La saga del mistero della scomparsa di Emanuela Orlandi registra una notizia: tra gli inquirenti prevale ormai la rassegnata certezza che non ci sia nessun Dna, né di Emanuela Orlandi né di nessun altro sul flauto asseritamente ritrovato sotto una piastrella della Via Crucis da Marco Fassoni Accetti e consegnato a “Chi l’ha visto?” Lo abbiamo dato per scontato fin dall’inizio di questo nuovo tormentone, anche se non abbiamo voluto togliere speranze a chi ci sperava o fingeva di sperarci.
Ma che ci fosse poco da fare lo si sapeva ormai da una settimana:
“Gli esperti della scientifica ai quali è stato affidato lo strumento musicale hanno accertato la presenza di oltre 40 reperti biologici, ma le loro dimensioni, ed il livello di logorio, non consentono una comparazione con il dna di Emanuela […] Allo stato appare quantomeno difficile che si possa chiarire se il flauto sia appartenuto” a Emanuela Orlandi.
La famosissima star della canzone Louise Veronica Ciccone, meglio nota come Madonna, dicono disponga di un intero team addetto a far sparire ogni sua traccia di Dna dai luoghi ove si esibisce in concerto. Il team di “de-dna-izzazione” di Madonna ha il compito eliminare ogni tipo di residuo organico, dai capelli alla saliva e quant’altro, da microfoni, palchi, camerini, backstage, camere d’albergo, ecc.
Non è quindi impossibile che la stessa precauzione sia stata presa da qualcuno per il flauto “ritrovato”. Del resto, che quello strumento musicale non potesse essere quello di Emanuela era reso evidente dal fatto che nell’astuccio che lo contiene manca il tamponcino con il quale il flauto viene ripulito dalla saliva e dalla condensa del fiato dopo ogni volta che lo si è usato. Il tamponcino quindi contiene di sicuro tracce utili per estrarre profili di Dna, e Emanuela Orlandi ovviamente nell’astuccio del suo strumento aveva anche il tamponcino. Il fatto che invece nel flauto “ritrovato” il tamponcino manchi induce a pensare che, appunto, si sia voluto evitare che le ricerche di Dna approdino a una qualche conclusione e permettere quindi che resti il dubbio.
In alcuni miei articoli ho scritto del timore degli inquirenti che il “flauto ritrovato” potesse essere stato inquinato, magari involontariamente, con Dna di un Orlandi con il risultato di confondere le acque con il ritrovamento di un Dna più o meno “compatibile”, ma non attribuibile a Emanuela. Un tale risultato avrebbe però reso chiaro, lapalissiano, che qualcuno aveva barato, in buona o in cattiva sede. Gli inquirenti però erano certi fin dall’inizio che non sarebbe stata trovata nessuna traccia di Dna. Perché? Perché così gli addict di questa vicenda potranno continuare a vivere nel dubbio.
Motivo per cui… lo spettacolo continua. In attesa che qualche prestigiatore faccia trovare i jeans o le bretelle o la famosa fascetta sulla fronte o magari anche un intero pianoforte a coda “di Emanuela”. La ragazza non ha mai posseduto un pianoforte a coda? E allora? Per il popolo telesuggestionabile la realtà è, come per il presidente Usa Ronald Reagan, solo un particolare trascurabile. Si può sempre immaginare che fosse a coda il pianoforte che a dire di Fassoni Accetti è stato gentilmente fornito alla Orlandi dal “nucleo di intelligence del Vaticano” nel confortevole appartamento romano dove faceva finta di essere stata rapita…
A proposito di ricerche del Dna: l’assurda caccia al Dna di Emanuela Orlandi nelle migliaia di ossa del cimitero sotterraneo della basilica di S. Apollinare pare che costi qualche milione di euro. Pagato da noi contribuenti. Che sia il caso di farsi rimborsare dalla Rai? Magra consolazione sarebbe, visto che comunque ne paghiamo anche il canone e ne copriamo le perdite.
Data una notizia, dobbiamo notare che nella saga del mistero di Emanuela Orlandi, oltre alle false notizie. non mancano polemiche, accuse e controaccuse impreviste. Marco Fassoni Accetti sedotto, abbandonato e messo alla berlina da “Chi l’ha visto?” nonostante il clamoroso ritrovamento del flauto “di Emanuela”, reagisce con comunicati e prepara querele.
Il programma televisivo condotto da Federica Sciarelli non solo non gli permette più di dire la sua, ma anzi batte e ribatte sugli aspetti poco chiari dell’incidente con il quale nel dicembre 1983 Fassoni Accetti uccise il Josè Garramòn, di 12 anni, ragione per la quale venne condannato a 2 anni di carcere per omicidio colposo.
Ecco cosa ci scrive MFA, come ormai viene indicato il fotografo romano, diventato di colpo famoso anche per essersi auto accusato davanti al magistrato Giancarlo Capaldo di avere preso parte al “rapimento” di Emanuela Orlandi, che era però, a suo dire, consenziente:
“Sono ben tre puntate che la nota trasmissione Rai manda in onda il suo filmato di ricostruzione, che mostra come il bambino dell’incidente della pineta stia correndo fuggendo innanzi al furgone che lo insegue. Le invio l’estratto della sentenza di Corte d’Assise che descrive come contrariamente il bambino “in qualche modo stava per traversare”.
“Tenendo conto che la redazione di detta trasmissione possiede la sentenza appena citata, se ne deduce che tale filmato di ricostruzione è una falsificazione. Una contraffazione per farmi apparire un assassino solitario e far venir meno i legami che la vicenda Orlandi – Gregori possono aver avuto con lo Stato.
“Con questo e molti altri elementi da me già prodotti la trasmissione in questione dovrà pagare in causa civile i denari dei contribuenti italiani. Inoltre continuano a mandare in onda la dichiarazione della madre del bambino che racconta di un dottore che le avrebbe comunicato che lo stesso morì sull’autoambulanza, mentre i verbali raccontano che l’equipaggio medico non aveva alcuno strumento per constatare la condizione in vita o in morte dell’investito quando questi giaceva sul ciglio della strada. Questa trasmissione, mentendo manca di rispetto verso la ricerca di ogni verità e verso il suo stesso pubblico”.
Per corroborare le sue affermazioni MFA ci ha inviato copia di alcuni stralci della sentenza che escludono i tre aspetti più controversi e gravi: l’investimento volontario, la morte di Josè per mancato soccorso da parte dell’investitore e, infine, la pratica della pedofilia da parte di MFA.
In attesa del responso definitivo sulla presenza o meno di Dna sul flauto ” di Emanuela” e sulla sua appartenenza, la posizione di MFA rischia però di complicarsi. L’attenzione degli inquirenti è stata infatti attratta dalla telefonata del 4 ottobre 2011 fatta da un anonimo a “Chi l’ha visto?” per sostenere che la scomparsa di Emanuela Orlandi e di Mirella Gregori sono due rapimenti tra loro collegati e per dire che si sarebbe rifatto vivo per maggiori dettagli.
La conduttrice del programma nel corso di quella puntata definisce l’anonimo della telefonata “una persona adulta, pacata”: l’anonimo della telefonata forse non era del tutto anonimo?
Particolare certamente casuale e ininfluente, ma che a palazzo di giustizia ha suscitato un po’ di sorpresa, l’avvocato Maria Calisse, legale di MFA, è lo stesso che ha Raffaella Notariale per la querela intentatale dai familiari di De Pedis.
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