Emanuela Orlandi, esame delle ossa fuori tempo massimo: ecco come funziona il carbonio 14 col Dna

di Pino Nicotri
Pubblicato il 21 Novembre 2018 - 06:28 OLTRE 6 MESI FA
Emanuela Orlandi (nella foto), esame ossa fuori tempo massimo. Problemi col Dna?

Emanuela Orlandi, esame ossa fuori tempo massimo. Problemi col Dna?

Il nuovo can can sul mistero che avvolge da più di 30 anni la scomparsa di Emanuela Orlandi ha avuto inizio a fine ottobre. Assicurarono che sarebbero bastati 7-10 giorni per sapere se le ossa trovate presso la Nunziatura Apostolica di via Po a Roma sono o no resti di Emanuela. Di giorni ne sono passati più di 20, il che già di per sé la dice lunga, ma pur di non ammettere che quei poveri resti NON sono della ragazza del Vaticano (né di Mirella Gregori) ormai si arriva ad allungare il brodo facendo finta che la notizia secondo la quale “gli accertamenti continuano” non significhi in realtà che è ormai appurato che non si tratta di resti umani di Emanuela: e che pertanto si cerca di capire di cos’altro si possa trattare, pur essendo chiaro che si tratta di “accertamenti” del tutto inutili. Utili solo al battage e a qualche altra puntata televisiva sul mistero Orlandi, oltre che a prolungare l’ansia e il dolore della madre di Emanuela, signora Maria. 

E’ di queste ore “l’indiscrezione” che quei frammenti ossei verranno sottoposti anche all’analisi del carbonio 14 per capire di quale epoca possano essere. Eppure il perito medico legale professor Giovanni Arcudi incaricato degli accertamenti aveva detto chiaro e tondo:

“Non si può usare la datazione al carbonio, che serve per resti più antichi, di almeno 100-200 anni”.  

Visto che invece la datazione al carbonio a quanto pare la stanno usando, ciò significa che quei resti sono appartenuti a qualcuno che, nella migliore delle ipotesi, è vissuto nel ‘700 o nell’800, ma NON nel ’900 come invece Emanela, scomparsa infatti a 15 anni e mezzo nel giugno 1983. 

Come se non bastasse, soprattutto in tv e nei cosiddetti social dei gruppi amanti dei misteri e in particolare del mistero Orlandi, pare abbiano tutti dimenticato che  Arcudi per quanto riguarda gli altri tipi di accertamento dell’anno della morte, come quelli fisico chimici, ha già chiarito che serviranno a poco:  nella migliore delle ipotesi avremo un

“risultato in un periodo approssimativo, con una forbice di 10-20 anni”.

Ma la famosa estrazione del DNA e l’annesso confronto con i DNA noti che fine hanno fatto? Non bastavano forse 7-10 giorni? Ricordiamo meglio cosa ha detto in merito il perito e docente universitario Arcudi:

“L’estrazione del Dna e le analisi conseguenti, come il confronto con quello della persona a cui si sospetta appartengano i resti o i familiari, non richiedono molto tempo, si possono fare in 7-10 giorni. […] Non sempre però si riesce a ricavare del materiale genetico utilizzabile, dipende sempre da come sono conservati i resti, e anche da che tipo di ossa abbiamo. Dall’analisi chimica delle ossa si può capire da quanto tempo è morta la persona, valutandone il degrado. A seconda del luogo di conservazione, asciutto o umido, la degradazione delle ossa cambia”.

Ora salta fuori come se niente fosse che il “luogo di conservazione” NON era propriamente il pavimento della casa del custode, quello cioè sul quale lui camminava, bensì la terra sotto il pavimento dello scantinato interrato dell’abitazione. Vale a dire: il “luogo di conservazione” era nella terra vari metri SOTTO il livello del piano stradale, inoltre non ci cono  tracce né di bara né di sarcofago. Tipico delle sepolture fuori le mura, soprattutto dei poveri e dei malfamati, negli oltre 2.000 anni durante  i quali i cimiteri non esistevano neppure a Roma perché, ricordiamolo ancora una volta,  sono stati istituiti solo da Napoleone e NON prima.

Cosa inusuale, per la polizia le indagini scientifiche sui macabri reperti sono condotte direttamente dal reparto centrale della polizia scientifica, con sede presso la Direzione Centrale Anticrimine, anziché dal laboratorio regionale, in questo caso del Lazio. Il reparto centrale di esperienza operativa ne ha poca, comunque meno di ogni laboratorio regionale, specie di quelli delle regioni, come il Lazio, a maggior presenza di delitti di vario tipo. In compenso però il reparto centrale ha migliore capacità di comunicazione con i massmedia. Particolari tutti che hanno contribuito al “botto”, e annessi scoop al fulmicotone, nonostante non ce ne fosse assolutamente nessun motivo. 

Povera Emanuela! Sempre senza pace.