Emanuela Orlandi, Fassoni Accetti superteste: “Risolti messaggi in codice”

ROMA – Marco Fassoni Accetti, 57 anni, autore di arte cinematografica indipendente, è il nome del misterioso personaggio che avrebbe fatto avere a “Chi l’ha visto” un flauto che sarebbe (ma forse non è) come quello che suonava Emanuela Orlandi.

Accetti è stato interrogato dal Procuratore aggiunto della Procura della Repubblica di Roma, Giancarlo Capaldo al quale si è presentato come teste volontario, accusandosi di un reato che dovrebbe essere ampiamente coperto da prescrizione ma che gli consente di entrare impunemente nel grande gioco delle rivelazioni che certamente continueremo a subire in vista del trentennale della scomparsa di Emanuela Orlandi, avvenuto il 22 giugno 1983 a Roma.

Secondo Fabrizio Peronaci del Corriere della Sera, cui si deve questo ultimo scoop, queste sono le parole di Marco Fassoni Accetti all’uscita dalla Procura:

“Al fine di tutelare il lavoro degli inquirenti e dare loro modo di accertare il contenuto delle mie audizioni, non rilascerò dichiarazioni per trenta giorni. Desidero sia chiaro che ho fatto ritrovare il flauto di Emanuela per alzare l’attenzione e indurre le altre persone a parlare”.

Secondo Peronaci, Marco Fassoni Accetti

“ha riferito di aver partecipato all’ideazione e all’organizzazione logistica del «sequestro simulato» della Orlandi, il cui obiettivo sarebbe stato fare pressioni sulla Santa Sede in chiave filo-sovietica. La ragazza cadde in un tranello (la proposta di distribuire volantini della Avon) e quindi «fu portata via senza violenza»: sarebbe stata liberata entro poco tempo – è la versione acquisita dalla Procura – ma «la situazione precipitò» e l’azione «dimostrativa», mirata a «proteggere il dialogo tra la Curia romana e i Paesi del Patto di Varsavia», si tramutò in un incubo per la famiglia: l’attesa infinita del ritorno a casa” di Emanuela”.

Secondo le parole di Marco Fassoni Accetti riportate da Peronaci

“Emanuela Orlandi e Mirella Gregori si sono allontanate spontaneamente e potrebbero essere ancora vive: la prima da quel che ho saputo fino a due anni fa vive forse a Parigi, la seconda tornò a Roma nel 1994 per incontrare la madre”: “con un dettaglio in più: la località in cui cercare la figlia del messo pontificio sarebbe Neauphle-le-Château, paese di tremila abitanti a 40 chilometri dalla capitale francese”.

Sempre stando a Peronaci, le prole di Marco Fassoni Accetti hanno consentito agli investigatori del mistero che dura da 30 anni e non è stato mai risolto,

“di gettare luce su uno dei misteri più inquietanti dei primi mesi di indagini: cosa significavano i numerosi messaggi criptati inviati alle due famiglie e ai giornali? Bastino due esempi. Il codice 158, utilizzato per ottenere colloqui diretti con l’allora Segretario di Stato cardinal Casaroli, alludeva a qualcosa: con un semplice traslazione, diventa 5-81, vale a dire maggio 1981, mese dell’attentato a papa Wojtyla. Anche le 375 mila lire che furono offerte a Emanuela per un lavoro di una sola giornata (troppe, si è sempre detto) avevano, ha spiegato Fassoni Accetti, una valenza precisa agli occhi degli «interlocutori» dei sequestratori: aggiungendo due volte il numero 1, si ottiene 13-5-17, giorno dell’apparizione della Madonna di Fatima in Portogallo”.

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