Nuovo contrordine nel turbine di voci, piste e invenzioni che avvolge sempre più il mistero di Emanuela Orlandi e aumenta di intensità mentre si avvicina il trentesimo della scomparsa.
La pista dei comunicati firmati Phoenix inviati nel 1983 da Boston dalla allora moglie di Marco Fassoni Accetti, detto anche MFA, non esiste. Anticipata ghiottamente, ma senza esagerare, dall’ultima puntata di “Chi l’ha visto?”, è stata invece rilanciata alla grande e senza prudenza alcuna dal Corriere della Sera, dal settimanale Oggi, dal giornale distribuito gratis Leggo e da una marea di siti.
Il succo dei loro articoli era il seguente: MAF ha confessato ai magistrati che la sua ex moglie, allora appena 18enne, è stata a Boston dai primi di agosto fino a metà novembre dell’83 e da quella città ha spedito a Richard Roth, corrispondente da Roma della catena televisiva americana CBS, le missive dalla misteriosa firma Phoenix con le quali si pretendeva la liberazione di Alì Agca, l’ergastolano che nell’81 aveva sparato a Papa Wojtyla, in cambio della liberazione di Emanuela Orlandi.
Nonostante il grande battage, la nuova pista è però durata meno del classico espace d’un matin. Ad affondarla è stato lo stesso MFA, la cui collaboratrice Dany Astro ha provveduto a inviarci la seguente smentita fin dal pomeriggio di giovedì:
“Nessuna lettera firmata Phoenix è stata mai spedita da Boston. Si tratta di lettere che sono state scritte da una ragazza a Roma e spedite da un’altra ancora da Boston. Marco, che non fa mai chiamate di correità, non ha mai dichiarato a nessuno che si trattasse dell’allora sua moglie diciottenne. Inoltre, lui personalmente non ha mai dichiarato che lei si trovasse in quel periodo a Boston. A farlo è stata la sua ex consorte quando è stata interrogata per i fatti della pineta, e questo figura nei verbali”.
I fatti della pineta sono, come noto, la morte del ragazzino Josè Garramòn investito di notte nel dicembre ’83 con un furgoncino da MFA, che per questo venne condannato a due anni di prigione per omicidio colposo.
In serata MFA mi ha specificato via mail:
“Le lettere, che però non erano quelle firmate Phoenix, le scriveva una ragazza sotto dettatura in Roma, e un’altra le spediva da Boston. Delle due ragazze non ho mai fornito le generalità e a loro mi appello affinché si presentino per fare testimonianza e chiarezza. Il cosiddetto Phoenix non scrisse alcuna missiva da Boston e comunque non eravamo noi”.
Per “noi” MAF intende il misterioso “gruppo di intelligence del Vaticano” del quale afferma di avere fatto parte anche per organizzare il “rapimento” della Orlandi. Le virgolette sono d’obbligo più che mai, dato che MFA afferma che la ragazza era consenziente ed è sempre stata trattata benissimo almeno finché ne ha avuto notizie lui.
Andando a rileggere le cronache dell’epoca, da me riportate in un mio libro del 2002, si scopre però che il fantasma Phoenix compare il 24 settembre ’83 con un comunicato segnalato per telefono all’Ansa e fatto trovare in una chiesa di via Regina Margherita a Roma. Da Boston arriva sì una missiva a Roth il 27 settembre ’83, ma non ha nessuna firma. E la missiva firmata Phoenix che sempre quel 27 settembre arriva alla redazione del Tg2 della Rai è stata spedita non da Boston, ma da Roma. L’8 ottobre Phenix si rifece vivo, ma con un messaggio fatto trovare dentro un confessionale della chiesa di piazza S. Silvestro previa telefonata alla redazione romana del Corriere della Sera.
Il 27 ottobre Roth riceve un’altra missiva da Boston con la quale il mittente – che per quanto reso noto dagli inquirenti non si è firmato in nessun modo – si attribuiva anche il “rapimento” di Mirella Gregori, sedicenne scomparsa un mese e mezzo prima della Orlandi senza che nessuno mai rivendicasse nulla prima del mese di agosto. Il 13 novembre sulla salita di S. Sebastianello, in zona Piazza di Spagna – Trinità dei Monti, viene fatto trovare un altro messaggio firmato Phoenix particolarmente delirante, nel quale si afferma che Emanuela era stata uccisa.
Come si vede, il legame Phoenix/Boston è piuttosto aleatorio…
Nel tentativo di far passare MFA per un malato di mente, oltre che per un pedofilo e assassino volontario almeno di Josè Garramon, “Chi l’ha visto?” nella puntata di ieri 29 maggio ha trasmesso pezzi del suo film “La morte”. MFA infatti oltre che fotografo è anche autore di filmati destinati non al circuito commerciale, ma liberamente scaricabili dal suo sito Internet. Al montaggio dei suoi film provvede Dany Astro.
Ed ecco come MFA ha commentato per Blitzquotidiano la messa in onda degli spezzoni:
“Ieri sera nella nota trasmissione [cioè “Chi l’ha visto?“] hanno usato, fuori contesto, parti del mio film La Morte per far vedere che sono un tipo commercialmente macabro. Ovviamente non hanno capito niente. Le mie opere rimandano e restituiscono l’ossessione sotto-borghese per la morte. Nel senso in cui questa scadente ma imperante categoria sociale rifiuta della morte la sua santità e naturalità, nella pretesa di continuare a trasformare il tutto in merce e a consumare per sempre. Ma al tempo stesso e nelle stesse opere la morte mi appare incondizionatamente libera d’essere sinceramente umana, antica e modernissima nel suo sano stato di semplice altra madre terminale. Che ricevendoci a nulla ci obbliga dell’empia, oscura, mentecatta, pseudo-cultura di noi civili contemporanei. Ab aeterno.”
Dalla musica suggestiva del flauto “di Emanuela” – fatto trovare da MFA a “Chi l’ha visto?” con il trionfo del 3 aprile – alla rissa sempre più rissosa che rischia di finire in tribunale. Insomma, dalle stelle alle stalle.
Il mistero della scomparsa di Emanuela Orlandi comincia a somigliare sempre di più a un ben orchestrato caos. Ma anche a una pochade.
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