Francesco è sottoposto alle pressione mediatica degli “orlandiani”. Che non intendono demordere e, come riferito sopra, il 14 gennaio, giorno della nascita di Emanuela nel 1968, si rifaranno vivi con una manifestazione, autorizzata dalla questura: un sit-in dalle 14,30 alle 18,30 in piazza Pio XII, vicina a piazza S. Pietro. Ma se l’ha letto, il fatto che anche lui sul mistero Orlandi abbia sempre taciuto non depone certo a favore della speranza che Francesco su tale argomento si comporti diversamente dai suoi predecessori.
Ecco perché i magistrati sono molto indecisi. E perché probabilmente finiranno con non chiedere nulla, non invieranno cioè in Vaticano nessuna rogatoria internazionale. Sarebbe solo (altro) tempo perso.
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